Jake posò lo scalpello, afferrando la mazza dal manico più lungo e prendendo a colpire alla cieca col manico di legno il polso e la mano di Tyrrel. Vedendo che non sortiva comunque alcun effetto, cambiò tattica incastrando il manico di legno nella fessura e facendo leva fino a schiacciare il polso bruciato del vampiro contro la roccia opposta.
Di nuovo il mostro urlò orribilmente.
Le dita scheletriche e bruciate di Tyrrel rifiutarono ancora di lasciare la presa, ma adesso il collo della maglia di Camilla prese a lacerarsi.
Parte della maglia, il collo, la manica e la spalla, si stracciarono completamente. E con un urlo finale la giovane donna cadde al suolo, fuori dalla portata del vampiro.
Jake la prese da sotto le spalle e la trascinò ancora più indietro, lontano dalla mano tesa di Tyrrel che apriva e chiudeva le dita in cerca di una vittima umana.
— Camilla, stai bene? Fatti coraggio. Non abbiamo ancora finito. Devi aiutarmi, dobbiamo terminare questo dannato lavoro!
Ovviamente dovevano disporsi in modo da stare alla larga dal braccio teso di Tyrrel. Bisognava stare molto attenti a dove mettevano i piedi.
— Sto bene — disse Camilla alzandosi faticosamente.
Il lavoro riprese, in un incubo di stanchezza e tensione e nel persistente odore di cherosene, mentre il sole scendeva ancora un po’ muovendo insidiosamente verso ovest. Talvolta i due contemplavano con muto orrore una delle braccia di Tyrrel uscire dalla fessura e cercare disperatamente i loro corpi umani.
Non molto dopo, Jake dovette fermarsi a riposare. Camilla, che sembrava avere ben superato lo shock dell’accaduto, si precipitò verso la casa per cercare qualcosa da mangiare.
Finalmente Jake misurò la lunghezza del foro e decise che era profondo a sufficienza per contenere una carica.
Ancora una volta con dita tremanti inserì i candelotti nei fori e preparò l’innesco, collegandoli poi al cavo e al detonatore elettrico.
— Sbrigati, sbrigati! — lo incitò Camilla con un tremulo sussurro che parve quasi una litania.
Sembrava a Jake di essere impazzito. Come potevano quattordici ore di luce solare passare tanto velocemente? Le ombre stavano allungandosi, il tramonto incombeva, la fine si stava approssimando: quella di Tyrrel o la loro.
Dentro la piccola grotta l’oscurità era completa, e il mostro che vi si trovava aveva cessato di lottare. Per qualche istante il silenzio fu assoluto.
Finalmente, con i due giovani al riparo dietro lo stesso masso di prima, Jake fece esplodere le due nuove cariche.
Correndo fuori dal riparo tra una pioggia di schegge, il giovane uomo lanciò un’occhiata alla barriera e si rese immediatamente conto di aver fallito di nuovo. Ancora una volta un frammento di roccia se n’era andato, ma la massa centrale della lastra resisteva. Forse altre due cariche l’avrebbero finalmente sbriciolata. Forse.
Quasi rassegnato Jake esaminò rapidamente gli attrezzi e la dinamite rimasta. Certamente aveva il materiale per preparare altre due cariche, ma il tempo loro concesso era quasi giunto al termine.
Sollevando da terra un’esausta Camilla la obbligò a muovere qualche passo, per poi cominciare a scendere incespicando verso il grande fiume. — Vieni, fuggiamo — le disse.
— Dove? Oh, Jake, dove possiamo fuggire adesso?
Lui tenne la bocca chiusa. Non voleva allarmarla, ma soprattutto temeva che il mostro nella grotta potesse udirlo adesso che il sole era al tramonto.
Correndo e inciampando, a volte sollevando Camilla da terra, Jake percorse con frenetica energia il piccolo sentiero che costeggiava il torrente.
Per tutto quel lungo giorno, nella sua mente erano comparse le immagini di quell’ultimo, disperato tentativo di fuga, l’unica possibilità rimasta loro dopo il fallimento di tutto il resto. Se fossero riusciti ad arrivare al fiume avrebbero potuto tentare di scendere le rapide. Forse Tyrrel, ferito e bruciato, non sarebbe riuscito a inseguirli troppo lontano, o se ci fosse riuscito forse non li avrebbe trovati. D’altro canto, nella peggiore delle ipotesi, la veloce morte offerta dalle rapide era senza dubbio meglio di ciò che li aspettava se fossero caduti vivi nelle mani del vampiro.
Saltellando liberamente accanto a Jake nella sua corsa disperata, l’acqua spumeggiante del torrente borbottava avvertimenti e strane maledizioni.
Al suo fianco Camilla, praticamente delirante, mormorava a sua volta strane cose. L’ultimo raggio di sole passò attraverso una fenditura tra le creste occidentali per stamparsi sul volto di Camilla, che reagì con fastidio.
Pochi attimi più tardi, con Camilla sempre al suo fianco, Jake si immerse nelle gelide e turbinose acque di quel Colorado preistorico.
All’ultimo momento, prima di allontanarsi dalla riva, il giovane riuscì ad afferrare un grosso tronco galleggiante e ad aggrapparvisi con tenacia. Non era un buon nuotatore, ma con il tronco forse ce l’avrebbe fatta. Cercò di chiamare Camilla perché vi si aggrappasse anche lei, ma la ragazza era già scomparsa davanti a lui nuotando come un pesce.
Il sole calò completamente dietro le colline.
Le rocce che riducevano l’acqua in schiuma erano nere contro il violetto intenso del cielo al tramonto. Quelle erano le rocce più profonde di tutti gli strati messi a nudo dal Colorado.
Il freddo gelido dell’acqua lo fece fremere fino alle ossa, ma quello fu nulla rispetto allo shock del primo impatto. Mille luci si accesero danzanti davanti ai suoi occhi e Jake vide, o pensò di vedere, dapprima un candido nodulo incastrato in una roccia e poi una vera foresta di essi.
E negli ultimi attimi di quella coscienza che perse non appena la corrente lo proiettò con violenza su altre rocce, Jake fu certo di sentire Tyrrel, di nuovo libero al tramonto, seguirli ululando sotto forma di animale per godersi la sua vendetta.
Ma non furono le mani di Tyrrel ad afferrarlo e a sollevarlo: luci sfavillanti come tante torce elettriche colorate che si riflettevano sulle acque del fiume lo attorniarono da ogni parte.
Qualunque cosa stesse accadendo, Camilla era là con lui. Non riusciva più a vederla in volto, ma per strano che potesse sembrare la sentiva vicina, molto molto vicina.
19
Allontanandosi dal cottage nel buio senza neppure sapere dove andasse Maria seguì lo stesso richiamo che l’aveva portata nel Canyon Profondo. Adesso doveva esplorare i dintorni, cercare la fonte di quella magnetica attrazione.
Era un richiamo privo di suono e di parole, ma in qualche modo tranquillo e irresistibile quanto le voci di un gruppo di amici, oppure (e questo colpì Maria come davvero insolito) quanto la vista di un devoto animale domestico. La condusse oltre l’ingresso di una caverna buia e silenziosa e su per il torrente verso l’altopiano.
Lei lo seguì certa di essere attesa da qualcosa, sì, qualcosa di glorioso. Bastava salisse ancora un po’, qualche decina di metri a monte e poi avrebbe incontrato questa cosa magnifica, che splendeva di una luce mai neppure immaginata.
Il pomeriggio dell’ultimo giorno del 1991 vide Canyon Village fremere d’eccitazione sotto una fitta nevicata. Migliaia di turisti si preparavano a salutare in ogni modo la dipartita del vecchio anno, sperando probabilmente in uno migliore.
Non tutti però festeggiavano. — Non c’è molto da dire — spiegò brevemente Joe Keogh. — Se ne sono andate entrambe, ma stavolta Cathy Brainard ha lasciato un messaggio. Qualcuno di voi pensa forse che Maria si sia persa in una comitiva di turisti giapponesi?
Nessuna delle persone riunite nel salotto di casa Tyrrel intendeva avanzare una simile ipotesi.
Quelle persone erano Sarah Tyrrel, Bill, John, Strangeway e naturalmente Joe. Le teste impagliate di pericolosi predatori li guardavano scoprendo le zanne dall’alto delle pareti di casa. Altri animali dall’aspetto ancora più curioso, riproduzioni delle sculture di Tyrrel, contemplavano la scena dai loro scaffali e tavolini.