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— Okay, ma la ragazza scomparsa è tornata, apparentemente indenne. La mia cliente con tutta probabilità mi ringrazierà per il disturbo, mi darà quanto pattuito e mi manderà via.

— Già, in effetti il caso sembra chiuso. Complimenti, Joseph. Tuttavia io non mi sento ancora libero di andare. In tutta coscienza non sono ancora soddisfatto, e quindi non partirò.

Joe non esitò. — Cosa posso fare allora per aiutarla?

— Giusto — fece John.

— Ancora non lo so, signori. Ma la vostra offerta è davvero bene accetta.

Nella suite di Joe, Sarah Tyrrel appese il ricevitore dopo aver riferito ai ranger del parco che la sua bisnipote Cathy era tornata a casa di sua spontanea volontà.

— Non sembravano particolarmente sorpresi — commentò l’anziana donna.

— Molti ragazzi che scappano di casa tornano tranquillamente da soli — spiegò Joe. — Dov’è Cathy adesso?

— Sta dormendo — disse Sarah, per poi guardarsi attorno. — E Maria dov’è?

Joe non lo sapeva. Guardando Bill, che ascoltava tutto in silenzio, domandò: — E a proposito, dov’è Brainard?

— Ha detto che andava a prendere le sigarette giù nella hall. Non sembrava che avesse bisogno di una scorta.

Le fugaci nevicate della prima parte della mattinata stavano aumentando di durata e intensità quando Gerald Brainard, con un pesante giaccone invernale addosso e una piccola valigia in mano, sbucò da uno dei sentieri lastricati laterali per addentrarsi in uno dei grandi parcheggi turistici sparsi attorno a Canyon Village. Guardando cautamente prima a destra e poi a sinistra nella tetra giornata invernale, estrasse dalla tasca un mazzo di chiavi avvicinandosi con rapidi passi a una piccola Pontiac coperta di neve.

Non aveva guardato bene, comunque. Non aveva neppure aperto la portiera della macchina, quando un uomo di grossa corporatura che indossava un cappotto col bavero di pelliccia comparve all’improvviso dietro di lui.

— Oh, ecco il nostro simpatico avvocato. Pensi forse di andare da qualche parte?

Pochi attimi più tardi la Pontiac venne parcheggiata di nuovo, ma stavolta in una strada secondaria del parco, una lunga e relativamente stretta spianata in terra battuta destinata metà a parcheggio e metà a strada circondata da abeti e molto usata per i picnic estivi. Ora però il posto era deserto: solo un’altra macchina vi era parcheggiata oltre alla Pontiac.

E in questa seconda macchina si trasferirono i due mafiosi e l’avvocato: Smith al volante, Brainard davanti accanto a lui e Preston sul sedile posteriore.

— Adesso resteremo qui per un po’ — dichiarò Smith. — Tanto non c’è fretta, vero? Tutti e tre abbiamo la giornata intera a disposizione. — Così dicendo volse la testa leggermente all’indietro. — Preston, ma tu non avevi qualcosa da fare nel pomeriggio?

— No — fece Preston, accendendosi una sigaretta senza offrirne. — Mi sono liberato, così posso restare qui tranquillamente con voi a parlare di soldi. Ora, vediamo un po’: come potrà il nostro furibondo principale recuperare un certo investimento?

Brainard non trovò nulla da dire. Pallido e tremante guardava la fitta pineta innevata davanti a lui, a poca distanza dal parabrezza.

— Allora, avvocato, dicci qualcosa. Coraggio, non essere timido.

— Io non ho i soldi per pagarvi adesso. Io…

La frase terminò con un urlo. Preston aveva preso la sigaretta tra le dita spegnendola sul collo di Brainard.

— Statti tranquillo, tesoruccio. Queste cose il mio amico Preston non le vuole proprio sentire. Coraggio, riprovaci.

— Non c’è nessuno da queste parti oggi — fece Preston con tono quantomai casuale. — E pensare che d’estate è così pieno che uno non riesce neppure a parcheggiare la macchina. Ma oggi è il nostro giorno fortunato, vero amici? Sto aspettando, carne morta. Allora, come farai a ridarci tutti quei verdoni?

— Pagherò… pagherò — supplicò Brainard accennando a tirarsi su il bavero della giacca. Bruscamente Preston glielo abbassò di nuovo.

La neve cominciò a cadere lentamente. — Dicono — fece Smith — che talvolta nel parco può nevicare per giorni e giorni.

— Nessun turista in giro — sospirò Preston da dietro. — Nessun ranger. Niente di niente qui, tranne noi tre. Stiamo aspettando, carne morta.

E detto questo si accese un’altra sigaretta, spegnendola di nuovo sul collo di Brainard.

Ma all’improvviso i tre non furono più soli. La figura di un uomo con la barba ben curata e un cappello a falda larga comparve ai margini del bosco, per poi avvicinarsi alla macchina oltrepassando la piccola Pontiac.

Vedendo Strangeway, Brainard emise una sorta di vagito.

— Chi diavolo è questo? — fece Smith.

Drakulya si fermò a quattro, cinque metri dalla macchina dei gangster, restando immobile con le mani in tasca. Le sue labbra si mossero, pronunciando parole incomprensibili.

Smith abbassò il finestrino a metà e la voce dell’uomo in piedi davanti a loro risuonò chiaramente. — Abbia pazienza, signor Brainard. Qualche attimo ancora e i signori saranno lieti di lasciarla andare.

A queste parole Brainard compì uno sforzo convulso per cercare di uscire, ma Preston lo afferrò senza tanti complimenti per il collo obbligandolo a stare fermo al suo posto. Poi il robusto gangster aprì la portiera e scese, mentre le sospensioni della macchina oscillavano sotto la sollecitazione del suo grande peso.

— Fuori dai piedi, idiota — ordinò dall’alto dei suoi due metri il grosso Preston al piccolo Drakulya. — Va’ a caccia di scoiattoli da qualche altra parte. Questa è una conversazione privata.

Brainard lanciò una disperata richiesta di soccorso, un urlo che gli morì in gola quando l’uomo seduto accanto a lui lo colpì allo stomaco con una gomitata.

Lo sguardo di Drakulya andò dall’aguzzino di Brainard seduto in macchina a quello in piedi davanti a lui. — I signori Smith e Preston, suppongo. Purtroppo vedo che è tardi per invitarvi a lasciar partire quest’uomo indisturbato. Be’, suppongo di potervi capire in un certo qual modo. Esito a interferire con la giusta pretesa di recuperare i vostri soldi, tuttavia…

— Te l’ho già detto una volta — lo interruppe Preston. — E te l’ho detto in modo carino e gentile. Non mi hai ascoltato. Peggio per te. — E con queste parole mosse minacciosamente verso Drakulya.

Ma all’ultimo momento, prima di raggiungere la sua presunta vittima, una smorfia di dolore e sorpresa gli deformò il volto. Allungò una mano per stringere il collo dell’uomo davanti a lui, ma le sue dita si chiusero a vuoto. Drakulya già lo teneva con entrambe le mani per il bavero di pelliccia, e un attimo più tardi Preston gracchiò ad alta voce in totale disfatta chiedendosi come mai il suo corpo volteggiasse a mezz’aria. Il suono fu molto acuto per un uomo di tale stazza. E per essere uno che respirava, Preston dimostrò un’ottima coordinazione, compiendo un complicato passo di danza nel disperato tentativo di riguadagnare un equilibrio perso, ahimé, per sempre.

Il suo corpo, lanciato con cura, percosse con considerevole potenza la parte anteriore della macchina. Nella prima fase dell’impatto le gambe dell’uomo colpirono il cofano. Un attimo più tardi il suo grande torace sbatté sul parabrezza. Il robusto vetro s’imbarcò, ma non si ruppe. Preston proseguì poi la sua corsa sulla superficie fortemente inclinata, che lo proiettò a un’altezza di diversi metri sopra il retro della macchina fino alla caduta finale su uno strato di neve fresca purtroppo insufficiente.

Prima ancora che il corpo volteggiante di Preston subisse quell’ultimo impatto, Drakulya si era portato verso la portiera del conducente aprendola con calma compassata. Smith non aveva allacciato la cintura di sicurezza, una negligenza che non sfuggì all’attenzione del suo avversario.