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Attraverso l’oscurità, Jake si rese conto che la grande e pesantissima lastra che chiudeva l’ingresso della camera era stata rimossa. Adesso lo spazio bastava appena per consentire a Camilla di passare sfiorando la roccia col corpo nudo. Subito Edgar la seguì, scivolando con facilità attraverso l’apertura nonostante fosse molto più robusto della ragazza.

Quasi affascinato, terrorizzato ma incapace di trattenersi, Jake si avvicinò passo dopo passo.

Fino a vedere il modo in cui i corpi di Edgar e Camilla si unirono. Camilla gemette quando il vecchio la spinse contro un angolo della parete. Jake intravide solo la testa e le spalle dei due, ma dal modo in cui erano disposti non potevano essere in contatto anche sotto la vita. E finalmente Jake vide con i suoi occhi ciò che Camilla aveva inteso accennando all’insolito modo di fare l’amore di Edgar. Tra gemiti lascivi i denti del vampiro, all’improvviso lunghi e acuminati come i denti di un ratto, si avvicinarono alla candida gola di Camilla.

Nauseato, Jake osservò la scena ancora per qualche secondo per poi ritrarsi verso l’ingresso della grotta, dove sedette sulla soglia di pietra con gli occhi persi nel vuoto cercando di non sentire gli occasionali gemiti, forse di piacere, che venivano da dentro.

Passò un’ora, ma poteva anche trattarsi di molte ore. Il cielo a oriente cominciava ormai a schiarire quando Camilla uscì incespicando dalla camera segreta. Jake rialzò la testa per vederla lentamente emergere, spettrale e in qualche modo pietosa nella livida luce dell’alba. Nello stesso momento Jake udì la grande lastra stridere, e comprese che Edgar stava muovendola da solo per richiudere l’apertura come prima.

Quando Camilla fu accanto a Jake, lui si alzò e la cinse protettivamente con un braccio.

— Camilla! Stai bene?

Lei gemette di nuovo e mormorò qualcosa. In quel momento Edgar comparve brevemente, fermandosi per un attimo all’entrata della grotta senza prestar loro la minima attenzione. Un battito di palpebre e il vampiro scomparve.

Jake si guardò attorno, confuso, nella luce del nuovo giorno. Con lui c’era solo Camilla, ora disperata e in lacrime.

Guardandola bene, Jake trovò senza difficoltà i due forellini insanguinati sul collo.

Appoggiandosi uno all’altro per aiutarsi, i due giovani tornarono lentamente alla casa, nella camera da letto dove i loro vestiti erano ancora sparsi dappertutto e dove il loro padrone, come Jake ora comprendeva appieno, poteva trovarli quando voleva.

Non c’era speranza, neppure una, di riuscire a dormire di nuovo. Inutile tentare. Mezz’ora dopo essere tornati a casa, seduti al tavolo della stanza comune fingendo di bere caffè, Camilla disse a Jake: — Lui vuole che tu mi metta incinta, sai?

Jake la guardò esausto. — Cosa? Ma perché?

— Non lo so, non lo so — replicò lei, per poi afferrarlo nervosamente per un braccio e dire: — Quando eravamo lì nella camera segreta…

— Sì?

— Non eravamo soli. C’era qualcos’altro.

— Cosa?

— Una cosa non umana, una presenza…

Jake ricordò la vaga forma intravista con la torcia nel corso della sua precedente esplorazione della grotta. Sentì rizzarsi i peli sulla nuca. — Cos’era, Camilla? Cos’era?

— Non lo so! Non voglio saperlo! Jake, portami via di qui! PORTAMI VIA DI QUI!

Ma Jake non poteva esaudire in alcun modo quella richiesta.

Un paio d’ore dopo lasciò Camilla sveglia e completamente vestita sul letto e tornò trascinando i piedi alla caverna, dove cominciò a lavorare estraendo i dannati noduli bianchi composti da quella roccia senza nome. Non c’era altro da fare, e comunque il lavoro lo aiutava a occupare il tempo.

E per Jake la parte veramente folle, quella che doveva spingerlo a pensare di stare impazzendo a sua volta, doveva ancora venire.

Arrivò quella sera, un’ora dopo il tramonto, quando si ritrovò di nuovo nella grotta in compagnia del vampiro scultore. Arrivò quando si trovava là in piedi con il vecchio Edgar e si sorprese a parlare tranquillamente con lui di sculture e attrezzi, di pesi e di misure come se tutto l’orrore della notte precedente, quell’orrore seducente e sensuale, riguardasse un’altra parte della sua vita.

Osservando il vecchio uomo maneggiare le rocce, vedendolo frantumare grossi blocchi di scisto Visnù con un solo colpo di mazza, Jake non poté far altro che meravigliarsi per la forza e l’abilità del suo padrone. E nonostante l’odio e la paura che provava, cominciava a sentirsi quasi entusiasta di quel lavoro.

E di nuovo la notte successiva Edgar penetrò senza preavviso nella camera da letto. Stavolta Jake continuò a dormire come se fosse stato drogato. Non si accorse di nulla fino a quando Edgar e Camilla non uscirono dalla porta. Poi, svegliatosi di soprassalto, s’infilò i vestiti e si avviò dietro di loro verso l’ingresso della grotta.

La scena della notte prima si ripeté con minime variazioni nei dettagli. Di nuovo il vampiro chiuse la giovane donna nell’angolo più lontano della camera, dove Jake poté vedere solo in minima parte ciò che accadeva. E di nuovo Jake ebbe l’impressione, stavolta supportata da una seconda osservazione, che Camilla fosse perlomeno in procinto di diventare una partner consapevole in quell’atto, qualunque cosa le facesse Edgar.

Ma, soprattutto, stavolta Jake riuscì a seguire bene ogni cosa che accadeva là dentro e così vide, o meglio percepì nettamente la terza presenza di cui parlava Camilla. Era una presenza insostanziale, ma vera come la luce.

Poté vedere quella forma biancastra e trasparente muoversi in modo tale da avviluppare per intero il corpo di Camilla, bevendo come il vecchio il sangue delle sue vene. Quando questo accadde, Edgar si ritrasse appoggiandosi a una parete della piccola cavità.

Poi fu lui a muoversi in avanti…

A quel punto Jake se ne andò con la netta impressione di aver visto tre forme legate in un orgiastico abbraccio.

Tornando di nuovo a casa con lui qualche minuto dopo il sorgere del sole, Camilla disse: — Oh, Jake, se continua a farmi questo tutte le notti… — e la frase restò in sospeso.

Jake poté immaginare una mezza dozzina di esiti se le cose continuavano in quel modo. Nessuna delle squallide immagini evocate nella sua mente aveva una logica, ma ognuna sembrava peggiore della precedente.

— Non possiamo farlo continuare così — replicò. Poi aggiunse, come per un secondo pensiero: — Dobbiamo ucciderlo.

Quell’ultima tetra affermazione aleggiò qualche minuto nell’aria. L’aveva pronunciata con leggerezza, come qualcosa di naturale, come se avesse detto che doveva prendere la legna per il fuoco.

E altrettanto casualmente Camilla annuì il suo accordo. — Sì, dobbiamo ucciderlo… ma non so se è lui che più dobbiamo temere in questo posto!

Per molto tempo dopo essere tornati a casa, Jake e Camilla sedettero al tavolo della stanza comune parlando poco e non facendo niente.

Poi, in modo perverso e quasi terrorizzante, lei si lasciò andare a scherzi e risate, prendendo ferocemente in giro Jake come se liberarsi dal controllo di Tyrrel fosse, dopotutto, l’ultima cosa che aveva in mente.

— Oooh, sei geloso Jake? — ridacchiò, parlando con voce sciocca e sottile. — Non devi proprio, sai? Il nostro caro Edgar non è affatto geloso di te!

Jake balzò in piedi senza rispondere e corse fuori di casa, dirigendosi verso la grotta a lavorare. Quando lei gli portò il pranzo, poco dopo mezzogiorno, sembrò seria e nuovamente padrona di sé.

12

Al meridiano di Greenwich, dieci minuti di longitudine a est di Londra, gli orologi segnavano mezzanotte e due minuti. Il penultimo giorno del vecchio anno era appena cominciato. L’uomo che in Arizona si faceva chiamare Strangeway sedeva adesso da solo nel buio salotto di una casa del Kent a circa un quarto di miglio dal centro del villaggio di Down.