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Camilla lo prese per un braccio e lo trascinò fuori dalla stanza. Poi rispose: — Credo che abbia avuto una moglie, una volta, e una bambina piccola.

Jake non trovò nulla da rispondere. Mentalmente cercò di figurarsi Tyrrel come padre. Stranamente, sembrava possibile.

Tornato nella stanza comune della casa, Jake sedette a lungo al tavolo contemplando il calendario appeso alla parete perennemente fermo al giugno 1932.

Camilla notò la sua attenzione per il calendario. — Jake, che anno era quando sei arrivato qui?

Jake volse lo sguardo su di lei fissandola intensamente. — Che diavolo vuoi dire? Siamo nel 1935. Sono arrivato qui solo… ehm, pochi giorni fa. — Di nuovo tornò alla sua mente l’inquietante pensiero che potesse in realtà essere di più, un mese, un anno… D’istinto si portò la mano al mento: era coperto da una folta barba adesso.

Questo lo spinse a domandare: — In che anno Tyrrel ti ha portato qui? L’anno scorso, nel ’34?

— Jake, sei indietro di trent’anni. Trentuno, per la precisione. Quando l’ho conosciuto a Flagstaff era il 1965.

Per quanto potevano determinare i suoi due giovani prigionieri, Tyrrel era completamente indifferente allo scorrere del tempo e se lo calcolava lo faceva con metodi tutti suoi.

In ogni caso, Jake notò che il diabolico vecchio parlava volentieri del tempo. Infatti era uno dei pochi argomenti su cui tendeva a parlare d’istinto. Gli anni, disse una volta a Jake, non avevano alcuna importanza per lui fino a quando si sentiva certo di poter tornare nel mondo normale nel giorno e nell’anno desiderato.

Jake e Camilla continuavano a dividere la casa e il solo letto disponibile. Ma solo nelle ore del giorno, poco prima del tramonto o dopo l’alba, i due facevano l’amore con un’intensa quanto disperata passione.

Passarono diverse notti in cui il loro padrone non obbligò Camilla a seguirlo nella piccola grotta.

Una volta Jake, spinto dall’angoscia, osò domandargli perché lo facesse e il vecchio uomo gli rispose, con una maligna risata, che in quelle sessioni gli serviva una modella.

Sapendo ciò che avrebbe visto seguendo la coppia, Jake restava ora a casa quando Camilla veniva portata via. Per ore e ore camminava da una stanza all’altra senza pace, sempre sull’orlo di fare qualcosa di veramente disperato e, probabilmente, suicida.

Alla fine, un’ora circa prima dell’alba Camilla tornava a casa. Ma adesso rifiutava apertamente di parlare di quanto era successo tra lei e Tyrrel.

Diverse volte tornò da quelle “sessioni” notturne con occhi sognanti e stranamente felice, e Jake provava l’improvviso istinto di strozzarla.

Lo turbava anche il fatto che avesse cominciato a dormire di giorno. Dormiva tanto, ma si trattava di un sonno agitato ed esausto; la notte invece vagava nervosamente di stanza in stanza come se aspettasse solo di venir chiamata dal vampiro.

E quando Jake cercò di ricordarle il loro piano, Camilla dichiarò di non volerne parlare perché si sentiva troppo stanca.

Ormai Jake non riusciva nemmeno più a chiedersi quanto tempo fosse passato dal suo arrivo in quel miserabile mondo. Ma stranamente un giorno si ritrovò a camminare con Camilla lungo il torrente fino al Colorado sotto un tiepido sole mattutino.

Questo lo riportò alla piena coscienza della sua situazione e di cosa doveva fare per uscirne, come se la luce del sole stesse scacciando una sorta di incubo orribile e prolungato. Con qualche sorpresa udì se stesso pronunciare le parole: — Allora dobbiamo ucciderlo con il legno.

Camilla, in quel momento affatto diversa dalla bella ragazza che aveva incontrato la prima volta, si avvicinò a lui riparata come sempre dal cappello e dagli occhiali da sole. Quasi sottovoce disse: — È impossibile, almeno quando è sveglio. Hai visto anche tu quanto è forte e quanto velocemente riesce a muoversi.

— Se solo riuscissimo a entrare nella caverna dove dorme! — disse Jake. Poi tacque all’improvviso, guardando fisso le pareti del canyon con occhi rossi e vuoti. — Dinamite! — sussurrò a se stesso.

Con molte pause, i due continuarono a parlare di come liberarsi di Edgar.

— C’è anche il fuoco. Hai detto che il fuoco può ucciderlo.

Camilla lo guardò, per poi annuire non molto convinta.

Il fuoco fece pensare a Jake alla benzina o al gasolio, poi al cherosene. Nessuno dei primi due era disponibile lì nel Canyon Profondo, ma senza dubbio vi era del cherosene per le lampade a petrolio conservato in un bidone da cinquanta galloni che giaceva su una rustica rastrelliera sotto un pioppo a poca distanza dalla casa. Presumibilmente Tyrrel lo riempiva ogni tanto in chissà quale modo.

Per quanto riguardava la dinamite, Jake sapeva che Tyrrel ne aveva immagazzinata un bel po’ per i suoi scavi. Non era certo un esperto, ma durante la permanenza al campo del Ccc aveva imparato a preparare le cariche e le micce. Tyrrel teneva la dinamite in una baracca chiusa a chiave, ma dopo una rapida ispezione Jake non vide alcuna difficoltà per entrare e prendersela.

— Forse il modo migliore è sfruttare insieme il fuoco e il sole. Con la dinamite potrei cercare di frantumare la lastra di roccia che lo ripara, versando intanto il cherosene nella sua tana e dandogli fuoco.

Qualunque altra strategia di attacco sembrava destinata al fallimento, nonostante i due giovani si spremessero le meningi in cerca di qualcosa di ancora più sicuro. Ma Edgar era un vero mostro sotto tutti gli aspetti: Camilla giurò che la fucilata tiratagli in passato non aveva avuto alcun effetto su di lui, nonostante fosse stata esplosa da distanza molto ravvicinata. Dopo ciò che aveva visto in quei giorni, Jake le credette senza difficoltà.

Comunque, secondo lui la cosa migliore restava la luce solare. Edgar la evitava come la peste. Come altrimenti potevano inondare di luce la sua tana se non frantumando quella dannata lastra di roccia? Ci volevano due o tre grandi specchi, che non avevano, e molta fortuna poiché non si trattava di luce solare diretta. No, l’idea sembrava tanto folle che non la menzionò neppure a Camilla.

Invece, assurdamente, le disse: — Spero che tu non gli racconterai tutto la prossima volta che ti morderà sul collo!

Camilla rabbrividì, e lo guardò furiosa. Poi replicò che le veniva il voltastomaco solo a pensare a Edgar. Ma era totalmente impotente davanti al suo potere ipnotico: ecco perche Jake doveva aiutarla in ogni modo.

— Allora è per domattina — disse Jake infine. — Non appena sorge il sole.

— Domattina, sì — concordò Camilla con un sussurro.

Jake tornò indietro da solo, pensando. Si fidava di Camilla perché doveva, anche se non era più la stessa di prima. Si fidava, ma non del tutto, solo perché non aveva scelta.

Non riuscì ad arrivare alla grotta, a tornare al lavoro. Sedette invece con occhi vuoti accanto al torrente ascoltandone le voci. O perlomeno, cercò di convincersi di riuscire ad ascoltarle nonostante sapesse di non volerle veramente sentire. Perché quelle voci gli parlavano di odio, lo esortavano a uccidere e gli davano strani ordini in lingue sconosciute che non riusciva a capire e che avrebbe volentieri cancellato dalla mente.

Lavorando con lui quella sera nella grotta, Tyrrel informò il suo prigioniero che secondo la scienza umana solo i fossili più primitivi venivano ogni tanto trovati in quell’ultimo strato di roccia del canyon, uno scisto la cui formazione risaliva a un numero inimmaginabile di anni addietro. Sotto quelle semplici testimonianze di vita giacevano gli strati di sterile roccia precambriana, accumulatisi nei miliardi di anni che dividevano la nascita del nostro pianeta dall’eternità più semplice e pura.

— Riesci a immaginare anche solo il mondo di un milione di anni fa, mio giovane amico? — gli chiese Tyrrel visibilmente eccitato durante una pausa del lavoro.