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Camilla ripeté ciò che aveva detto a Jake un milione di volte: quando splendeva il sole potevano parlare liberamente dappertutto perché Edgar stava dormendo. Tuttavia Jake aveva i suoi problemi ad accettare una spiegazione del genere, a liberarsi dalla sensazione che quel diabolico vecchio potesse semplicemente ascoltarli sempre e ovunque solo volendolo.

Infine, una volta raggiunta una zona abbastanza familiare, Jake e Camilla sedettero vicini vicini su una roccia accanto al torrente, il cui gorgoglio sembrava proferire, quel giorno, sommesse minacce.

Rompendo un imbarazzato silenzio, Jake disse: — Non ci riesco, Camilla. Non posso starmene lì a guardarlo mentre ti succhia la vita.

— Come pensi che io mi senta?

— Non lo so — replicò lui, voltandosi e guardandola aspramente. — L’ultima volta che vi ho visto, ieri notte, sembrava quasi ti piacesse.

— Questa poi! Non ti facevo tanto stupido!

Lui non replicò.

— C’è un solo modo per uscirne, Jake.

— Lo so. Ho voluto venire qui apposta per parlarne.

— Solo un modo: quello che hai detto tu. So che hai ragione, ma ho paura, ho paura.

Jake non riusciva a parlare, non riusciva a scacciare la sensazione che il vecchio Edgar stesse ascoltandoli nascosto dietro qualche roccia pronto a balzare su di loro.

— Lo sappiamo bene tutti e due, Jake: l’unico modo di uscirne è…

— È…

— Ucciderlo.

La parola era stata pronunciata un’altra volta. Nessuno balzò su di loro.

— Ucciderlo, sì. Così avremo tempo per pensare, per cercare e forse per trovare una via d’uscita.

Camilla estrasse il suo blocco degli schizzi e alcune matite. Era come se non riuscisse a tenere ferme le mani. Poco dopo lui la guardava disegnare nello stesso posto dove l’aveva incontrata per la prima volta. Avevano un piano da preparare, tuttavia nessuno dei due parlò per molto tempo.

Nonostante portasse il cappello e gli occhiali da sole, Camilla dovette spostarsi sotto la rupe in cerca dell’ombra più profonda. Jake notò così che stava diventando più sensibile al sole.

— Camilla.

— Cosa c’è?

Lei voltò la testa verso di lui e Jake poté per un istante vederla di profilo con la bocca leggermente aperta. — Nulla, immagino. Solo che mi era sembrato di vedere qualcosa di strano nei tuoi denti.

Lentamente i due giovani cominciarono a stendere un piano.

Nei lunghi mesi di convivenza con Tyrrel, ascoltandolo e osservandolo, Camilla era giunta a comprendere non solo la forza di quell’uomo e l’orrore che portava con sé, ma anche alcune delle sue debolezze.

Ascoltandola, Jake cercò con uno sforzo lucido e cosciente di trovare il coraggio necessario. — Va bene, dobbiamo uccidere quel figlio di puttana. È l’unico modo, l’ho capito già da un po’. Ma adesso bisogna decidere come, come possiamo ucciderlo!

A Camilla bastarono pochi secondi per rispondere, come se in realtà si fosse già posta questa domanda. — Solo una volta, forse due, l’ho visto urlare di dolore.

— Racconta.

— La prima volta è accaduta poco tempo dopo il mio arrivo qui. Una scheggia di legno gli si era conficcata in una mano dal manico di uno dei suoi attrezzi.

— E questo gli ha fatto male, eh?

— Molto più di una fucilata. Urlò di dolore, si strappò la spina e cominciò a succhiare il sangue. Poi mi vide mentre lo osservavo e mi ha fatto…

Prontamente Jake poté visualizzare Camilla obbligata a succhiare il sangue di quel lurido essere. Con uno sforzo cercò di cancellare l’immagine.

Camilla rabbrividì. Ma dall’aspetto del suo volto, Jake avrebbe giurato che qualcosa in quell’atto la eccitasse. Con un timido sorriso lei si accinse a continuare.

— L’altra volta qual è stata? — chiese Jake.

— Cosa?

— Hai detto che l’hai visto urlare due volte di dolore.

— Oh. Be’, la seconda volta non si è fatto molto male. Ma io ho capito che soffriva. È stata una mattina in cui stranamente era sveglio. C’era il cielo coperto, ma all’improvviso uno squarcio si è aperto tra le nubi lasciando passare un raggio di sole. Edgar mi è sembrato terrorizzato in quel momento, stava davvero male.

— Uhm.

— Un attimo più tardi era sparito, non nella piccola caverna dove solitamente dorme, ma nella grotta. Vi rimase tutto il giorno a luci spente, ritirandosi quanto più in fondo poteva. Ne uscì solo al tramonto… ma era stanco, spossato. Credo che morirebbe se restasse qualche ora al sole del canyon.

Per un attimo si guardarono l’un l’altro.

Fu Jake a parlare: — È troppo forte. Non riusciremo mai a obbligarcelo.

— Non sembra probabile, vero?

Jake la guardò pensieroso. — Che ne pensi del fuoco? — chiese.

Stavolta Camilla dovette pensarci un po’. Forse l’idea le risultava del tutto nuova. Infine disse che probabilmente Tyrrel non era del tutto insensibile al fuoco. — Non ricordo di averlo mai visto mettere la mano tra le fiamme, e non viene mai vicino alla cucina.

— Forse allora il fuoco è qualcosa che possiamo tentare.

Un’altra ora di discussione non portò a grandi risultati. Sembrava proprio che vi fossero tre soli mezzi disponibili ai due giovani per liberarsi definitivamente di Edgar: le armi di legno, il fuoco o la luce solare.

— C’è un’altra cosa che mi preoccupa, Jake.

— Cosa?

— E se sono rimasta incinta?

— Dio mio! Lo sei?

— Non lo so, ma lui mi ha chiesto se lo ero. Quell’ultima volta nella camera segreta…

Jake la zittì con un gesto, pensieroso. Forse questo non peggiorava di molto la sua situazione, ma comunque non gli piaceva.

— …lui mi ha ascoltata! — concluse Camilla.

— Ascoltata? E come?

— Ha appoggiato l’orecchio sulla mia pancia.

— Può stabilirlo in quel modo?

— Ha detto che non era sicuro. Che era troppo presto per esserne sicuro.

— Ma comunque a lui cosa importa se sei incinta o no?

— Non lo so! Non lo so!

Jake la strinse tra le braccia, e quella che iniziò come la ricerca di mutuo conforto si trasformò presto in passione.

Ma quando Camilla aprì la bocca emettendo un gemito, Jake si ritrasse impaurito spingendola via.

— Jake! Che succede?

— I tuoi canini! Sono… sembrano quasi quelli di un…

Lei sedette di scatto, portandosi le mani alla bocca e guardandolo piena di orrore.

Nel pomeriggio, Jake tornò a lavorare alla caverna, scavando, trasportando e frantumando blocchi di dura roccia alla ricerca dei preziosi noduli, impolverato e sudato. Sorpreso, si accorse di avere ancora voglia di lavorare e di stare facendo un buon lavoro. Quasi se ne sentì orgoglioso.

In casa, quella sera, Camilla lo sorprese nella camera della bambina intento a contemplare l’animale di pezza e la misera scatola del pranzo.

— Cosa fai?

— Sto pensando. O almeno, sto cercando di pensare. Ma purtroppo non arrivo da nessuna parte. — Così dicendo, Jake aprì l’armadio della cameretta. Là, su uno scaffale, vide un piccolo orologio che mai nessuno caricava e che non funzionava più. Sullo stesso scaffale vide inoltre una scatola metallica completamente anonima. Jake la prese e l’aprì. Vecchi giornali e fotografie, il classico genere di cose che ogni famiglia tiene da qualche parte; solo che lì sembravano completamente fuori luogo.

Camilla reagì con una grande agitazione. — Mettila giù, Jake. A Edgar già non piace che qualcuno entri in questa stanza, figuriamoci a perquisirla!

Jake ispezionò velocemente il contenuto della scatola, non vide nulla capace di attirare il suo interesse, la chiuse e la rimise sullo scaffale. — Come mai la casa ha una cameretta come questa? — domandò.