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Poi disse: — Non ho mai dimenticato questo posto. È tutto come allora, solo che adesso la casa e tutto il resto sembrano molto più piccoli. Ma ogni volta che ricordavo, temevo che la mia mente stesse giocandomi brutti scherzi. Perché ci sono altre cose che non quadrano. Automobili, radio e persone vestite da anni Trenta, vecchie macchine e giocattoli. Ogni volta che simili immagini mi si affacciavano alla mente pensavo di essere semplicemente pazza.

Cathy guardò suo padre da vicino. — E c’erano altre cose persino più strane. Cose che ti ho visto fare, o almeno che ricordo di averti visto fare, e che sono impossibili per un normale essere umano.

— Mia cara bambina…

Cathy gli fece capire con un gesto che non aveva finito. — E non è solo una questione di memoria — aggiunse. — La gente mi ha mentito per tutta la vita. Io non ero certa che questo posto esistesse davvero, ma ogni volta che cercavo di parlarne, nessuno mi prestava attenzione. Mia madre mi ha abbandonata in un collegio e tu, mio padre, non mi hai mai cercato. Non è forse vero?

— Sì, è vero. Non ti ho mai cercata perché ho capito che tua madre aveva ragione a portarti via da qui.

— Perché?

— Perché questo è un posto pericoloso, Cathy, soprattutto per dei bambini.

— Adesso vivi qui da solo?

Tyrrel parve vagamente sorpreso. — Solo? Oh no, tutt’altro.

— In che anno ti ha lasciato? — chiese la ragazza.

— Chi?

Lei lo guardò sorpresa. — La mamma, naturalmente.

— Nel 1934.

Non fu necessario alcun calcolo mentale. — Nel 1934? Ma è impossibile!

— Già. Eppure è proprio così.

— No! Come può… papà, tu dici che la mamma ti ha lasciato nel Trentaquattro, ma io ho solo diciassette anni. Ecco perché è impossibile.

— La mia intera vita è una questione di tempo, Cathy. Con me il tempo non scorre come al solito. E lo stesso vale per chiunque viva nel Canyon Profondo, come te. Qui il tempo scorre come le rapide di un fiume. Ricordi il fiume? Te l’ho fatto vedere tante volte.

— Il fiume! Sì, lo ricordo.

— E ricordi le rocce bianche che ti feci vedere un giorno? Ti spiegai che sono proprio quelle rocce vecchie come il pianeta a creare le grandi rapide nel flusso del tempo. Ho trascorso la mia vita intera a scolpire quelle rocce. In esse riposa lo spirito della Terra.

Ma a Cathy non interessava molto lo spirito della Terra. — Papà, devi dirmelo: tu vivevi con Sarah negli anni Trenta. Colei che ho sempre creduto mia zia è in realtà…

— Sarah Tyrrel, tua madre. Ah, ora comincio a capire.

— Ma come…

Gentilmente Tyrrel la condusse verso una porta chiusa. — Vieni con me, bambina mia. Voglio farti vedere una cosa.

Un attimo più tardi entrambi entrarono in quella che per breve tempo era stata la stanza di Cathy. Entrando, Tyrrel azionò un interruttore a lato della porta e una luce elettrica si accese.

— Qui non c’era la luce elettrica una volta.

— L’ho installata io qualche anno dopo la tua partenza. Ho avuto dei guai con… con le lampade a petrolio.

Aprendo il piccolo armadio a muro, Tyrrel ne estrasse un orsacchiotto di peluche e lo mostrò a Cathy.

— Ricordi questo, bambina mia?

— Sì, sì!

— E questa? — insistette, mettendole davanti la piccola scatola del pranzo. — L’ho portata per te da Canyon Village. La volevi tanto! Era qualcosa che ricordavi dal mondo esterno, prima che ci trasferissimo qui. Hai fatto fuoco e fiamme per averla, piccola mia, non so perché — le spiegò sorridendo. Poi, serio: — Forse speravi ancora di andare a scuola un giorno. Be’, immagino che tu ci sia riuscita.

— Sì, certamente. Ma questa scatola del pranzo… non so neppure io perché la volevo tanto. Ricordo però di aver pianto e supplicato per averla.

— E questo? Guarda! — esclamò Tyrrel aprendo una scatola metallica molto diversa, sistemata anch’essa nel piccolo armadio a muro. — Il tuo atto di nascita dev’essere qui da qualche parte.

Un attimo più tardi il vecchio padre trovò il certificato. Le pieghe del documento erano rigide per il tempo. — La data è quella del diciotto maggio 1930, come puoi vedere anche tu. Per qualche motivo tua madre l’aveva con sé quando venne qui.

Cathy guardò attentamente il documento. — Catherine Ann Young — lesse ad alta voce, sempre più meravigliata.

— Sei tu. Il nome di Sarah prima del nostro matrimonio era Young. Vedi, lei non sposò mai il tuo padre naturale. Certamente lo amava, per avere due figlie da lui. Forse era un uomo sposato; non le ho mai chiesto molto sul suo passato. Ero felice di averla al mio fianco così com’era — dichiarò, tacendo per un attimo. — Anzi, più che felice.

— Non posso crederci — commentò Cathy scuotendo la testa. — Questo vorrebbe dire che per quattro decenni, per tutta la metà di questo secolo, io non esistevo…

— Oh, la stessa cosa si può dire di te per molti millenni. Esistevi forse nel secolo scorso? Hai mai pensato che sono trascorse intere ere geologiche senza di te?

— Be’, sì, ma questo è assurdo!

— Cathy, io dubito che la tua vita sia molto più strana della mia — affermò Tyrrel, esitando. — Ma forse lo è, in certi dettagli. Consentimi però di dubitare che la mia vita o la tua siano le vite più strane mai vissute da un essere umano. D’altro canto — concluse sorridendo — tutti e due abbiamo ancora il tempo di recuperare!

L’atto di nascita era contrassegnato da due piccole impronte di piedi eseguite con inchiostro nero. Un piede destro e uno sinistro.

— Queste impronte corrispondevano alle tue — spiegò Tyrrel con voce gentile. — Mia cara, tu sei nata più di sessant’anni fa in California, proprio come afferma il certificato. Tua madre potrà raccontarti maggiori particolari, ne sono certo.

— Mia madre. Allora zia Sarah è mia madre.

— Sì, lei è tua madre. Vedrò di riportarti da lei sana e salva.

Gli occhi di Cathy si chiusero mentre esaminava incredula l’atto di nascita. Per un attimo parve quasi sul punto di svenire.

Poi allungò entrambe le braccia e cercò suo padre, abbracciandolo con molto più calore di prima.

Di nuovo la sua fu una goffa risposta.

Lasciandolo, lei disse ad alta voce: — Mi chiedo dove può essere andata Maria.

— Debbo andare alla grotta — disse Tyrrel all’improvviso, come se parlare di Maria gli avesse ricordato qualcosa di molto importante. — Per te è senz’altro meglio seguirmi. È più sicuro che aspettare qui.

— Più sicuro?

— Il Canyon Profondo è un posto pericoloso da visitare, ragazza mia. Finora ti è andata bene. E quando eri bambina, io ti proteggevo il meglio possibile. La tua sorellina… be’, lei non ha avuto la tua stessa fortuna. Ma tua madre ha dato la colpa solo a me — spiegò Tyrrel. La sua voce divenne poco più di un sussurro. — Seguimi. Se la tua amica è importante per te, forse riusciremo ancora ad aiutarla.

— Aiutarla? Ma perché, cosa sta succedendo?

— Seguimi, ti dico. Subito.

Una volta raggiunto l’ingresso della grotta, Cathy si fermò guardandosi attorno. — Ricordo benissimo questo posto — sussurrò. — Era il tuo laboratorio. La mamma mi diceva: “Papà sta lavorando”, e io mi avvicinavo piano piano e ti guardavo mentre scolpivi le tue statue nell’oscurità.

— È ancora il mio laboratorio, figliola — replicò Tyrrel inclinando leggermente la testa e ascoltando con attenzione. — La tua amica non è qui, purtroppo — dichiarò, per poi accendere le luci.

— A cosa lavori adesso, papà?

— Lavoro alla linfa vitale del nostro pianeta, mia cara. Lavoro sulla vita e sulla morte, e sul modo in cui le due riescono a unirsi. Perché vedi, nessuna può esistere senza l’altra.