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— Chieda a John, se non mi crede.

Seguendo una silenziosa Maria al piano di sopra, Joe notò alcuni trofei. Si trattava di teste impagliate di grossa selvaggina, soprattutto cervi e puma, come quelle che adornavano la hall dell’El Tovar.

In una piccola stanza al piano intermedio i due trovarono un’altra profusione di oggetti indiani, ceramiche, punte di freccia e piccole figure intessute in lembi di pelle di daino.

Sarah si unì a loro poco dopo. — Tutto bene, signor Keogh?

— La casa è sorvegliata in tutti i punti, signora Tyrrel.

— Bene. Mio nipote ne sarà sollevato. Ora credo che possiamo parlare un po’ meglio del rapimento della mia piccola Cathy.

— Sì, credo faremmo meglio — replicò Joe appoggiandosi alla parete di tronchi e guardando attentamente l’anziana donna. — Signora Tyrrel, è stata lei a lasciare suo marito o lui ha lasciato lei?

— Sono io che l’ho lasciato — replicò Sarah dopo qualche istante.

— Perché?

— Dovrebbe chiedermi invece perché sono rimasta tanto a lungo con lui.

— E va bene. Perché?

— Perché lo amavo, o almeno credo. Signor Keogh, ha idea di quanto antiche siano le rocce in fondo al canyon?

— No. Nessuna idea.

Maria, che ovviamente non capiva la piega presa dalla conversazione, si limitò ad ascoltare attentamente.

Sarah Tyrrel disse: — Il fondo del canyon offre alcune delle rocce più antiche del mondo, in particolare lo scisto Visnù, vecchio di due miliardi di anni e formatosi dai sedimenti del fondo oceanico. Questo attrasse Edgar fin dall’inizio: qualcosa formatosi innumerevoli eoni prima che vi fosse questo canyon.

— Signora Tyrrel, non crede che stiamo divagando?

— Nient’affatto, signor Keogh. Mi stia a sentire e capirà. Questa faccenda è solo una questione di tempo, e degli sforzi che certe persone fanno per controllarlo. E in questo, devo ammettere, Edgar è molto più avanti della maggior parte degli altri.

Maria guardava attonita la candida figura di Sarah Tyrrel senza più capire una parola.

Sarah continuò. — Laggiù c’è anche una formazione chiamata la Grande Discordanza. Non è uno strato di roccia, ma piuttosto un’assenza di strati che risale a circa mezzo miliardo di anni fa. Tra questi strati mancanti, non so come, Edgar costruì un’altra casa dove io rifiutai di andare a vivere.

Joe annuì, come se avesse capito almeno in parte. — Avete avuto dei figli?

— Non vedo che importanza possa avere.

Joe la guardò sorpreso, poi si arrese. — Nessuna, credo. Semplice curiosità. Ma torniamo a Cathy. Prima lei ha detto che viene trattenuta in un posto qui vicino.

Sarah annuì.

— Dove si trova questo posto, signora Tyrrel?

— Temo proprio, signor Keogh, che dovrà trovarlo per conto suo. È impossibile raccontarle come ci si arriva, e ormai non posso più guidarvi. Sono troppo vecchia; il mio cuore è troppo stanco e le gambe mi dolgono sui sentieri del canyon.

Molte ore dopo il tramonto tutto era tranquillo in casa Tyrrel e nelle sue immediate vicinanze. Maria, seduta in una confortevole poltrona vicino al caminetto di una delle stanze, si ritrovò a dover lottare contro le palpebre sempre più pesanti dopo una giornata faticosa.

Sarah non aveva nulla da obiettare se Maria sedeva in quella sedia. Da là poteva facilmente tener d’occhio attraverso la porta socchiusa l’anziana donna che cercava di prender sonno nella sua camera da letto.

— Vuole che venga in camera con lei, signora Tyrrel?

— Oh, non è necessario mia cara. Non sono io quella in pericolo, sa?

Lottando per non cedere alla sonnolenza, Maria a un certo punto vide, o perlomeno credette di vedere alla tremula luce del camino, una delle imitazioni delle statue di Tyrrel pulsare, muoversi…

Quell’impressione divenne un sogno, un sogno nebbioso in cui l’orrore era ancora troppo impalpabile per spingerla a svegliarsi.

Al piano di sotto, nello studio di Tyrrel, Joe guardò fuori dalla finestra e vide che la nebbia nel canyon si era fatta cupa, una vera cortina nera che celava alla vista l’immensa valle.

Nulla di peggio che cercare qualcuno nel canyon stanotte, si disse, rabbrividendo.

Non che avesse la minima intenzione di provarci.

5

Bill Burdon si trovava esattamente dove Joe gli aveva indicato, acquattato vicino a un contorto ginepro poche decine di metri sotto casa Tyrrel. In quella posizione accuratamente scelta, i rami del grosso arbusto nascondevano quasi completamente le fioche luci provenienti dalla strada mentre la luna, che talvolta riusciva a forare la coltre di nebbia, illuminava un breve tratto del sentiero davanti a lui consentendogli di tener d’occhio ogni cosa. Dubitava molto che chiunque si avvicinasse alla casa da quella parte potesse vederlo o superarlo senza essere visto.

Bill, da sempre considerato ottimo per gli appostamenti, non aveva problemi a restare a lungo silenzioso e immobile. Certo anche lui doveva cambiare posizione di quando in quando, ma le poche volte in cui osò sedersi con grande cautela sul terreno si congratulò con se stesso per essere riuscito a farlo senza il minimo rumore.

Tuttavia si sentiva certo di dover trascorrere all’addiaccio una lunga e fredda notte priva della minima azione. Joe gli aveva promesso il cambio nel giro di poche ore, ma lui stava già cominciando a chiedersi se sarebbe riuscito a restare sveglio tanto a lungo.

Per combattere la sonnolenza, Bill prese a riesaminare mentalmente le caratteristiche salienti di quel nuovo caso. Cominciò ripassando le attitudini e i comportamenti dei due protagonisti: un’anziana donna che nuotava nell’oro e suo nipote, certamente inetto ma anche molto nervoso. Obiettivo dell’incarico: trovare la bisnipote della vecchia, misteriosamente scomparsa da un mese. Be’, se la ricca Sarah Tyrrel non voleva arrendersi e voleva spendere i suoi soldi assumendo un certo numero di investigatori privati erano affari suoi, e lui non l’avrebbe certamente scoraggiata.

Ma la caratteristica davvero saliente di quel caso era la convinzione della loro cliente di intrattenere una sorta di legame psichico con l’amata bisnipote, minacciata da qualche occulto pericolo e rintracciabile solo da persone veramente capaci. E questo lo spinse a chiedersi perché riteneva una persona dall’aspetto perfettamente ordinario come Joe Keogh un esperto nel campo dei misteri extrasensoriali. C’era qualcosa sotto, qualcosa che non capiva. Joe Keogh, ex poliziotto di Chicago. Non sembrava affatto il tipo per quelle cose, ma non si poteva mai dire.

Un secco rumore interruppe le sue meditazioni. A circa trenta metri da dove sedeva, una vaga forma si mosse nell’oscurità. Subito Bill alzò la torcia stretta nella mano destra, il pollice fermo sulla piccola leva che l’avrebbe accesa. Ma in quel momento la luna uscì dalle nubi e Bill poté vedere un animale, un mulo sperduto, avvicinarsi a lui con le orecchie tese nella sua direzione. Un attimo più tardi l’animale riprese a scendere nuovamente il precipizio, scomparendo alla vista ancora più silenziosamente di come si era avvicinato.

Bill abbassò la torcia, ancora inutilizzata. Nulla di grave, si disse, torniamo al caso. Un’altra particolarità di questa storia, perlomeno nella sua opinione forzatamente limitata, era la presenza di un tipo sicuramente fuori dal comune come Strangeway. Definire il motivo delle strane sensazioni che quell’uomo suscitava in lui non era facile, ma Bill non le associava certamente al soprannaturale. Be’, Keogh aveva detto molto chiaramente ai suoi temporanei aiutanti che non intendeva affatto passar loro tutte le informazioni in suo possesso. E nel business delle investigazioni e della sicurezza giravano molti personaggi insoliti, come del resto aveva già constatato di persona in altri casi.