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Vi fu un altro debole rumore, stavolta in direzione della casa. Un attimo più tardi Bill vide Joe riemergere dalla sua lunga chiacchierata con Sarah Tyrrel e scendere la scala a pioli. Dopo aver agitato silenziosamente la mano in direzione di Bill, la cui forma scura e nascosta gli risultava probabilmente invisibile, Joe tornò ad appostarsi nella sua posizione sul lato opposto dello stretto e ripido sentiero.

Un attimo più tardi un nuovo rumore ruppe il silenzio della notte. Questo aveva tutta l’aria di essere il richiamo di una civetta. Cercando di penetrare l’oscurità con lo sguardo, Bill notò che la nebbia tendeva a scendere nel canyon. Una pallida luna, neanche a metà, brillava ora nel cielo rivelando i contorni di un brullo e inquietante panorama. Solo i contorni: la luce infatti era troppo fioca per illuminare i dettagli delle scoscese pareti, lasciati più che altro all’immaginazione dell’osservatore. Bill aveva intravisto il mulo a circa trenta metri, ma oltre quella distanza sarebbe stato letteralmente impossibile distinguere un animale da un uomo.

L’unica era sperare che la nebbia si dissolvesse del tutto mettendolo in grado di osservare con più precisione l’ambiente circostante. Ma fino a quel momento la visibilità risultava ancora troppo scarsa per dare adito a qualche ottimismo su quella linea.

Il tempo passò.

Bill portava un orologio, ma non riusciva a vederne il quadrante al buio e non intendeva affatto usare la torcia elettrica per farlo. Il moto della luna nel cielo gli consentiva di stimare con sufficiente precisione lo scorrere del tempo.

Passò un’altra ora o forse più. La calma mortale di quella notte lo aveva ormai definitivamente convinto che la cosa peggiore che rischiava fosse una bronchite. Ma l’azione non doveva tardare ad arrivare: pochi attimi ancora e un sordo fracasso ruppe il silenzio. Bill capì subito che i guai erano iniziati.

Al forte rumore di un vetro infranto proveniente dalla casa seguirono le grida di molte voci diverse. Poi una serie di profondi tonfi, come un martello che battesse con forza sulle travi del soffitto, seguita da nuove grida e nuovi tonfi. E poi, all’improvviso, echeggiò il secco frastuono di un colpo di pistola.

Guardando verso la casa, interamente in penombra tranne che per due finestre fiocamente illuminate da qualche lampada da tavolo, Bill non riuscì neppure a intravedere l’origine di quel tumulto.

Nonostante l’agitazione, non tardò a rendersi conto di non poter fare nulla così sui due piedi. Per cui restò dov’era, attendendo il momento buono per intervenire.

Mentre vegliava diligentemente l’anziana cliente, Maria notò una luce in movimento fuori dalla finestra, oltre la tendina. Un semplice riflesso, si disse, ma di che cosa? Batté le palpebre, guardò di nuovo… e l’orrore l’assalì in un’unica, gelida e travolgente ondata. Ora la luce era lì, nella stanza, e si muoveva verso di lei. La vecchia Sarah Tyrrel, prima profondamente addormentata, sedeva ora rigidamente sul suo letto. Un altro battito di palpebre e Maria vide, per poi scordarsela completamente, la figura di un uomo in piedi davanti a lei. E poi, per il momento almeno, non vide e non sentì più nulla.

Quando il tumulto ruppe la quiete di quella notte invernale, Joe Keogh scattò d’istinto verso la scala a pioli per rientrare in casa e dare una mano, ma poi ricordò che la botola poteva venir aperta solo dall’interno. E quindi anche lui non poté far altro che riguadagnare la sua posizione, aspettare e sperare.

Per un lungo attimo, Bill restò indeciso, metà in ombra e metà illuminato dalla luce della luna. Sentiva di dover fare qualcosa, di dover entrare in azione per aiutare come poteva Maria e gli altri presenti nella casa. Ma poi si ricordò della botola chiusa, come Keogh poco prima, e rimase dov’era. Esisteva anche la possibilità che tutto quel rumore fosse fatto di proposito per allontanarlo dalla sua posizione.

Ma quell’indecisione non doveva durare a lungo: meno di cinque secondi dopo, la sua attenzione venne attratta dalle nere sagome di due strane figure, una dietro l’altra, che si gettarono correndo a rotta di collo giù per la ripida scarpata. Entrambe venivano senza dubbio da casa Tyrrel, anche se non riuscì a capire da dove, e fuggirono tanto velocemente da passargli davanti prima che lui avesse il tempo di abbozzare la minima reazione.

Subito Bill si gettò al loro inseguimento. Impugnò la torcia elettrica e l’accese, urlando istintivamente ai due di fermarsi. Ma quell’ordine non sortì alcun effetto.

Nonostante l’eccitazione del momento, lo colpì l’inquietante particolare che le sue prede, le due figure vagamente umane a pochi metri da lui, non sembravano davvero correre, ma piuttosto fluttuare, scivolare giù per la ripida scarpata molto più velocemente di quanto sembrava possibile. E un secondo più tardi sparirono intoccate nelle invisibili profondità del canyon.

Stavano fuggendo liberi come l’aria dopo aver beffato tutti gli sforzi di Bill e dei suoi colleghi per proteggere efficacemente la loro cliente.

Peggio della sconfitta era l’insulto. C’era qualcosa di indefinibilmente scoraggiante nelle figure che Bill aveva intravisto, in particolar modo nella prima, ma lui era un giovane forte e coraggioso e non esitò, almeno sul momento, a inseguirli nella notte.

Presto la torcia elettrica non riuscì più a illuminare la prima figura, ormai tanto lontana da sembrare svanita nel nulla, ma il raggio di luce gli consentì di osservare bene la seconda che si era fermata per un attimo. Gli occhi di Bill contemplarono solo per un istante la forma di un uomo, un uomo totalmente sconosciuto per quanto ne sapeva, con i capelli grigi e con indosso una tuta da lavoro pure grigia. Spiccando un balzo avanti, Bill intimò a quell’uomo di fermarsi.

Ma lo sconosciuto non prestò la minima attenzione al suo ordine e continuò a fuggire, riprendendo senza alcuno sforzo la sua corsa olimpionica giù per la scarpata.

Facendo appello a tutte le sue restanti energie, Bill riprese a sua volta a tallonarlo nell’oscurità quasi totale.

Joe Keogh intanto fece in tempo a osservare per un attimo quelle stesse due figure. Ai suoi occhi parvero subito sinistre e minacciose, ma poco dopo qualcosa doveva spaventarlo ancor di più: la vista di Bill che si gettava al loro inseguimento nelle ore più profonde della notte.

Subito Joe gridò a Bill di fermarsi.

Ma Bill prestò a quell’ordine la stessa attenzione che le due strane figure in fuga avevano prestato al suo.

Tirando il fiato per urlare di nuovo, Joe si gettò a sua volta all’inseguimento.

Ma dopo pochi metri di corsa a piena velocità, prima che potesse chiamare nuovamente Bill, Joe incespicò sul ripido sentiero barcollando per qualche passo come un ubriaco. Un lancinante dolore gli trapassò la caviglia, avvisandolo della rovina ormai prossima. Joe cadde con tutto il suo peso, ignorando inizialmente il doloroso impatto delle mani sul terreno sassoso, i graffi e le contusioni provocati dai cespugli spinosi e rinsecchiti e dalle friabili rocce appuntite.

Sprecando il poco fiato che gli restava in inutili imprecazioni, Joe si rialzò d’istinto lanciandosi nuovamente in avanti. Ma bastò un solo passo a dissuaderlo, fu sufficiente poggiare a terra la gamba destra per convincersi che quella sera la sua maratona era finita. E con un gemito di rabbia e di dolore, Joe cadde nuovamente a terra.

Intanto John Southerland, doverosamente immobile al suo posto da cui teneva d’occhio l’accesso principale della casa, udì un improvviso subbuglio provenire da dentro o, più precisamente, dal retro. Seguirono il frastuono di un vetro infranto e altri forti rumori, accompagnati da diverse voci che urlavano.

John si acquattò ancor di più dividendo la sua attenzione tra la casa e il viale pedonale, da cui l’ultimo turista era scomparso circa un’ora prima. In ogni caso decise di non abbandonare per nessun motivo la sua posizione: più che possibile che tutto quel baccano fosse, in realtà, un’esca per distrarli.