Solo al suo arrivo nelle immediate vicinanze dell’El Tovar, poco prima dell’alba, il vampiro assunse nuovamente la sua forma umana. La mattina dell’ultimo giorno dell’anno, il sole, fortunatamente per lui celato da una spessa coltre di nubi, lo sorprese sull’altopiano intento a contemplare il panorama in compagnia di uno sparuto gruppo di turisti mattinieri.
Riallacciato un confortante contatto con i suoi colleghi rimasti a Canyon Village, Vlad Drakulya (ora di nuovo il signor Strangeway) raccontò qualcosa del suo viaggio in Inghilterra a Joe Keogh e John Southerland, ponendo l’accento sulla tappa a casa di Darwin. Là e da altre fonti aveva appreso informazioni importantissime su Tyrrel e su ciò che aveva fatto in quegli ultimi decenni.
Mentre raccontava queste cose, Strangeway massaggiava la caviglia slogata di Keogh accompagnando il trattamento fisico con certe formule pronunciate prevalentemente in modo non verbale.
Joe si godette quell’attimo di sollievo dal dolore della caviglia sdraiato comodamente sul sofà e stranamente rilassato, accertandosi che Strangeway fosse aggiornato su quanto accaduto al canyon in sua assenza e in particolar modo sui particolari della storia narrata da Bill Burdon.
L’ex poliziotto intervenne personalmente sull’argomento, in qualche modo apologetico. — Lo so che ci aveva detto di non seguire mai Tyrrel, ma non pensavo fosse necessario avvertire anche Bill. Doveva fare la guardia alla casa, non rincorrere vampiri.
Le dita esangui, ma forti di Drakulya, si fermarono nel massaggio curativo. — Il nostro giovane collega è stato… ehm, ferito in qualche modo?
— No. Almeno, così ha detto.
Il massaggio riprese. — Meglio così. Ah, è davvero impossibile per i giovani frenare completamente certi impulsi. A proposito, dov’è Maria?
— L’ho mandata a sorvegliare Sarah Tyrrel. Ehi, ma lo sa che il suo massaggio funziona a meraviglia?
Poco dopo Strangeway chiese a Joe di alzarsi per provare la caviglia. Per un attimo Joe pensò di poter camminare normalmente, ma solo per un attimo. Poi dovette sedersi. Non era stato miracolato, no, ma si sentiva decisamente meglio.
Quando venne presentato al signor Strangeway, Brainard lo guardò a lungo come se in quel volto dall’astuta espressione vi fosse qualcosa che conosceva, o fosse sul punto di riconoscere. Poi si era ritirato senza proferire parola nell’altra stanza della suite di Keogh.
Poteva risparmiarsi la sua agitazione, perché Drakulya non nutriva in quel momento alcun interesse per lui. L’unica cosa che voleva adesso era parlare con Sarah Tyrrel.
Quel tetro, nuvoloso giorno invernale non era abbastanza luminoso da creare problemi a un vampiro esperto e indurito dai secoli. Tuttavia, era bene ricorrere comunque alla protezione offerta da un cappello a larghe falde. Così riparato, Drakulya si avvicinò alla porta di casa Tyrrel e bussò. Nessuno rispose. Neppure il suo sensibile udito poté avvertire là dentro la presenza di un paio di polmoni che respiravano. Con molta tranquillità riprese a camminare, convinto di riuscire a trovarla: una donna di quell’età non poteva essere andata lontano. E difatti non incontrò difficoltà.
L’avvistò a mattina inoltrata, quando brevi periodi di sole si alternavano a repentine nevicate. I primi risultavano ancora tollerabili a Drakulya se si fermava all’ombra dei pini, mentre le seconde provvedevano un ottimo fondo per seguire le tracce. E come aveva previsto, a un certo punto, le impronte degli stivali della donna abbandonarono la passeggiata turistica inoltrandosi in una macchia d’alberi d’alto fusto.
Giungendo finalmente in vista dell’anziana donna, Drakulya restò per un attimo nascosto in modo da poterla osservare senza essere visto.
Sarah Tyrrel era in piedi, intenta a guardarsi attorno in quello che poteva essere uno degli angoli più belli dell’altopiano. La posizione e le dimensioni degli alberi e dei cespugli lasciava capire che là vi era stata una radura cinquant’anni prima, ora parzialmente cancellata da una seconda generazione di pini e di querce.
Da molti anni, Sarah non visitava quel posto e adesso, dopo una difficoltosa ricerca, vi gettò una lunga, triste occhiata rendendosi conto di un’amara verità: non riusciva più a trovare la tomba della sua piccola bambina. Un pino contorto e sofferente che cresceva proprio sul ciglio del canyon le aveva fatto per anni da punto di riferimento, ma adesso non c’era più. Anche il ceppo era stato rimosso. E il ciglio del precipizio sembrava arretrato, forse un metro, forse due. Anche il canyon cambiava col tempo.
Tuttavia restavano abbastanza punti di riferimento, rocce e grandi alberi, da convincerla di trovarsi perlomeno a pochi metri dal posto giusto.
La sua incertezza era acuita dal fatto di avere visitato la tomba solo una dozzina di volte da quando aveva lasciato Edgar. Sapendo che non avrebbe dato nell’occhio, nelle sue precedenti visite aveva portato dei fiori. Ma quelle erano avvenute in primavera o in estate: adesso, in quel nevoso pomeriggio invernale, semplicemente non poteva. Volendo li avrebbe trovati al centro commerciale, o avrebbe poto ordinarli a domicilio a qualche negozio esterno al parco. Ma la loro presenza avrebbe attratto l’attenzione di qualcuno. Sarah aveva ancora le sue ragioni per cercare la massima riservatezza, e vi restava docilmente attaccata anche se talvolta dubitava che fossero ancora valide.
Tuttavia aveva a lungo pensato di ordinare al fiorista di Canyon Village un piccolo agrifoglio, o forse una stella di Natale; ma alla fine si era trattenuta dal farlo.
Da circa sessant’anni il Natale rappresentava un periodo particolarmente duro per Sarah. Durante le visite a quella tomba non segnata pregava con fervore, e sentiva che le sue preghiere venivano ascoltate; tuttavia quella furtiva e tantomeno cristiana sepoltura in quel terreno sconsacrato la turbava ancora.
Solo prima che la bambina morisse l’aveva battezzata. Acqua del gelido torrente del Canyon Profondo versata da due mani unite a coppa su una piccola e candida fronte: un rito che poteva solo venire svolto da una madre, viste le circostanze. E un rito a cui teneva, dato che aveva fatto battezzare in modo più formale la figlia più grande in una chiesa della California anni prima di conoscere Edgar Tyrrel.
Persa nei suoi pensieri, Sarah non si accorse inizialmente di non essere più sola. Quando se ne avvide, senza sapere veramente come, si voltò di scatto.
Immobile a pochi passi da lei, fermo tra i tronchi di due querce e intento a osservarla, vide un uomo sorridente e con la barba che a prima vista non dimostrava più di trentacinque anni di età. Vedendosi scoperto, l’uomo sfiorò con due dita la larga falda del cappello in un evidente e rispettoso saluto.
— Chi è lei? — domandò Sarah.
La risposta non fu immediata, e senza concedere molto tempo allo sconosciuto, Sarah ripeté bruscamente la domanda.
Pazientemente questi rispose: — Sono un uomo che vorrebbe esserle amico, Sarah. Non credo che lei abbia volontariamente condiviso i crimini di suo marito.
Sarah inspirò e replicò seccamente: — Signore, mio marito è morto da molti anni.
L’uomo scosse leggermente la testa e abbozzò l’ombra di un sorriso. — Entrambi ne sappiamo di più, Sarah.
— Cosa vuole da me? E come fa a conoscere il mio nome? — Ma a quel punto Sarah tacque, finalmente conscia di qualcosa di molto sottile nello sconosciuto che le richiamò alla mente Edgar. Con voce diversa balbettò: — Ma lei… lei è…
— Sì, credo proprio di sì. Diciamo che possiedo molte cose in comune con il suo Edgar. Molte cose. Mi permetta di presentarmi: in questi giorni il mio nome è Strangeway, ma ne possiedo molti altri. Forse ha sentito parlare di me sotto altro nome.