E finalmente anche il secondo foro fu pronto. Sistemare la dinamite, gli inneschi e le micce non fu affatto difficile, ma il lavoro presentava qualche insidia. In effetti Jake ne sapeva ben poco al riguardo e si limitava a ripetere ciò che aveva visto fare dagli esperti giù al campo del Ccc.
Stava sistemando l’innesco e la miccia a esso collegata sulla prima carica quando Camilla disse all’improvviso: — Debbo vederlo morto, Jake. Non mi basta pensare che in qualche modo sia bruciato vivo là dentro. Se non lo vedo morto con i miei occhi non credo che riuscirò ad arrivare viva a stasera. È troppo orribile il pensiero che possa uscire al calar del sole e farci a pezzi per vendetta!
Jake grugnì il suo assenso e continuò a lavorare.
Finalmente la dinamite venne sistemata nei due fori con gli inneschi e la miccia al loro posto.
Si poteva cominciare. Jake non vide nessuna ragione per tardare ancora.
Sistemò il detonatore elettrico dietro quello che ritenne un buon riparo, un pesante macigno a una trentina di metri dalla tana di Tyrrel. Aveva appena terminato di collegare i cavi al detonatore e stava alzando una mano per mandare la scintilla fatale quando Camilla afferrò il suo braccio.
— Ascolta! Cos’è? — domandò con un sussurro.
Non appena lei richiamò la sua attenzione su quel suono, lui lo udì. Si trattava di una sorta di disumano ululato proveniente, Jake ne fu subito certo, da dietro la grande lastra di pietra che guardava i sonni di Tyrrel. In qualche modo gli ricordò il miagolio di un gatto che, da bambino, aveva trovato moribondo con una zampina presa in una trappola per topi.
Comunque, aspettare era semplicemente folle.
— Ecco che muore un vampiro — mormorò Jake. Vedendo cosa stava per fare, Camilla si riparò il meglio possibile dietro il grande masso.
Jake urlò: — Giù la testa! — per poi abbassare l’impugnatura con entrambe le mani. Percepì un movimento d’ingranaggi all’interno, quello di un generatore istantaneo, e poi constatò con una qualche soddisfazione di aver collegato tutto per bene perché due boati squarciarono l’aria nello stesso momento. Tuttavia il rumore non fu assordante: all’aria aperta la dinamite faceva sempre meno rumore di quanto uno si aspettava.
Un attimo più tardi Jake balzò in piedi, uscì da dietro il macigno e corse verso la tana di Tyrrel nostante la pioggia di schegge e il gran polverone. Ma dopo una dozzina di passi si fermò di colpo, constatando con profonda disperazione che l’esplosione non aveva frantumato l’intera barriera rocciosa. Forse solo un decimo della lastra si era dissolto in piccole schegge. Il santuario del vampiro risultava buio e inaccessibile come prima.
Camilla si unì a lui senza parlare. Ma la vista del fallimento non fu la cosa peggiore di quel terribile momento. Peggio di tutto fu l’ululato che veniva da dietro la lastra di calcare. Nessun dubbio poteva più esistere riguardo la presenza là dentro di Tyrrel, proprio dove Camilla gli aveva assicurato che dormiva.
C’era del fuoco là dentro, dietro la lastra rocciosa: un piccolo lago di cherosene che bruciava in un marasma di fumo nero. Bruciava il cherosene, ma non solo: c’era anche qualcos’altro.
All’ululato, un suono orribile e disumano, erano stati necessari alcuni secondi per affermarsi, ma ora si imponeva su qualsiasi altro rumore.
— Jake! Jake! Cosa facciamo adesso?
Il giovane esaminò nuovamente la lastra calcarea, cercando di capire dove si trovassero i suoi punti deboli. Prima aveva sbagliato, ma era ancora presto e quindi poteva tranquillamente sistemare altre due o tre cariche. D’altro canto a quel punto non aveva scelta. — Corri a prendere altra dinamite. Ci proveremo di nuovo. Va’!
Camilla si precipitò verso le casse. Jake rimase dove si trovava, cercando i punti migliori per la nuova serie di fori. Doveva sbrigarsi se voleva avere un’altra possibilità: prima gli sembrava di aver lavorato per ore e ore inutilmente.
Intanto l’urlo che veniva da dentro la grotta continuò a lacerare l’aria. Ancora e ancora, senza mai cessare.
17
Cathy Brainard stava ancora una volta percorrendo un sentiero del Canyon, quello però che portava al Canyon Profondo. Stavolta aveva lasciato a casa tenda e sacco a pelo, portando con sé solo una borraccia.
Maria scendeva con lei passo dopo passo, in silenzio. La giovane detective non si era neppure disturbata a portare la borraccia.
Le due giovani donne si erano incontrate per pura e semplice coincidenza sull’ampia passeggiata turistica che costeggiava il canyon, vicino all’inizio del sentiero del Bright Angel. Prima di quell’incontro si erano viste appena; tuttavia bastarono poche parole, una breve e complice conversazione, per decidere di tentare quell’impresa insieme.
— Se tu mi mostrassi il sentiero che scende mi aiuteresti moltissimo — aveva detto Maria quasi come un saluto, guardando nel malinconico baratro sotto di loro. Pinnacoli alti come montagne proiettavano le loro ombre violacee sulla neve, emergendo di quando in quando dalle nuvole in veloce movimento che scaricavano il loro carico di fiocchi. — Voglio andare dove sei stata, e solo tu puoi guidarmi.
— Davvero? — replicò Cathy — secondo me ti hanno incaricata di tenermi d’occhio e di vedere cosa puoi scoprire.
Maria rabbrividì, come turbata da un distante ricordo. — No — replicò piano. — Forse è quello che si aspettano da me, soprattutto Joe, ma non è così. No, ti chiedo questo per un motivo strettamente personale, qualcosa di molto importante per me.
— E va bene — replicò Cathy ancora dubbiosa. — In fin dei conti è lo stesso, che tu voglia venire per te stessa o come investigatrice privata. Ma il modo di arrivarci è proprio quel dannato segreto, sai, quello che teoricamente non dovrei più ricordare e che invece ricordo benissimo. Al diavolo loro e i loro segreti. I miei genitori, intendo. Non riesco a scoprire cosa mi hanno fatto da bambina, ma ti garantisco che prima o poi ci riuscirò.
Maria non rispose. Continuava a guardare in basso, apparentemente a qualcosa di lontano, molto oltre la fila di piccoli turisti a dorso di mulo che tornava dall’escursione del mattino e che era appena comparsa alla vista alla media distanza. Una fila di formiche che faticosamente risaliva dalle profondità del tempo.
Cathy prese a scendere il Bright Angel.
— Stavolta — spiegò — ho lasciato una nota alla zia Sarah. È una brava donna. Non voglio si preoccupi senza motivo.
— Forse non avresti dovuto farlo — disse Maria.
— Non dovevo lasciarle la nota? E perché no?
Maria non riuscì a rispondere e si limitò a un vago gesto di impotenza. Non sapeva perché, in effetti, ma l’idea di quella nota la metteva molto a disagio.
— Vedi — riprese Cathy — la situazione era del tutto diversa quando sono scesa la prima volta un mese fa. Allora non sapevo dove stavo andando. Seguivo un ricordo… — e per un attimo tacque. Poi: — Non ti capitano mai strani sogni sulla tua infanzia?
— Non più — rispose Maria.
— Ricordi, non sogni. Chiamarli sogni è sbagliato. Be’, quello che ho fatto è stato un viaggio nel ricordo. Ho visto molte cose, le cose che pian piano avevo cominciato a considerare solo sogni. Come una certa piccola casa. Vederla mi ha spaventata a morte, e quindi mi sono ritirata a campeggiare da qualche parte nelle vicinanze. Ma adesso devo tornare e affrontare il mio passato, entrare in quella casa, parlare ai miei genitori e… — Incapace di trovare le parole per completare la frase, Cathy cambiò argomento. — Tu lavori con quel tipo assurdo, quello Strangeway?
— Sì, ma non lo conosco molto. È un collega di Joe. Loro sono di Chicago e noi di Phoenix. Perché me lo chiedi?