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— Ma certamente. Anzi, grazie infinite — fece Bill, pensando che così avrebbe avuto più tempo per cercare di convincerla a tornare a casa. — Oh, dimenticavo: posso farti qualche foto? Solo per provare agli altri che sei davvero qui e in buona salute.

Lei ci pensò sopra. — Va bene. Faccia pure.

Bill impugnò la macchina fotografica. — Un’ultima domanda…

— Sentiamo.

— Chi pensi potessero mai essere quei due che hanno cercato di penetrare ieri notte a casa di tua zia?

— Meglio non chiederselo.

Bill decise di lasciare perdere. Scattò un paio di polaroid e annunciò di voler partire.

Come promesso, Cathy lo accompagnò per mostrargli la strada. Evidentemente si sentiva sicura per lasciare la sua tenda così. D’altro canto il tipo di terreno e le condizioni atmosferiche consentivano di lasciare per un po’ il fuoco incustodito.

Marciarono per più di mezz’ora su e giù per le balze del canyon in una direzione del tutto ignota a Bill. Ma nonostante nutrisse qualche dubbio, doveva ammettere che era lui a essersi perso, non Cathy. A un certo punto la ragazza si fermò e gli indicò la strada da seguire.

Dopo essersi salutati, Cathy lo guardò allontanarsi immobile e con le braccia conserte.

Bill avanzò per una cinquantina di passi, poi si voltò per salutarla agitando una mano. Ma la ragazza che era andato a salvare stava già tornando indietro e quindi non vide, e tantomeno restituì, il suo gesto di saluto.

Pazienza. La direzione giusta ormai la conosceva e quindi doveva solo affrettarsi a tornare. La storia di Cathy lo lasciava alquanto perplesso. Anzitutto, come poteva portarsi un mese di provviste in quello zaino? Certamente quella roba liofilizzata era leggera e teneva poco spazio, ma…

Non fece neppure in tempo ad approfondire la cosa o a muovere dieci passi in più che il corso dei suoi pensieri venne distratto dalla netta impressione che qualcosa fosse cambiato nell’aria e nella luce, come se una nuvola avesse momentaneamente oscurato il sole. Eppure il cielo era completamente sereno.

Guardandosi attorno per qualche istante, giunse alla conclusione che nulla sembrava sbagliato nel sole o nel cielo. Tuttavia entrambi apparivano fastidiosamente diversi.

Ancora seguendo la direzione indicatagli da Cathy, distratto da quelle che sembravano strane alterazioni nel tempo e nell’ora di quell’assurda giornata, Bill giunse in vista dell’albergo El Tovar in meno di mezz’ora. Tanto repentina e inaspettata gli si parò davanti la sagoma dell’albergo che soffrì un attimo di serio disorientamento. Salendo quella che sembrava solo una cresta secondaria si era ritrovato senza alcun preavviso sull’altopiano e, nello stesso istante, l’inconfondibile punto di riferimento costituito dal grande albergo interamente in legno si delineò all’orizzonte a meno di un chilometro di distanza.

Con un senso di sollievo misto a frustrazione per essersi perso come un novellino, Bill si avviò a grandi passi verso Canyon Village.

Ma stranamente quel giorno l’edificio centrale dell’albergo pareva strano, diverso, più piccolo del giorno prima.

Pensieroso, si diede una grattatina al mento… solo per fermarsi totalmente perplesso. Ricordava bene di essersi rasato il giorno prima, la mattina stessa che era partito da Phoenix. E adesso si ritrovava, si ritrovava davvero, una barba di tre, quattro giorni.

Preoccupato e incredulo, Bill si affrettò verso l’hotel. Ma poco dopo si fermò di nuovo, sfregandosi gli occhi e guardando ancora. Aveva un’ottima vista, soprattutto alla distanza, ma quel giorno i suoi sensi sembravano intenzionati a tradirlo in tutti i modi perché davanti a lui, in un parcheggio incredibilmente ridotto, gli sembrava di vedere una mezza dozzina di auto stile anni Trenta tranquillamente parcheggiate. In giro nessun turista e nessun’altra macchina.

Il giovane detective si sfregò nuovamente gli occhi. Forse era quel caldo torrido a far sembrare tutto diverso. Ma… un momento: caldo torrido a Capodanno? Adesso che ci pensava, il sole picchiava come ad agosto!

Naturalmente non poteva fare altro che continuare a salire, fino a penetrare in un tratto alberato con pini e cedri che nascose alla vista l’assurda immagine di quell’hotel troppo ridotto. In quell’intervallo riuscì in qualche modo a convincersi, nonostante il sole e il gran caldo, di essere davvero tornato nel prosaico mondo lasciato la sera prima, nel tardo dicembre del 1991.

Ma qualche attimo più tardi il sentiero lo portò fuori dal bosco. E di nuovo, senza possibile errore, vide l’El Tovar, o meglio la desolata versione dell’affollato albergo che ricordava di aver lasciato il giorno prima.

Tutto ciò che riuscì a fare fu lasciarselo dietro alla svelta.

Dopodiché passò, riconoscendolo, lo spiazzo che segnava l’inizio del sentiero del Bright Angel. Lo steccato però era molto più rozzo di quello che ricordava, e ben poche case rispetto al giorno prima guardavano dal margine il canyon sotto di loro.

Qualche minuto dopo giunse in vista di casa Tyrrel.

Il sole picchiava forte, ed era un caldo pomeriggio d’estate. La luce non aveva nulla d’invernale… ma Bill cercò in ogni modo di non pensarci in quel momento. Tuttavia non poté evitare di togliersi finalmente il giaccone da sci e di portarlo sul braccio.

Alcuni turisti, ma in numero molto inferiore alle aspettative, muovevano verso di lui seguendo il sentiero che sostituiva in quell’incubo il comodo viale pedonale del giorno prima e che passava a una distanza ben maggiore dalla casa di quanto ricordasse. Quei villeggianti, ammise Bill, vestivano in modo assolutamente estivo. E se li guardava attentamente, consentendo a se stesso di pensare a ciò che vedeva, avrebbe dovuto ammettere qualcosa di molto più allarmante. Quella gente vestiva in modo davvero strano. Sembravano usciti dall’album di fotografie degli anni Trenta di suo nonno. Quando si incrociarono, quelli tra loro che lo guardarono sembrarono ugualmente impressionati.

Bill diede le spalle ai turisti in costume. I suoi piedi lo portarono faticosamente davanti alla porta di quella che doveva, sì, doveva essere casa Tyrrel. Nessun dubbio a riguardo. Stessa casa, stesso posto. Poteva riconoscere le linee familiari dell’edificio, rimaste inalterate rispetto al giorno prima.

Ma…

La porta di casa del celebre scultore era socchiusa. Da dentro venivano delle voci di bambini piccoli, due, tre anni. Dovevano essercene almeno un paio.

Inoltre l’area davanti alla casa non era più pavimentata con le lastre quadrate tipiche del parco. Ora uno stretto sentiero attraversava un campo incolto e conduceva direttamente alla porta della casa.

Stava giusto guardando la porta quando questa si aprì del tutto. Ne uscì una giovane donna con una bambina di quattro anni, vestita di una salopette di cotone. La donna invece portava indumenti degli anni Trenta e un largo cappello da giardino.

La bambina, notò Bill, aveva degli occhi molto insoliti. Il loro morbido colore grigio azzurro gli ricordò subito gli occhi della ragazza di nome Cathy che aveva appena lasciato. Entrambe si fermarono a guardare il giovane stranamente vestito fermo davanti alla porta di casa loro.

— Buongiorno, signora — disse Bill alla giovane donna, abbozzando un leggero inchino secondo la miglior tradizione campagnola.

— Buongiorno a lei — rispose piano la donna, pensando forse che il modo più sicuro di agire fosse ripetere il saluto dello straniero. Poi, dopo aver osservato Bill rispondere con un incerto sorriso, gli chiese: — Posso fare qualcosa per lei?

— Non sapevo — disse Bill dopo un istante — che qualcuno vivesse qui. È una casa molto bella, signora. — Questo, si disse, era certamente inadeguato. — Oh, il mio nome è Bill Burdon — si affrettò quindi ad aggiungere.

La giovane donna lo guardò per una decina di secondi, per poi presentarsi a sua volta. — Io sono Sarah Tyrrel. — Pausa. — Se cerca mio marito, non sarà di ritorno che stasera.