— Aprite, buoni a nulla! — strillò Pomodoro.
— Eccellenza, non si può, la chiave ce l'ha lei. Pomodoro provò ad aprire: ma la serratura era fatta in maniera che ci si poteva mettere la chiave solo dall'esterno.
A trovarsi prigioniero nella sua stessa prigione, Pomodoro voleva scoppiare.
Diventò violetto, indaco, azzurro, verde, arancione e giallo e minacciò di far fucilare sui due piedi tutte le guardie se non avessero aperto la porta, tempo di contare fino a cento.
A farla corta, per aprire la prigione bisognò far saltare la porta con la dinamite. Lo scoppio mandò Pomodoro a gambe all'aria e lo ricoperse di terra da capo a piedi. Le guardie scavarono febbrilmente e alla fine tirarono fuori Pomodoro come si estrae una patata dal solco. Lo portarono fuori e lo esaminarono ben bene per vedere se c'era qualcosa di rotto.
Difatti Pomodoro si era rotto il naso. Gli misero un cerotto e il Cavaliere corse a nascondersi a letto. Si vergognava troppo a mostrarsi in giro con quel cerotto al posto del naso, in mezzo alla faccia.
Cipollino e la Talpa erano già molto lontani, ma udirono l'eco dello scoppio.
— Che sarà mai? — domandò il ragazzo.
— Oh, non si preoccupi, — lo rassicurò la Talpa, — deve trattarsi di esercitazioni militari. Il Governatore Principe Limone si crede un grande condottiero, e non ha pace se non può fare qualche guerra, magari finta.
La Talpa, continuando a scavare alacremente, non finiva mai di lare gli elogi del buio e di dire quanto odiasse la luce.
— Ricordo che una volta, — raccontava, — mi capitò di dare un'occhiata a una candela. Vi giuro che dovetti fuggire a gambe levate: non resistevo a quella vista.
— Eh, sì, — approvava Cipollino, — certe candele fanno una luce abbagliante.
— Ma si figuri, — riprese la Talpa, — che quella candela era spenta. Guai a me se fosse stata accesa.
Cipollino si domandò come potesse dar noia una candela spenta a una talpa cieca, ma la brava scavatrice si fermò improvvisamente:
— Odo delle voci, — disse.
Cipollino tese l'orecchio: gli giungeva un lontano brusio, ma non riusciva a distinguere in esso alcuna voce.
— Sente? — proseguì la Talpa. — Dove ci sono voci c'è gente. Dove c'è gente c'è luce. Sarà meglio che andiamo in un'altra direzione.
Cipollino tese di nuovo l'orecchio, e stavolta gli giunse distinta la voce di Mastro Uvetta: non poteva capire che cosa stesse dicendo, ma non c'era da sbagliarsi, era proprio la voce del ciabattino. Avrebbe voluto gridare, farsi sentire, farsi riconoscere, ma si trattenne.
— Signora Talpa, — disse invece, — ho sentito parlare di una caverna molto buia, che secondo i miei calcoli dovrebbe trovarsi appunto da queste parti.
— Più buia di questa galleria? — domandò la Talpa in tono dubbioso.
— Infinitamente più buia. — mentì Cipollino. — Forse le voci che udiamo vengono di là. Saranno persone che si riposano la vista in quella caverna.
— Hm… — brontolò la Talpa. — Questa storia non mi persuade molto. Ma se lei ci tiene proprio a visitare la caverna… A suo rischio e pericolo, s'intende.
— Le sarei proprio riconoscente, — pregò Cipollino. — Si vive per imparare, non le sembra?
— E sia, — concluse la Talpa, — ma se si farà male agli occhi sarà peggio per lei.
Dopo pochi minuti le voci erano vicinissime.
Cipollino poteva perfino udire il sor Zucchina che sospirava:
— Tutta colpa mia… tutta colpa mia… almeno venisse Cipollino.
— Mi sbaglio, — disse la Talpa, — o è stato fatto il suo nome?
— Il mio nome? — domandò Cipollino fingendosi molto stupito. — Io non ho inteso.
A questo punto si udì la voce di Mastro Uvetta:
— Cipollino ha dato la sua parola che sarebbe venuto a liberarci, e verrà. Io non ho alcun dubbio in proposito.
La Talpa fece:
— Ha sentito? Parlano di lei. No, non mi dica che non ha sentito. Mi dica piuttosto con quali intenzioni mi ha fatto venir fin qui.
— Signora Talpa, — confessò Cipollino, — forse avrei dovuto dirle subito la verità. Gliela dirò ora, tutta in una volta. Le voci che noi sentiamo vengono dalla prigione del Castello del Ciliegio, e in essa sono rinchiusi alcuni miei amici ai quali ho promesso di liberarli.
— E ha pensato che col mio aiuto…
— Appunto. Signora Talpa, ella è stata tanto buona da scavare una galleria fin qui. Sarebbe disposta a scavarne un'altra per far fuggire i miei amici?
La Talpa, riflette un momentino, poi disse:
— Va bene, accetto. Per me tutte le direzioni sono buone. Scaverò una galleria per i suoi amici.
Cipollino l'avrebbe baciata, se non avesse avuto il muso così sporco di terra che non si capiva più dove stesse la bocca.
La Talpa si rimise al lavoro e in pochi secondi la galleria fu terminata. Purtroppo, proprio nel momento in cui la Talpa si affacciava nella prigione, Mastro Uvetta stava accendendo un fiammifero per guardare l'orologio.
La fiammella impressionò talmente la povera Talpa che essa si ritirò come se le avessero schiacciato il naso: fece dietro-front e filò via per la galleria a tutto vapore.
— Arrivederla, signor Cipollino, — essa gridava fuggendo, — sei un bravo ragazzo e avrei voluto aiutarti. Ma mi dovevi avvisare che saremmo piombati in un inferno di luce. Non avresti dovuto mentirmi su questo punto.
Scappava così in fretta che dietro a lei la galleria rovinava, le pareti franavano e il cunicolo si riempiva di terriccio. Ben presto! Cipollino non udì più la sua voce. La salutò tristemente in cuor suo:
— Addio, vecchia Talpa! Il mondo è piccolo, forse un giorno ci ritroveremo e ti potrò chiedere scusa di averti ingannata.
Congedandosi così dalla sua compagna di viaggio, Cipollino si pulì alla meglio il viso col fazzoletto e saltò nella prigione, allegro e vispo come un pesce.
— Buongiorno, amici miei! — trillò con una voce che pareva uno squillo di tromba.
Figuratevi quei poveretti! Volevano mangiarlo di baci: in un momento lo ripulirono di tutto il terriccio che aveva ancora indosso, e chi lo abbracciava, chi gli dava un pizzicotto, chi gli batteva una mano sulla spalla.
— Piano, piano! — si raccomandava Cipollino, — volete farmi a pezzi?
Ci volle del bello e del buono per calmarli. Ma l'allegria si cambiò in disperazione quando Cipollino ebbe raccontato la sua avventura.
— Sicché, tu sei prigioniero tale quale come noi? — domandò Mastro Uvetta.
— Né più né meno, — disse Cipollino.
— E quando verranno le guardie ti vedranno.
— Questo non è necessario, — disse Cipollino, — posso sempre nascondermi nel violino del professore Pero Pera.
— Ma intanto chi ci farà uscire di qui? — brontolò la sora Zucca.
Nessuno rispose.
Cipollino avrebbe voluto rincorare la compagnia, ma con tutta la sua buona volontà non trovò le parole. Ed era stanco, stanco, cento volte stanco.
Capitolo XI
Pomodoro qui si vedrà che con le calze a letto sta
Pomodoro, naturalmente, si guardò bene dal far sapere che Cipollino era fuggito: disse invece che l'aveva trasferito nella cella comune, e senza saperlo disse la verità. Poi, col cerotto sul naso, se ne stava continuamente a letto. Fragoletta lo spiava tutto il tempo, ma non riusciva a scoprire dove tenesse la chiave della prigione. Decise di consigliarsi con Ciliegino che, come sapete, era sempre ammalato e piangeva giorno e notte.