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Da molti anni ormai nessuno viveva in quella casa. Ma per circa quarant’anni del Diciannovesimo secolo era stata la casa di Charles Darwin, e nella maggior parte dei giorni del Ventesimo secolo era aperta come museo. I turisti vi andavano con una certa regolarità, in numero relativamente ristretto, poiché non molti erano interessati al punto di fare lo sforzo di arrivarvi. Ma naturalmente a mezzanotte non vi erano turisti in giro: persino i custodi si erano recati ormai da tempo alle loro case e, forse, a letto.

Da quasi un’ora la figura piccola e vagamente arrotondata del solo visitatore notturno aspettava in piedi, virtualmente immobile, nello studio del grande scienziato. Ma l’ultimo tocco della campana di mezzanotte lo spinse finalmente a muoversi. Con dita leggere sfiorò alcuni degli scaffali pieni di libri, respirando apposta per sentire l’odore dello studio appesantito dal lucido usato in abbondanza per far splendere i mobili della casa-museo. In piedi accanto all’alta, scura sagoma della vecchia pendola di Darwin ascoltò con attenzione la grave, silente voce del meccanismo che vi era dentro. Perché i sistemi investigativi dell’insolito visitatore, elaborati nel corso dei secoli, erano più antichi di quelli della scienza moderna e spesso portavano a risultati più concreti.

Quasi tre minuti dopo mezzanotte il visitatore notturno volse repentinamente la testa. Le sue orecchie avevano percepito un rumore fuori dalla casa. Qualcuno stava cercando di entrare. Sorridendo mormorò un gentile invito, certo che un paio di orecchie acute quanto le sue avrebbero udito quelle parole nella gelida notte invernale.

E infatti qualche attimo più tardi un gentile brillare di luci accese il buio della stanza, seguito dalla tranquilla comparsa di un’agile figura femminile dai lunghi capelli neri e dall’aspetto giovane, vestita con un abito di fattura inglese molto alla moda un secolo prima.

Salutando la nuova arrivata con un cortese inchino nello stile di un’epoca da lungo tempo trascorsa, il visitatore scambiò con lei alcune parole teneramente private.

Poi disse: — Sono certo che tu sai, mia cara Mina, che questo anno segna il centenario della mia ultima visita in Inghilterra e naturalmente anche del nostro primo incontro.

La donna dal giovane aspetto gli sorrise. — Ma certo che lo so, mio caro Vlad. Anzi, mi chiedevo se una ricorrenza tanto importante dovesse passare senza sentire queste parole dalla tua voce — replicò con accento britannico quanto il suo vestito.

— Ho avuto molto da fare — spiegò il suo compagno con voce quasi distratta, restando per un attimo con le mani giunte davanti a sé come un vicario in un momento di preghiera.

— Oh, so anche questo. L’adorato Vlad si dedica ora alla soluzione di problemi mondani e, a volte, importanti. Il mio era solo un amichevole rimprovero. — Bella e aggraziata come una pantera, la donna-vampiro si avvicinò al visitatore posandogli amorevolmente una mano sulla spalla.

— Bene — fece Strangeway tirando un profondo respiro, un’abitudine passata in cui occasionalmente ricadeva. — E così questa è la casa di Darwin — aggiunse guardandosi attorno.

— Credo di sì, c’è il cartello là fuori — fu la pronta replica di Mina, scherzosa come sempre. — E dice che visse e lavorò in questa casa per la maggior parte della sua vita. Ma questa non è la tua prima visita dal secolo scorso, vero Vlad?

— Una supposizione più che logica da parte tua, mia cara, poiché sono entrato qui dentro senza alcun recente invito. Ma in verità io non sono mai entrato prima in questa casa. Una volta comunque, un secolo fa, vi sono stato invitato. Quella era la mia seconda visita in Inghilterra… o la terza? Dopo tutti questi anni, certi particolari tendono a sfuggirmi.

Mina rise, una risata quasi senza fiato. — Ne ero certa. E senza dubbio l’invito è venuto da una donna di cui sarebbe scortese rivelare il nome. Vlad Drakulya, ancora mi ritieni gelosa dei tuoi baci, dei baci di quando respiravi e di quelli che, senza dubbio, ancora ricevi?

Il suo compagno accettò il commento con un battito di ciglia e un vago sorriso. — Baci? Già, invero baci vi sono stati. Lo sappiamo tutti e due. Ma venendo al dunque, mia cara, ho avuto occasione di parlare con molti tuoi compatrioti da ieri, dal mio arrivo in Inghilterra. Mi sono persino consultato a distanza con una certa persona che in qualche modo, non so come, sapeva del mio arrivo.

Persino la pratica Mina sembrò impressionata. — Un consigliere anziano, forse?

— Possiamo chiamarlo così. Uno che ho avuto in questi anni il privilegio di poter chiamare amico. Aveva quasi mille anni di età quando io nacqui. Purtroppo non posso pronunciarne il nome…

— Capisco — rispose Mina. Il potere di certi nomi non andava preso alla leggera. — E da questo antico e venerabile Britanno hai appreso qualcosa che potrà aiutarti nelle tue attuali difficoltà oltreoceano.

— Ho appreso molte cose — commentò Drakulya allargando le braccia. — Tanto per cominciare, ho appreso che un uomo di nome Edgar Tyrrel una volta è stato in questa stanza.

Il visitatore spiegò quindi in pochi minuti tutto ciò che sapeva su Tyrrel.

Accigliata, Mina chiese: — E questo misterioso Tyrrel era uno di noi, un nosferatu, prima di lasciare l’Inghilterra?

— Non posso esserne certo, ma sembra probabile. Darwin morì nel 1882, nove anni prima del mio arrivo qui. E Tyrrel, tanto interessato al lavoro di Darwin, visse e lavorò in Arizona cinquant’anni più tardi. Questo significa vivere davvero a lungo per uno che respira, non trovi?

Poco più tardi, dopo aver saziato la sua curiosità riguardo lo studio di Darwin e scoperto ciò che vi era da scoprire in quella casa, il vampiro detective e la sua compagna si avvicinarono a un’alta vetrata che dava sul giardino e uscirono nell’umida e fredda notte invernale. Come al loro ingresso, entrambi superarono l’ostacolo senza minimamente danneggiare il vetro o il telaio di legno della finestra.

Passeggiando nel giardino gelato, con l’erba coperta di brina che scricchiolava sotto i piedi, Vlad Drakulya notò passando un utile, piccolo cartello che spiegava ai turisti qualche dettaglio sul parco. Pochi attimi più tardi lui e Mina giunsero, seguendo la freccia sul cartello, alla passeggiata rustica usata dal grande scienziato per tenersi in forma e meditare.

La passeggiata li portò attraverso un prato immerso nel gelido silenzio dell’inverno e in un piccolo bosco. I due vampiri passeggiavano pensierosi, parlando poco e preferendo comunicare in silenzio uno con l’altro e con ciò che li circondava. In particolare Vlad cercava di captare le vibrazioni del passato e di sentirne le voci più profonde. Non il passato di Darwin, no: con quello aveva già finito. Che Darwin riposasse pure in pace. La sua vita, il suo lavoro e la sua casa erano servite meravigliosamente al vampiro detective per trovare una porta d’accesso. Raggiunto quello scopo doveva adesso concentrarsi sul suo vero obiettivo, sito molto oltre nel passato e tanto lontano da sembrare irraggiungibile. Perché Darwin e Merlino erano praticamente contemporanei visti dalla prospettiva dello scorrere dei secoli, dei millenni innumerevoli, degli eoni che andavano sondati…

Richiamato alla realtà dalle prosaiche contrazioni della fame, Vlad Drakulya si fermò tentato da un coniglio immobile sotto un albero del piccolo bosco. Un balzo pietosamente rapido, e con ottimo appetito lui e la sua compagna si divisero di buon grado il sangue della piccola creatura.

Sopra di loro, le dita scheletriche degli alberi di Darwin si levavano imploranti verso il nero cielo domandando chiarimenti.

Mina, le cui labbra carnose apparivano adesso nuovamente pulite come quelle di qualunque bella ragazza che respira, e forse più pulite di molte di esse, indicò con un lieve gesto i rami ricurvi. — Sembra che attendano chissà quale messaggio dalle stelle. Non pensi anche tu, Vlad?