— Un espediente temporaneo. Lo apprezzo molto, ma…
— Già, ha ragione.
Maria Torres sbatté le palpebre stupita, spezzando così il filo di un sogno a occhi aperti in cui qualcuno la chiamava per nome. Si trovava sul balcone di casa Tyrrel, un balcone sospeso direttamente sul baratro. D’istinto guardò sotto. Qualcosa di molto seducente l’attendeva laggiù.
Un colpo di sonno sul lavoro, ecco tutto, o un sogno a occhi aperti. Forse era questo l’effetto che il canyon faceva alla gente.
11
Mezz’ora dopo il tramonto del giorno successivo a quello della disastrosa ribellione a Tyrrel, Jake si trovava nella grotta con il suo nuovo padrone parlando con calma di lavoro. Il suo braccio destro faceva ancora male quando lo muoveva in un certo modo, ma a parte quello, era come se la zuffa del giorno prima non fosse mai accaduta.
Edgar stava ispezionando il lavoro svolto quel giorno da Jake. In genere lo commentava in modo favorevole, anche se di quando in quando si dichiarava insoddisfatto di questo o quel particolare.
Jake aveva trascorso l’intera giornata a scavare nel profondo scisto Visnù in fondo alla grotta in cerca dei piccoli noduli bianchi. Edgar voleva averne sempre parecchi a disposizione, di forma e dimensioni variabili. Li teneva in pesanti latte metalliche circolari e, naturalmente, sul banco di lavoro. Per le sculture usava solo i più belli; gli altri venivano portati sul fondo della grotta, davanti alla fessura che faceva da ingresso alla camera segreta. Come se fossero destinati a finirvi una volta o l’altra.
Quel giorno il lavoro, il duro lavoro da minatore svolto solo con mazza e piccone, procedeva davvero lentamente. Per fortuna sembrava proprio che a Edgar non interessasse la rapidità, ma solo che la ricerca dei bianchi noduli fosse completa e che lo tenesse occupato per la maggior parte delle ore del giorno. Ogni volta che trovava un grumo della candida pietra, Jake doveva scavare sotto di esso con la massima attenzione per estrarlo intero. Poi lo portava sul banco di lavoro dove i noduli venivano divisi per forma e dimensioni.
Il tavolo da lavoro era un lungo e rozzo tavolo di legno bene illuminato sistemato lungo una parete in prossimità dell’ingresso. Qui erano sparsi una dozzina o poco più di bianchi noduli di modeste dimensioni, mentre un paio erano fissati al tavolo con delle morse, pronti evidentemente per venire lavorati e assumere le fattezze di cose vive. Il candido materiale era pietra, o almeno Jake non avrebbe saputo come altro classificarlo, ma alla vista e al tatto appariva diverso da qualsiasi materiale avesse mai maneggiato.
Edgar rivelò a Jake di essersi procurato alcuni dei noduli che vedeva sul tavolo da lavoro direttamente dalle rapide del Colorado, avvisandolo che lui e Camilla non potevano utilizzare i suoi metodi di raccolta e aspettarsi di sopravvivere.
Sembrava esservi una grande abbondanza di noduli nella grotta in quel momento, come Jake poteva vedere da sé. Si chiese se davvero Edgar ne avesse bisogno o se non lo facesse lavorare solo per tenerlo occupato e lontano dai guai. Le parole di Camilla riguardo quel qualcosa in più che Edgar voleva da loro gli tornavano ogni tanto in mente, drammatiche e inquietanti.
La maggior parte delle volte Jake lavorava a torso nudo, sudando come un matto. Là dentro era decisamente più fresco che fuori, dell’aria del roccioso anfiteatro che cuoceva giorno dopo giorno sotto il sole, ma vi faceva comunque caldo. Doveva dunque fermarsi abbastanza spesso, e nelle ore più calde del giorno, Camilla gli portava limonata fresca. Teneva la luce elettrica sempre accesa: ne aveva bisogno, se voleva vedere bene quello che faceva, e la spegneva solo quando un raggio di sole entrava con l’angolazione giusta nella caverna. In quel momento per esempio erano accese. Edgar però non ne aveva bisogno quanto lui: la vista del vecchio uomo era estremamente acuta e gli consentiva di notare in quella penombra particolari minimi anche alla distanza.
Sul lavoro Jake usava picconi, mazze e martelli, scalpelli, piedi di porco e ceselli. Edgar aveva degli esplosivi a portata di mano, chiusi in una baracca appena fuori dalla caverna, ma evidentemente non li gradiva molto.
E proprio quella sera ne parlarono. — Ho provato la dinamite — disse Edgar. — Ma questo è un posto insidioso per usare gli esplosivi. Molto meglio estrarre a mano ciò che serve. Ecco perché sei qui.
Jake annuì. Quel giorno il vecchio uomo dava mostra di un’attitudine tanto pacata e confidenziale che lui non poteva evitare di pensare che, nonostante quanto fosse accaduto, quello si sarebbe dimostrato un lavoro decente e accettabile. Era una speranza folle, si diceva ogni tanto, ma in qualche maniera quando Tyrrel parlava in modo tanto ragionevole sembrava solo naturale.
— Cosa c’è là dietro? — si decise a domandare Jake, accennando verso la cavità quasi completamente bloccata in fondo alla caverna. Era tale l’atmosfera in quel momento che sperava di ottenere una risposta.
Edgar lo guardò. — Il mio lavoro — replicò seccamente, ponendo l’accento sulla seconda parola.
— Ehi! — esclamò Jake mezz’ora dopo essere tornato nella piccola casa, un’ora circa dopo il tramonto. Era praticamente la prima sillaba che pronunciava da quando Edgar gli aveva detto che poteva tornare a casa per la sera.
Si trovava in piedi davanti al frigorifero, tenendo la porta aperta e guardando dentro. Qualcosa di strano aveva attratto la sua attenzione e si chiedeva come poteva essere stato tanto lento a notarla.
— Cosa c’è? — fece Camilla muovendosi qua e là dietro Jake, prosaicamente presa dalla preparazione della cena.
— Si direbbe che qualcuno abbia fatto compere.
Soltanto la notte prima Jake aveva notato, senza però pensare più di tanto alla faccenda, che le provviste nel frigorifero cominciavano a scarseggiare. Gli scaffali della credenza erano ancora pieni di cibo secco o inscatolato e non si correva certo il rischio di soffrire la fame; quindi lui non si era chiesto neppure per un attimo da dove venissero le uova, il prosciutto e il formaggio. Ma quella mattina aveva trovato del cibo fresco nel frigo, il cibo che adesso si ritrovava a contemplare.
In qualche modo, il frigo era stato riempito nella notte. — Da dove diavolo viene questa roba? Ehi, ma questa sembra birra!
— La porta Edgar. Ieri notte, mentre tu dormivi, ha riempito il frigo. Ogni settimana parte per quello che chiama il ritorno alla realtà. Va sull’altopiano, quello vero, quello dove vive la gente. Qualcosa la prende al centro commerciale dell’El Tovar (proprio così ha detto) e il resto in altri posti.
Pensosamente, Jake prese e guardò una scatola di formaggini Kraft. Nonostante la strana confezione, provò un tuffo al cuore osservando il nome tanto familiare sulla scatola. Dimostrava che il vero mondo non era completamente fuori portata. — In qualche modo credevo che restasse qui tutto il tempo.
— Lui dice che gli piacerebbe. Restare qui e lavorare, ecco tutto ciò che vuole. Brontola sempre prima di questi suoi viaggi. Ma ha bisogno di attrezzi e di altre cose. E di comprare cibo per noi che respiriamo.
— Scusa?
— È questo ciò che siamo: quelli che respirano. Edgar no. Non lo hai ancora notato? Edgar non respira.
Jake la guardò sgranando gli occhi. Ma ormai aveva capito che nel Canyon Profondo più una cosa sembrava assurda e più probabilità aveva di essere vera.
Camilla stava annuendo. — Non sto scherzando. Osservalo bene la prossima volta e vedrai che non respira, tranne quando ha bisogno di aria per formare le parole — disse, per poi ridurre la voce a un sussurro. — Perché così sono i vampiri.
— Vampiri? Vuoi dire come nei film?
— Be’, non esattamente — fece Camilla, guardando il frigo pieno e ridacchiando stranamente. — A giudicare da tutta questa roba, si direbbe che voglia mantenerci entrambi in forma.