— No, non è quello che intendo. “Di tempo ce n’è fin troppo” è ciò che mi risponde Edgar quando gli chiedo di… di alcune cose strane che succedono qui. All’inizio non capivo cosa intendesse dire con queste parole, ma adesso riesco a trovarle sensate, almeno credo. Lui dice che il fiume ha aperto una ferita nella terra, e adesso il tempo che fu ne esce come sangue — spiegò, sorridendo nervosamente per l’espressione attonita che andava formandosi sul volto di Jake. — No, amore mio, non sono impazzita. Seguimi fino a casa e capirai cosa intendo.
— Okay. Ma non temere, non penso certo che tu sia pazza — replicò lui. L’idea lo aveva già sfiorato, invece, ma non al punto da preoccuparlo.
— Bene. Andiamo allora — disse Camilla, per poi voltarsi e riprendere la marcia lungo il sentiero a lato del torrente.
Camminando subito dietro di lei, Jake era tormentato dalla sensazione che le voci di quel torrente stessero disperatamente cercando di dirgli qualcosa. Tuttavia, con le natiche di Camilla che gli danzavano davanti gli riusciva difficile dedicare a quel pensiero la dovuta attenzione. Un vero peccato che i jeans che lei indossava non fossero ancora più attillati.
— Insomma — fece lui alzando la voce per farsi sentire nonostante il mormorio delle acque. — Come si vive con questo Edgar?
— Non più molto bene, credo. Non dormiamo insieme, lo sai? Non più. Lui… lui è strano.
— Lo immagino. E deve avere anche i suoi anni se prima ha vissuto su al villaggio per tanto tempo.
— Sì, è vecchio. Molto vecchio.
Continuarono a salire. Jake non riusciva a vedere il sole dal fondo della stretta gola, ma a giudicare dalle ombre proiettate sulla parete orientale mancavano ancora molte ore al tramonto.
Camilla intanto continuava la sua marcia su per quello che in effetti non era più un sentiero. Guardando a destra e a sinistra, Jake notò che le ripide e serpeggianti pareti di quel piccolo canyon laterale mostravano essenzialmente gli stessi strati rocciosi delle immense pareti del Grand Canyon. Era una cosa normale, o almeno così pensò. Lo strato più chiaro era calcare, mentre quello più scuro appena sotto era scisto cristallino. Negli ultimi due mesi aveva appreso qualche nozione di geologia a furia di ascoltare gli esperti giù al campo.
Ma subito la sua attenzione tornò a Camilla. — Tu e il vecchio Edgar vivete in un posto proprio isolato.
Per qualche ragione questo la fece voltare. Lo studiò per qualche istante da dietro gli occhiali scuri, per poi concordare con enfasi con quell’affermazione e aggiungervi qualcosa di suo: — Nessuno tra mille persone che scendessero il fiume potrebbe trovare questo canyon come hai fatto tu la prima volta.
— Be’, non è poi così difficile da trovare. Io non ho avuto problemi.
— Solo perché sei speciale, amore mio. Ma ti garantisco che è davvero difficile da trovare. — Per qualche ragione le tremò la voce. — Non lo troverebbe nessuno tra mille, anzi, tra un milione di persone. Quanta gente a piedi e in barca credi che sia passata qui davanti senza prestare la minima attenzione a quello che vi era oltre la foce del torrente?
Jake la guardò stupito, chiedendoselo davvero. — È facile: non molti. Probabilmente non passano cento persone da qui in dieci anni. Qui non c’è la folla di qualche parco cittadino, lo sai?
Camilla gli sorrise, come se volesse rassicurarlo o forse venir rassicurata. Poi la marcia riprese.
Jake la seguì, ormai completamente ipnotizzato dal movimento delle sue natiche.
Dopo un minuto o due di quella vista, Jake si appaiò a Camilla e le passò un braccio attorno alla vita.
Camilla si fermò, si girò e lo abbracciò con calore. Un attimo più tardi si stavano baciando, mentre la mano di Jake si inoltrava di nuovo sotto la sua camicia. Che cosa meravigliosa non trovare la minima resistenza!
Dopo sedettero nudi nell’acqua bassa e gelida del torrente per un rinfrescante idromassaggio, spruzzandosi a vicenda.
Jake disse: — È strano il modo in cui affermi che questo canyon è impossibile da trovare.
Camilla, che stava ridendo per qualcos’altro, smise di colpo. — Strano in che senso? — domandò. In quel momento erano all’ombra, e lei si era tolta gli occhiali scuri.
— Perché ieri l’ho cercato sulla mappa generale giù al campo, e non sono riuscito a trovarlo. Questo torrente non è il Pipe, vero? E non può essere neppure l’Horn, perché ci sono delle rapide sul Colorado più o meno allo sbocco dell’Horn. E tra questi due non è segnato alcun torrente permanente, eppure eccolo qui — constatò Jake indicando con un gesto l’acqua, le rocce, le alte pareti.
Camilla non sembrò affatto sorpresa da quell’affermazione, ma solo impensierita e malinconica. — Ci sono un sacco di cose che la tua mappa non mostra — fu la sua risposta.
Non appena si rivestirono la marcia riprese, mentre il canyon che li aveva inghiottiti volgeva ora a destra, ora a sinistra come un enorme serpente. E le svolte si facevano via via sempre più strette. Jake constatò che in nessun punto si vedeva oltre una cinquantina di metri.
Una volta Camilla si fermò e gli disse: — Edgar chiama questo posto il “Canyon Profondo”.
Dopo la svolta successiva il canyon si allargò all’improvviso, terminando in una sorta di anfiteatro naturale dalle alte pareti di roccia, largo e lungo quanto uno stadio di calcio. Sul terreno pianeggiante crescevano gli arbusti spinosi tipici dei canyon e qualche albero. Sul lato opposto dell’anfiteatro vide una cascata, da cui il torrente poi defluiva. Con estrema sorpresa Jake notò che qualcuno aveva abilmente costruito un’alta e stretta ruota metallica nella cataratta, come una sorta di turbina; ai piedi della cascata, una piccola costruzione in pietra bagnata dagli spruzzi alloggiava sicuramente un generatore. Fu facile capirlo perché dei cavi elettrici partivano dal retro della piccola costruzione per raggiungere un altro edificio fatto di tronchi d’albero lavorati con cura: un vero e proprio cottage.
Sul momento Jake non prestò molta attenzione a una larga apertura, una grotta o una caverna, posta ai piedi del dirupo più a occidente. Si trovava a livello di uno strato di roccia che conosceva: secondo il geologo giù al campo si era formato proprio sopra la Grande Discordanza, una definizione di cui non aveva mai capito il significato.
A prima vista l’apertura dava accesso a una cavità poco profonda; poi, guardando meglio, si rese conto che si addentrava di molto nella roccia.
In quel momento comunque preferì dedicare la sua attenzione alla piccola e graziosa casetta che sorgeva abbastanza alta sulla cascata da evitarne gli spruzzi. Niente a che vedere con la baracca di un minatore, poco ma sicuro. Non era una catapecchia, ma una vera casa con le fondamenta in pietra, i vetri alle finestre e un vero tetto di tegole.
Camilla era ferma in piedi accanto a lui, come per giudicare le sue reazioni.
Lui disse: — Così è qui che vivi.
— Sì.
— Con questo Edgar.
— Sì — rispose lei di nuovo, lanciandosi un’occhiata intorno e abbassando la voce. — Ma ora non voglio più vivere con lui.
— Lascialo.
Lei scosse la testa. — Non è tanto semplice, vedrai.
— Be’, non mi sembra che ti tenga rinchiusa.
Camilla non rispose.
Jake si guardò attentamente intorno. Tutto taceva, non si sentiva volare una mosca. — Dov’è lui?
— Sta riposando. Lavora soprattutto di notte. Si sceglie le rocce che più gli piacciono, le porta in laboratorio e comincia a scolpire.
— Dormire è la cosa migliore da fare con questo caldo.
Il sentiero che portava alla casa passava davanti alla bocca della caverna. Finalmente in grado di guardarla bene, Jake vide che si trattava di un vero budello che penetrava tanto profondamente nella roccia da impedirgli di vederne il fondo.