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— Da quanto tempo non lo vedi? — domandò Maria. Sembrava stare compiendo uno sforzo per uscire da quella strana apatia, quel dormiveglia fisico e mentale che condizionava il suo comportamento fin dalla loro partenza.

— Dodici anni, credo — replicò Cathy accigliata, come se quel calcolo non la soddisfacesse del tutto. — Anche mia zia Sarah ha vissuto qui, ma quando? Cinquanta, sessant’anni fa questa era la sua casa… ma è mai possibile?

Ultimamente il tempo risultava difficile da calcolare con precisione per Cathy. I due giorni di assenza al Ringraziamento si erano misteriosamente tramutati in un mese, o perlomeno tutti affermavano che era scomparsa per un mese anche se lei aveva visto il sole sorgere e tramontare solo due volte.

Avvicinandosi alla casa, Cathy e Maria incontrarono un grosso gatto rossiccio dall’aria semiselvatica. Sedeva miagolando nel bel mezzo del sentiero, come se volesse qualcosa. Ma quando le due donne si avvicinarono fuggì velocemente tra i cespugli.

— Quello è Beagle — spiegò Cathy con voce intimorita.

— Beagle?

— Sì. È proprio lui, il mio gattino. Se è un altro gatto gli assomiglia da pazzi. Me lo ha portato mio padre. Ricordo che volevo tanto un gattino, e allora lui… Un gatto può vivere dodici anni, vero?

— Credo proprio di sì.

Le due visitatrici giunsero finalmente alla porta della casa. Cathy tirò il chiavistello che si aprì. Nessun’altra serratura la chiudeva. La ragazza fece per entrare.

Maria esitò sulla soglia. — Sei sicura che non ci metteremo nei guai?

— Non preoccuparti. Ti dico che una volta vivevo qui!

— Una volta, ma adesso non più — replicò la giovane investigatrice tirandosi indietro i capelli, sfregandosi gli occhi ed esclamando: — Cosa ci faccio qui? E dove siamo con precisione?

Ma Cathy era già scomparsa nel buio dentro la casa.

Stranamente c’era elettricità, e Cathy sapeva dove trovare l’interruttore.

— Esattamente come la ricordavo — mormorò poi, guardandosi attorno nella stanza comune. — Solo, tutto mi sembra così piccolo! Ma i mobili sono rimasti identici. Per esempio, questa sedia… — poi spostò una sedia da sotto il tavolo prendendola dalla vecchia spalliera.

Maria guardava fuori dalla finestra nella luce opaca del tramonto. — Arriva qualcuno! — esclamò spaventata.

Cathy si voltò. Un vecchio uomo vestito con una polverosa tuta da lavoro le guardava con fredda rabbia immobile sulla soglia. Il suo aspetto tradiva la giusta indignazione di qualcuno che sorprende due ladruncoli sul fatto.

— Papà! — esclamò Cathy d’impulso. — Sei tu! Sei ancora vivo!

Il volto di suo padre sembrava cambiato: era più scuro, e mostrava cicatrici che non ricordava. Tuttavia, lei fu subito certa di chi aveva davanti.

L’uomo sulla soglia restò immobile per un lungo istante. Guardò brevemente Maria prima di fissare nuovamente Cathy con una penetrante occhiata. Nulla in volto tradiva le sue emozioni.

Poi chiese, con voce roca e profonda: — Chi siete?

Fu come se Cathy non avesse neppure udito la domanda. Guardandolo a sua volta immobile con le mani sullo schienale della sedia, ripeté: — Papà!

— Dio mio! È mai possibile? — fece l’uomo continuando a guardare Cathy e cercando, con una qualche agitazione, la sedia più vicina. Quando finalmente riuscì ad afferrarla l’avvicinò a sé e sedette con un improvviso movimento, come se le ginocchia rifiutassero di sostenerlo oltre.

Poi, lentamente chiese: — Come mi hai chiamato, ragazza?

— Tu sei mio padre. Devi esserlo. Mi ricordo di te e di questa casa — disse Cathy guardandosi attorno, per aggiungere: — Una volta anch’io vivevo qui.

— Come ti chiami? — Era una voce stanca quella che parlò, molto, molto stanca.

— Sono Cathy! Non ti ricordi di me? Io ti ricordo come se fosse ieri. Non sei cambiato. Non molto.

— Cathy! Per un attimo ti ho scambiata per Sarah… ho creduto che fosse riuscita a trovare la strada per tornare da me giovane come allora. Assomigli a tua madre in modo sorprendente, addirittura miracoloso!

D’impulso, come se quella domanda non potesse venire soffocata oltre, Cathy domandò: — Perché hai abbandonato me e la mamma?

— Abbandonato? Io?

— Lei ha dovuto lasciarmi in collegio quando avevo cinque anni. Di questo sono certa. Non avrebbe dovuto farlo se tu non ci avessi abbandonate. Ho torto forse? — inquisì Cathy, sembrando ansiosa di sentirsi dire che sì, aveva torto.

Edgar Tyrrel s’irrigidì sulla sedia. — Io l’avrei abbandonata? E tu con lei? Chi ti ha detto questo?

— Nessuno, ma sembra la cosa più logica. Ho torto? Ricordo benissimo che litigavate lassù sull’altopiano, il giorno della sepoltura di qualcuno.

L’uomo seduto sulla sedia sembrò invecchiare ogni minuto di più. Con uno strano, rantolante sospiro disse: — Quel giorno seppellimmo tua sorella. Sono… sono sorpreso che tu possa ricordarlo. — E poi, scuotendo lentamente la testa: — Dopo, tua madre mi lasciò. In qualche modo incolpò me della tragedia. E così, senza neppure avvisarmi, un giorno se ne andò portandoti con sé. Da allora non l’ho più rivista.

Dopo un intenso attimo di silenzio, Cathy chiese: — Mia madre… com’era?

— Da giovane, vuoi dire? Perché parli di lei al passato?

Cathy lo guardò sgranando gli occhi: — Perché è morta!

Il vecchio Tyrrel le ritornò l’occhiata, per poi guardarsi intorno. E come se si fosse ricordato qualcosa, balzò in piedi con un’agilità inaspettata visto il suo aspetto derelitto.

— Dov’è la tua amica? — chiese bruscamente.

A Cathy fu necessario un istante per capire. — Maria? Non lo so. Era qui un attimo fa.

Fermo in piedi, Tyrrel ascoltò i rumori della notte con grande attenzione. — Non importa — disse infine. — Non andrà lontano. Lei non importa. Tu sì — concluse, tornando con lo sguardo a Cathy.

— Papà — disse piano Cathy, lasciando finalmente andare la spalliera della sedia e muovendo verso di lui dapprima indecisa, poi con rapidi passi che terminarono in un impacciato abbraccio. Le braccia di Tyrrel, dapprima alzate come per tenerla lontano, si chiusero dolcemente su di lei.

— Tu sei mio padre — ripeté lei piangendo sulla sua spalla.

Lentamente l’abbraccio terminò, ma Tyrrel tenne sua figlia per le spalle dicendole: — Io ero il tuo padre adottivo, mia adorata Cathy. Quando ti vidi per la prima volta, avevi forse due anni. Tua sorella era appena nata. Tua madre era, oppure è, la sola donna che abbia mai amato in vita mia. Tu e tua sorella eravate i soli figli che mai potevo avere. Ecco perché ti voglio bene, Cathy. E te ne vorrò per sempre.

Seguì un lungo, commosso silenzio. Poi, gentilmente, Tyrrel aggiunse: — Dici che tua madre è morta?

— La mia vera madre? Così mi hanno detto quando avevo sei anni — spiegò Cathy con l’ombra di un sospetto nella mente. — Perché, non è vero?

Tyrrel ignorò la domanda sul momento. — Quando sei scesa dall’altopiano, in che anno? E come sei arrivata qui nel Canyon Profondo? La strada è chiusa.

— La strada è aperta invece, almeno per me — replicò Cathy con semplicità. — Un tempo ho vissuto qui e ricordo benissimo dove trovare il sentiero e come seguirlo. Sono venuta qui per cercare mio padre… e me stessa con lui.

— Ma in che anno sei partita? Dimmelo!

— Non capisco cosa vuoi dire. In che anno? Siamo nel Novantuno, quasi nel Novantadue.

— Ah — fu la breve replica di suo padre.

Muovendo verso la porta aperta e guardando fuori nella notte incombente, la ragazza gustò l’aria e l’insolita atmosfera di quel luogo con un profondo respiro. Odori strani e familiari allo stesso momento, sconosciuti dall’infanzia in poi, si fissarono nella sua memoria.