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Improvvisamente il terreno del Canyon Profondo prese a tremare sotto i loro piedi. Tutti avvertirono il tremendo cambiamento in corso e reagirono con grande disagio.

— Salve. Io sono Jake.

Tyrrel era scomparso di nuovo. Adesso l’entità mostrava il volto di un giovane uomo con gli occhi verdi. Si presentò una seconda volta come Jake, probabilmente il suo nome in vita, per poi cambiare ancora e diventare una donna di nome Camilla. Camilla e Jake presero a comparire in rapida successione, chiamandosi a vicenda. Le loro voci suonavano confuse e disperate.

Infine il giovane uomo, che sembrava aver recuperato una sorta di equilibrio, restò abbastanza tempo da dire: — Sono sempre io, Jake. Potremmo diventare amici, che ne dite?

Maria intanto si era unita al gruppo dei soccorritori, seguendo, come gli altri, quella folle scena con reverenziale timore. Drakulya invece sembrava l’assoluto padrone del campo: era ancora là con le braccia aperte, sempre intento a mormorare le sue formule magiche.

L’entità cominciò visibilmente a dissolversi sotto l’attacco psichico: i poteri della Terra, pensò Joe, stavano riprendendosi ciò che spettava loro. Uno dopo l’altro molti animali comparvero nella creatura di luce: Joe poté riconoscere cervi, orsi e altri animali. La sua mente si ritrasse dalle numerose forme meno familiari.

Tyrrel però non era ancora vinto. Per un’ultima volta comparve gridando qualcosa a Sarah che nessuno comprese. Poi chiamò più volte il nome di sua figlia.

Cathy sembrò non udirlo. La sua attenzione andava a qualcos’altro.

— Ho bisogno di utensili, normali utensili — gridò Drakulya a Sarah. — Dove posso trovarne?

— Nella grotta!

Giovani gambe volonterose si precipitarono verso la grotta. Giovani mani tornarono presto indietro cariche di attrezzi da minatore.

— Ehi, ma quelli sono i miei attrezzi! — strillò Jake comparendo per un attimo tra un ribollire di luci.

Drakulya afferrò un piccone.

Il principe di Wallachia colpì il terreno con il metallo dell’utensile usando tutta la sua forza. La terra tormentata si gonfiò e si contrasse. Tutti i presenti sentirono il terreno mancare sotto i piedi, mentre un grande squarcio si apriva davanti a loro mostrando un nero ammasso lavico tra due strati di roccia.

— La Grande Discordanza — mormorò Sarah.

La massa lavica si contorse nella Terra, come se cercasse di guadagnare la giusta posizione sotto l’entità. E questa, entità, creatura o luce intelligente che fosse, cominciò a svanire. In breve tempo scomparve del tutto.

I convulsi sussulti della Terra cessarono, ma un attimo più tardi il terreno sotto di loro prese a imbarcarsi come se poggiasse in realtà sul vuoto. Gli strati rocciosi, non più densi, non più solidi, si tesero cambiando in modo incontrollabile.

— Via! Andiamo via! — urlò Drakulya cessando di pronunciare le sue formule magiche per fuggire verso l’alto. — Presto, ritiratevi! Fuggite verso l’altopiano!

Joe zoppicava ancora, ma grazie al repentino fluire dell’adrenalina nel sangue e al muscoloso braccio di John riuscì a correre comunque verso l’alto, attraversando un paesaggio in veloce mutamento fino alla definitiva uscita dal Canyon Profondo. Drakulya correva accanto a lui con Sarah tra le braccia, mentre Cathy cercava di tenere il loro passo. Gli altri fuggivano in ordine sparso sotto un cielo solcato da grandi, rapidi banchi di nubi mentre il sole sorgeva e calava in continuazione.

Sentendosi abbastanza al sicuro da voltarsi e lanciare un’occhiata, Bill Burdon contemplò un’enorme, ribollente massa di luci e ombre, pulsante di figure in negativo come un immenso rullino fotografico. Si gonfiava a un ritmo impressionante, tanto da riempire in pochi istanti le profondità da cui fuggivano a rotta di collo. — Ma cos’è, lava? — urlò allarmato.

Colui che li guidava replicò: — No, energia. Ma l’effetto è lo stesso. Sbrigatevi!

Correndo e inciampando, i visitatori provenienti dalla fine del Ventesimo secolo fecero del loro meglio per obbedire all’ordine.

Finalmente il terreno roccioso riprese stabilità. Attorno a loro, candidi fiocchi di neve presero a turbinare.

20

Sull’altopiano era circa la mezzanotte, minuto più, minuto meno, dell’ultimo giorno dell’anno o, in alternativa, del primo giorno del nuovo anno. Ma dopo una giornata come quella, Joe Keogh crollò non appena sedette da qualche parte nella suite dell’El Tovar, appoggiando la caviglia dolorante su qualcosa di morbido senza neppure domandarsi cosa fosse.

D’altro canto, dormiva ancora prima di poter controllare.

All’altro lato della stanza, John Southerland era al telefono con sua moglie Angie, assicurandole che tutta la faccenda era finita nel modo migliore che si potesse mai sperare e pregandola di ritrasmettere la notizia alla moglie di Joe.

Non molto lontano dalla loro porta e più precisamente nel secondo salone dell’hotel, quello in cui si ergeva il maestoso albero di Natale, si festeggiava e si brindava al nuovo anno con lo stonato coro di Auld Lang Syne che si levava più alto degli altri.

Quella notte Drakulya e gli altri celebrarono l’arrivo del nuovo anno tra le solide pareti di tronchi dell’El Tovar, ma di quando in quando il gruppo, o perlomeno un buon numero di quelli che lo componevano, usciva nella gelida notte camminando nella neve. Quelle passeggiate duravano al massimo fino a casa Tyrrel, dove Cathy si era ritirata con la madre, e comunque tutti restavano nelle vicinanze del vecchio hotel.

Coloro che abbandonavano momentaneamente la festa e raggiungevano qualche posto sull’altopiano dove potevano voltare le spalle alle luci e ai clamori della civiltà, si trovavano a contemplare un cielo rilucente di stelle invernali e quel nero, imperturbabile baratro che era il Grand Canyon.

Nel corso di una di queste passeggiate, Maria Torres disse al compagno più vicino: — Mi fa un po’ paura — per poi scoppiare a ridere. — Temo di suonare molto sciocca dopo quello che abbiamo passato oggi. Comunque, è proprio così.

Maria si stava rimettendo molto rapidamente. In effetti, dopo essere stata curata da Drakulya con riti e formule segrete, non ricordava più molto bene cosa era successo là sotto, e soprattutto non ricordava la natura dell’entità di luce e il fascino, o il possesso, che aveva esercitato su di lei.

Adesso si accigliò perplessa davanti all’oscurità del canyon. — Tuttavia — continuò — vi giuro che non è da me scordarmi così di quanto è successo appena un paio di ore fa.

— Può succedere a chiunque dopo una missione pericolosa. Io non me ne preoccuperei — disse John, appena uscito da una cabina telefonica, cercando di suonare il più possibile rassicurante senza davvero riuscirci.

— Già, ma non è la prima — ribatté Maria, dubbiosa.

— Ah, ma questa è stata davvero speciale, glielo garantisco io — tagliò corto John sorseggiando la sua birra. — Ma cosa intendeva dicendo che le fa un po’ paura?

— Be’, pensavo al Capodanno, quando l’ho detto, a tutto il rumore che fa la gente e al modo in cui il canyon lo prende, lo soffoca, lo assorbe, come il piccolo cono di luce di una torcia che cerca qualcosa al di là del limite del baratro. Qui tutto si perde nell’immensità. Non vi è traccia di un riflesso, dell’eco, di una risposta.

Non molto dopo qualcuno suggerì di andare a trovare Cathy e Sarah Tyrrel, se erano ancora sveglie.

Una lunga, commovente chiacchierata aveva impegnato in quelle ore madre e figlia. Scacciati i pericoli del Canyon Profondo e delle sue fatali attrattive, le due donne potevano finalmente spiegarsi.

Per molti anni Sarah aveva temuto di rivelare la sua identità. Finalmente lo aveva fatto, rendendo sua figlia molto felice.