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Tornando dentro la sala comune, Jake notò anche un frigorifero elettrico e persino una piccola stufa elettrica. Molto grazioso. Sulla parete, un calendario sbagliato di soli tre anni lo informava che era il mese di giugno del 1932.

Camilla comunque non c’era, né lì né altrove.

Jake si vestì e continuò fuori il suo giro esplorativo, notando mentre passava la posizione strategica di un paio di pioppi piantati apposta per fare ombra alla casa nei pomeriggi estivi. Ancora nessun segno di Camilla. Nessun segno neanche del vecchio scultore, fortuna o meno che fosse.

Pian piano si avvicinò all’imbocco della grotta. Dovette chinarsi un poco per riuscire a guardare dentro, ma una volta superata l’imboccatura, la volta si alzava consentendogli di stare in piedi. Per quanto poté vedere, lo spazio interno era buio e silenzioso con la sola eccezione della poca luce solare che riusciva a penetrarvi. Evidentemente il vecchio Tyrrel si era finalmente stancato ed era andato a riposare. Be’, sicuramente non era in casa.

In piedi appena dentro la grotta, davanti alle invisibili profondità delle tenebre, Jake pensò di chiamare il vecchio Tyrrel ad alta voce per poi decidere di lasciar perdere, almeno per il momento. Scrutando di nuovo nel buio, non riuscì a vedere nulla che potesse in qualche modo aiutarlo.

Non sapeva dove altro cercare Camilla o Tyrrel; tuttavia giurò a se stesso che il vecchio pazzoide avrebbe dovuto rispondere a qualche domanda alla prima occasione, e rispondere in modo chiaro se non voleva pentirsene.

Tornando alla piccola casa, Jake notò qualcosa che prima doveva essergli sfuggito. Sul tavolo grande della sala comune vi era una nota per lui.

Si trattava di un breve messaggio scritto a penna sul retro di una vecchia busta:

AMORE, SONO ANDATA A PESCARE.
BACI. BAMILLA.

Amore eh? Jake pensò a quella parola e poi a ogni parola del messaggio. Dopodiché posò nuovamente la busta sul tavolo. Improvvisamente si sentì affamato. Aprì la porta del frigorifero e fu felice di trovarvi qualcosa da mangiare.

Due mele rugose, qualche arancia e un sacco di cose meno attraenti avvolte in carta cerata, due bottiglie di birra e alcune lattine di coca-cola. E, su un piatto, formaggio, pane e prosciutto, ciò che restava dei panini del giorno prima. Vide anche alcune uova in un contenitore di cartoncino, ma non aveva la minima voglia di uova fritte.

Di conseguenza si fece un robusto panino al prosciutto e formaggio con l’aggiunta di un po’ di senape e continuò a guardarsi attorno. Fino a quel momento, stava avendo un notevole successo nel mantenere il suo enorme problema confinato in un angolo della mente. Senza quasi neppure pensarci si era convinto che, se fosse partito per l’accampamento riposato e alla luce del giorno, lo avrebbe ritrovato senza alcuna difficoltà.

Nella credenza della cucina Jake trovò dei sacchi di iuta contenenti riso e fagioli, dei pesanti sacchi di farina e un contenitore pieno di patate. Più in alto vide tre o quattro scaffali pieni zeppi di lattine contenenti ciò che classificò semplicemente come roba commestibile.

L’aroma di caffè lo attrasse verso un bricco posato sulla stufa per mantenerlo caldo. Si guardò attorno e trovò le tazzine su uno scaffale e lo zucchero in un barattolo. Le cose stavano cominciando a quadrare. Alla fine, pieno di cibo e caffeina inspirò profondamente un paio di volte, si alzò e uscì.

Guardandosi attorno con lo stomaco pieno, calmo e razionale nella forte luce del giorno estivo, decise che quel piccolo canyon non aveva davvero nulla di particolare. Sembrava semplicemente una delle molte, strette valli che confluivano nell’immenso scenario del Grand Canyon. Non c’era motivo per cui uno non potesse tornare a casa da lì. Perplesso più che mai, poiché adesso non credeva nemmeno più al disorientamento della sera precedente, Jake decise di riprovare a scendere il piccolo sentiero accanto al torrente.

Alla luce del mattino, con gli uccellini che cinguettavano e il torrente che scrosciava, il canyon pareva un posto quantomai idilliaco. Il solo problema era che non riusciva più a ritrovare i punti di riferimento notati quando era salito la prima volta con Camilla, mentre tutto confermava le osservazioni fatte la sera prima durante il fallito tentativo di andarsene.

Presto Jake poté constatare che i cambiamenti non erano solo nella sua fantasia. Ben ricordando il sentiero percorso due volte al tramonto della sera prima impiegò solo pochi minuti per giungere in vista del Colorado, dando naturalmente per scontato che quello fosse il fiume che aveva conosciuto per quattro mesi con quel nome. Perché quello era in realtà un ampio e impetuoso torrente zeppo di grandi rapide, non certo il Colorado che scorreva placido e profondo nel Grand Canyon.

Uscendo a un certo punto dal sentiero prese a cercare il punto dove, a quanto ricordava, Camilla aveva sparato allo strano e gigantesco orso. I resti della bestia erano ancora là, ma qualche altro animale se n’era nutrito durante la notte. Ciò che restava stava attirando orde di mosche e di formiche.

Jake restò immobile per qualche istante guardando quel guazzabuglio di sangue e pelo. Poi chiuse gli occhi. Quando li aprì, era ancora là.

Alla luce del sole lo strano paesaggio attorno al grande fiume non appariva meno estraneo della sera prima. Anzi, in un certo qual modo risultava ancora più strano adesso, perché poteva vederne fin troppo chiaramente le incredibili formazioni.

Mentre osservava quelle impossibilità geografiche con la mente pervasa da mille drammatici pensieri, Jake udì un rumore e vide Camilla. Indossava gli stessi vestiti del giorno prima e muoveva verso di lui attraverso un piccolo passaggio a valle del grande fiume. Un cappello femminile da giardino a falda larga la proteggeva dal sole mattutino. Era stata veramente a pescare e ne aveva le prove: una canna da pesca realizzata con un ramo verde e flessuoso e tre pesci abbastanza grossi, simili a trote e agevolmente trasportati grazie a un ramo di salice infilato nelle branchie. I pesci erano ancora tanto freschi da agitare le code mentre lei camminava.

— Buongiorno — disse Camilla con fare un po’ indeciso, come se lei e Jake si fossero appena conosciuti. E forse, pensò lui, era dannatamente vero.

— ’giorno — rispose.

— Oggi a pranzo abbiamo pesce.

— Io ho già mangiato. Grazie per il caffè. Senti, Camilla, io me ne vado a casa. Torno al campo. Vieni con me se vuoi. Sono certo di riuscire prima o poi a trovare la strada alla luce del giorno, ma preferisco farmela mostrare da te.

Il sorriso di Camilla si smorzò d’incanto. La sua voce si fece roca. — Mi piacerebbe tanto poterlo fare, Jake.

Lui la guardò immobile, senza veramente sapere cosa dire o fare.

— Jake — chiamò lei con voce timida, posandogli una mano sulla spalla. — Riaccompagnami a casa, tesoro, prima di andartene. Voglio parlarti.

Di nuovo lui la seguì, constatando amaramente che non poteva fare altro.

Tornati al cottage, Camilla si mise immediatamente al lavoro pulendo il pesce su un rozzo tavolo di legno appena fuori dalla finestra della cucina. Da qualche parte si fece avanti un gatto variopinto e semi addomesticato, che subito dedicò una certa attenzione ai movimenti della giovane donna.

Brandendo una piccola mannaia, Camilla tagliò con un singolo colpo una testa di pesce. Poi prese un corto coltello estremamente affilato e iniziò a tagliare la viscida pancia dell’animale. In volto aveva un’espressione cupa, ma Jake sapeva che non era disgusto per il lavoro che stava facendo.

— Avanti, dimmi tutto — fece Jake.

— Io volevo dirti che mi dispiace… — cominciò lei senza sapere come continuare.