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Pochi minuti dopo si trovarono nuovamente davanti al cottage dalle pareti di tronchi, le cui finestre non mostravano alcuna luce dietro le tende. La luce era tutta in un altro posto a quaranta o cinquanta metri di distanza, ai piedi di una delle colline circostanti. Il bagliore di molte lampade elettriche traboccava dal basso ingresso della grotta, ampio quanto l’entrata di un garage, sempre più intenso nella notte incombente. Il generatore, il cui alloggiamento risultava ormai invisibile nell’oscurità, continuava a funzionare col suo placido ronzio a malapena percettibile contro il rumore della cascata. Più vicino, il continuo percuotere di un martello in direzione della grotta indicava che il vecchio scultore stava ancora lavorando.

Jake mosse la testa in quella direzione. — Tu dici che è quel vecchio pazzo la fonte dei miei guai. Solo lui può mostrarmi la via per uscire di qui, solo lui può lasciarmi andare.

Camilla rispose di sì con la testa e sussurrò, come se temesse di venir udita da Edgar nonostante il rumore della cascata, il ronzio del generatore e i colpi di martello: — Sì, può. Potrebbe, almeno. Ma…

Jake già le dava la schiena, muovendo a grandi passi verso la grotta dove il vecchio uomo bàtteva freneticamente sulla roccia. Camilla lo afferrò per un braccio.

— No! — sussurrò terrorizzata. — Non provocarlo stanotte! Non mentre lavora. Resta con me invece, e riposati. In ogni caso non torneresti al tuo accampamento adesso. Domani potrai parlare a Edgar: di tempo ne avrai più che a sufficienza.

Jake esitò, ma in verità si sentiva come se avesse camminato per cento miglia quel giorno. Quasi le gambe non lo reggevano più.

— Vieni a riposare — lo tentò nuovamente Camilla — e ti preparerò qualcosa da mangiare.

Abbandonando per il momento l’idea di un confronto con Tyrrel, Jake si lasciò condurre fino alla graziosa porta-finestra della casa. Nonostante la stranezza della situazione e la tremenda stanchezza non poté fare a meno di notare con quanto gusto la casa era arredata. Sembrava quasi una villetta dei sobborghi di qualche grande città e non una casa isolata che sorgeva in un luogo da incubo.

Piccola e bene arredata. Certamente vi si viveva bene. Dopo aver aperto un paio di finestre, Camilla azionò un interruttore e una lampada elettrica si accese mostrando una stanza con tavolo e sedie rustiche. Un grande tappeto dall’aspetto caldo e nuovo copriva la maggior parte delle assi del pavimento. Sotto le finestre di una parete vide un lavandino completo di scarico e rubinetti: l’acqua in casa era più di quanto tutti osassero sperare giù al campo.

Attraversando il salotto, Camilla condusse Jake sulla soglia di quella che sembrava la sola camera da letto. Là gli fece cenno di sedersi sul letto. Un’altra porta sul lato opposto della stanza restò chiusa: forse, si chiese lui, un vero bagno?

Seduto sul letto, che cigolava piano sotto il suo peso, Jake si guardò attorno. Contro una parete c’era un normalissimo armadio con diversi cassetti, e dato che non aveva visto un singolo specchio in tutta la casa, l’armadio non faceva eccezione. In compenso diversi quadri decoravano le bianche pareti.

Jake chiese: — Dove dorme il vecchio? A che ora rientra?

— Non preoccuparti di lui — rispose Camilla. Con aria materna piegò le coperte e sprimacciò i cuscini. — Non smetterà di lavorare fino all’alba, e comunque non entra quasi mai in casa.

— Davvero?

— Sì. Puoi andare tranquillamente a dormire.

Farsi una bella dormita lo tentava, ma per il momento Jake si limitò a sedere intontito osservando un topolino che zampettava lungo il battiscopa di fronte a lui. Si sentiva troppo stanco per pensare.

Camilla era bruscamente tornata nella stanza comune, dove sfregò un fiammifero per accendere qualche sorta di fiamma più brillante. Un attimo dopo rientrò nella camera da letto con una piccola lampada a petrolio che posò su un tavolino.

— Niente elettricità in questa stanza — spiegò in tono apologetico. Adesso, con più luce, Jake poté vedere una serie di macchie in una certa zona tra parete e soffitto, come se una perdita dal tetto fosse stata trascurata. — Hai fame? — gli chiese Camilla.

— No, adesso no — replicò Jake, per poi scoppiare: — Camilla, ma che diavolo succede? Ti prego, dimmelo!

— Adesso come adesso — fece lei — succede solo questo. — E si voltò a chiudere la porta, per poi togliersi pantaloni e camicetta e restare ferma davanti a lui.

Jake si svegliò parecchie volte quella notte. Ogni volta si chiedeva se stava semplicemente impazzendo per poi trarre un notevole conforto dalla calda presenza di Camilla, addormentata accanto a lui. Una volta si alzò e vagò nudo per la casa in cerca della doppietta. Per qualche ragione non riusciva a togliersela dalla testa. Infine trovò l’arma dove Camilla l’aveva lasciata, nella stanza comune appoggiata in un angolo. Strinse le dita attorno alle due fredde canne di metallo, poi decise di lasciarla dov’era.

Controllò la porta della casa. Non era chiusa a chiave. In effetti, scoprì dopo un veloce esame, sembrava non esservi modo di chiuderla a chiave.

Aprendo la porta per guardare fuori, Jake osservò lo stabile bagliore delle luci elettriche venire dalla grotta e udì l’incessante martellare del vecchio immerso nel suo lavoro.

Dopo non riuscì più a dormire veramente, nonostante la stanchezza.

Svegliandosi alla luce del giorno con un brusco sussulto cercò per prima cosa di ricordare qualche oscuro sogno, ma questo svanì man mano che ci provava. Era solo. Il sole penetrava nella stanza dagli spazi a lato delle tende a fiorami. Ora poteva osservare meglio i colori e l’arredamento della stanza, e non era più stanco e stordito al punto da non poter pensare. Quella era la stanza di una donna: in giro non vide nulla di maschile.

Sedendo nudo al bordo del letto e facendo del suo meglio per notare i particolari di quell’ambiente, Jake confermò l’impressione ricevuta la sera prima: la casa aveva dei veri vetri alle finestre e persino delle zanzariere, purtroppo lacere e trascurate. Le pareti interne erano formate dal lato piatto dei tronchi divisi in due, ben lavorati e allineati e accuratamente dipinti di bianco. Le ingentilivano due quadri: uno con un mazzo di fiori in un vaso, l’altro con barche in un porticciolo. Lo stile pareva lo stesso degli schizzi di Camilla. Dei piccoli scaffali fissati al legno reggevano un buon numero di cianfrusaglie. A terra vide un bel tappeto dall’aspetto praticamente nuovo. I vestiti che Camilla si era tolta la sera prima non c’erano più. Jake aprì la porta di uno degli armadi. Abiti maschili, camicie e pantaloni, poi una camicia che conosceva: Camilla l’aveva indossata al loro secondo incontro. C’era anche un abito da sera color azzurro appeso per conto suo. Gli scaffali e il pavimento dell’armadio apparivano alquanto impolverati; su uno degli scaffali vide una sveglia con le lancette puntate sulle dodici meno cinque. Jake la raccolse e la scosse, ma senza alcun risultato.

Qualcuno aveva lavorato un sacco per costruire quella casa e arredarla, ma adesso dava la netta impressione di star andando lentamente in rovina.

Sperando di trovarvi un bagno, Jake tornò in camera da letto e provò ad aprire la porta rimasta chiusa la sera prima. Invece con sua grande sorpresa vi trovò un’altra piccola stanza, arredata con lo stesso gusto delle altre due ma fornita di un letto per bambini. C’erano anche una sedia a dondolo, sempre per bambini, tappezzeria alle pareti con pagliacci e piccoli orsetti e un solo, dimenticato animale di peluche su uno scaffale. Era un coniglio, e aveva tutta l’aria di essere lì da una mezza eternità.

E su un tavolino in un angolo vide la piccola scatola del pranzo a cui tanto teneva Tyrrel.

Jake trovò il bagno appena fuori dalla stanza comune, il posto più logico dove fare un bagno dal punto di vista del costruttore poiché le condutture e lo scarico potevano facilmente sfruttare quelle del lavello. L’acqua veniva trasportata dal torrente per mezzo di una condotta, e qualcuno si era sobbarcato il fastidio di costruire una fossa settica.