Ripercorrendo mentalmente le brevi sequenze dell’inseguimento, Bill non riuscì a credere che fosse durato più di pochi minuti. Con un senso di smarrimento sempre più soffocante alzò gli occhi verso l’alto cercando le luci di Canyon Village. La nebbia si era dissolta, e le luci stradali dovevano per forza risultare visibili dalla sua posizione. Eppure nulla forava la totale oscurità di quella notte.
Imprecando e rabbrividendo, accese di nuovo la torcia puntandola in ogni direzione. Subito i suoi occhi si riabituarono alla luce e scrutare nel buio si fece più difficile, ma a quel punto ormai la cattura dei due intrusi non contava più nulla per lui: a quel punto si sarebbe semplicemente accontentato di ritrovare la via di casa.
Adesso avanzava piano lungo quella che sembrava una sorta di piccola cresta rocciosa in graduale salita. La seguì fino a quando non si ritrovò ai piedi di una mastodontica rupe, e fu allora che qualcosa in lui cominciò a rassegnarsi: nulla gli tornava familiare in quel territorio completamente sconosciuto. Le sue speranze ripresero fiato per un attimo quando scorse ciò che sembrava un piccolo sentiero di capre. Lo seguì per un po’, ma all’improvviso anche quello svanì. Ormai da tempo aveva superato il limite entro cui ristagnava la nebbia, ma questo non lo aiutava molto. La massa scura sopra di lui, ineffabilmente remota, che tracciava una brusca linea di demarcazione tra il cielo e la terra doveva per forza di cose essere il ciglio del canyon. Tuttavia, e questo sì che era incredibile, su di essa non compariva il raggruppamento di luci che indicava Canyon Village.
Possibile che là sopra fossero saltate le luci? E che altro sarebbe dovuto succedere quella notte?
Sospirando, Bill riprese testardamente a salire il brullo declivio da cui doveva per forza essere sceso. E va bene, non si trovava sulla stessa dannata scarpata. Non riusciva più neppure a ritrovarla. Per qualche ragione, quella salita sembrava profondamente, intimamente diversa. Rupi, frane e ostacoli di ogni sorta si ergevano dove era convinto di non averne visto nessuno solo mezz’ora prima.
Presto si fermò nuovamente, stavolta imprecando ad alta voce. Terreno sconosciuto o no, non poteva essersi perso così stupidamente. Non gli era mai successo neppure da bambino. Se gli altri avessero saputo di un tale fallimento, si sarebbe davvero arrabbiato con se stesso.
E quindi continuò a salire.
Dopo aver guadagnato un po’ di altitudine superando, come si augurò, qualche cresta rocciosa che gli impediva la vista del vero ciglio del canyon, Bill si fermò e provò di nuovo la sua radio. Di nuovo il piccolo dispositivo vibrò di scariche statiche, inizialmente, e poi… poi finalmente risuonò la voce familiare di Maria.
— Qui casa Tyrrel — stava dicendo Maria, scandendo bene le parole nell’evidente sforzo di farsi sentire a tutti i costi. — Bill, mi sente? Risponda.
Premendo un tasto, Bill descrisse con molta riluttanza la sua situazione a Maria e dicendo che la cosa migliore da fare era sedersi dove si trovava e aspettare l’alba.
— Sieda e aspetti l’alba, allora — replicò la voce sottile e distorta di Maria. — Ha bisogno di qualcosa?
Lui le rispose di no, ma non fu sicuro di venire sentito. In risposta arrivarono solo scariche statiche.
Bill spense la radio e la ripose nel taschino; poi, tra borbottii e imprecazioni abbassò la lampo della giacca perché aveva caldo. Forse l’inseguimento era durato più di quanto credesse. Diamine, quella doveva essere la spiegazione anche se il motivo per cui le luci di Canyon Vìllage restavano nascoste era ancora tutto da spiegare.
Nonostante ciò che aveva detto a Maria, continuò a tentare. Progredendo molto lentamente verso l’alto, Bill dovette finalmente ammettere a se stesso (con qualche imbarazzo niente affatto attenuato dal fatto che nessuno poteva vederlo) che sembrava proprio destinato a dovere aspettare le prime luci dell’alba per ritrovare la strada di casa Tyrrel e dell’albergo.
Certo ritrovarsi in quelle condizioni era un disastro, ma poteva anche andare peggio: per esempio poteva cadere da una dannata rupe. Per cui sedette su un comodo masso e si mise a pensare. Ma dieci minuti dopo un brivido di freddo lo spinse ad alzarsi e a vagare in un piccolo spazio controllato, agitando le braccia e saltellando pensando di tanto in tanto di accendere un fuoco. Tuttavia il freddo si era fatto molto più sopportabile, e solo una leggera brezza gli dava quell’epidermica sensazione di freddo. Alternando periodi di movimento a periodi di riposo riuscì addirittura a dormire un po’ appoggiato alle rocce, augurandosi che i serpenti a sonagli si mantenessero a debita distanza.
Qualcosa lo svegliò dal suo scomodo sonno. Si alzò massaggiandosi il collo irrigidito. Le stelle si affievolivano, preannunciando finalmente il prossimo arrivo dell’alba. Stiracchiandosi e muovendosi un poco per riscaldarsi, osservò il lento sorgere del sole. Il cielo a oriente sfumava ora in un grigio indistinto in lenta espansione nella massa spenta e nera sopra di lui. Poi, prendendo forma con gradazioni indefinibili, un’ampia linea di pallida luce spazzò definitivamente le tenebre segnando il piatto orizzonte per miglia e miglia. Ovunque intorno a Bill, vaste distese di terreno e ancor più vaste estensioni di spazio puro e arioso iniziarono a prendere forma, a uscire dalla nebbia e dalla tenebra…
E poi fu l’alba. Al grigio leggero e sfumato dell’inizio subentrarono i colori della terra e l’azzurro del cielo. Un’alba come tante sulla Terra. Ma qui il territorio che pian piano tornava alla vita, alla luce, non ricordava nulla di conosciuto. Lo sguardo di Bill si fermò su una lontana formazione, un pan di zucchero sempre più rosso nonostante il lento svanire del viola nel cielo. Quanto distava quella strana protuberanza del terreno, quella cosa tanto insolita da sembrare impossibile su questo pianeta? Un miglio? Due? Cinque?
Attimo dopo attimo la complessità della scena si fece più chiara, e proprio per questo più incredibile. Aveva visto molte immagini del Grand Canyon, come tutti del resto, ma nessuna foto e nessun film potevano rendere l’intensità del panorama che gli si apriva davanti e neppure sperare di avvicinarvisi. Questa… questa era la Genesi. La creazione del nostro pianeta.
Infine con riluttanza obbligò la sua mente a pensieri più prosaici. In quel panorama indescrivibile non v’era traccia delle persone che aveva inseguito nella notte, né di nessun altro.
A quanto gli era dato di vedere e soprattutto di sentire, lui, Bill Burdon, poteva anche essere l’ultima persona sull’intero pianeta, o forse la prima.
Imponenti formazioni rocciose lo circondavano da ogni parte, torreggianti e colorate. Sapeva che il canyon era largo più o meno dieci miglia in quel punto, un territorio irregolare, inospitale e magnifico punteggiato ogni tanto da alberi, cactus e cespugli, zeppo di canyon laterali che si perdevano chissà dove. Impossibile attraversarlo a piedi, anche se sapeva che esistevano dei sentieri.
Il fiume, che Bill si aspettava in qualche modo di veder scorrere sotto di lui alla luce del mattino, restò invece nascosto nella parte più profonda della gola. Le balze soprastanti quella parte finale dell’abisso erano, stimò, a più di trecento metri sotto il costone su cui lui si trovava. Là, sotto un’ampia porzione di terreno punteggiato da quelli che sembravano cespugli di artemisia declinava dolcemente verso il margine di quell’ultima spaccatura nella terra. Ma di nuovo l’altezza e la distanza risultarono difficili da calcolare.
Bill riprese a marciare e salì per una buona mezz’ora, per poi fermarsi e dare un’occhiata attorno a sé. Per quanto poteva dire dai cambiamenti nelle parti più lontane di quell’intenso panorama, non sembrava essersi mosso affatto.
E quindi riprese a salire. Si fermò dopo qualche tempo, osservando allarmato la porzione di terreno in dolce discesa molto sotto di lui. Con la coda dell’occhio aveva visto un animale… un elefante, o comunque qualcosa con una proboscide da elefante intento tranquillamente a pasteggiare strappando rami e foglie dagli alberi lontani. Incredulo si sfregò gli occhi. Il sole gli aveva forse dato alla testa? Stava quasi per darsi un pizzicotto quando vide un’altra creatura molto simile alla prima. Ma stavolta sbagliarsi era difficile: il grosso pachiderma rimase in vista parecchi secondi prima di sparire dietro una piega del terreno.