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Appena Fragoletta gli ebbe narrato quel che era successo, Ciliegino smise di piangere:

— Cipollino in prigione? Non deve restarci un minuto di più. Dammi subito i miei occhiali.

— Che cosa vuoi fare?

— Andare a liberarlo, — dichiarò decisamente il Visconte. — Lui e tutti gli altri.

— Ma le chiavi le ha Pomodoro, come farai a procurartele?

— Gliele ruberò. Tu prepara una bella torta e mettici un poco di quella polverina che fa russare. La porti a Pomodoro, che è molto goloso di torte, e quando è addormentato mi vieni ad avvisare. Intanto io farò un giro d'ispezione.

Fragoletta non finiva di meravigliarsi per l'energia di Ciliegino.

— Com'è cambiato! Mamma mia, com'è cambiato!

La stessa cosa dissero tutti quanti, al solo vederlo comparire.

— Ma è guarito! — osservò Donna Prima, con una punta di contentezza nella voce.

— Io dico che non è mai stato ammalato, — sentenziò il Duchino. — Era tutta finta.

Donna Seconda si affrettò a dar ragione al suo capriccioso cugino, temendo che saltasse su qualche armadio e minacciasse di ammazzarsi per avere soddisfazione.

Ciliegino venne a sapere da una guardia che Cipollino era scappato dalla fossa segreta e ne fu molto contento, ma decise di agire ugualmente per liberare gli altri prigionieri. Interrogando a destra e a sinistra, scoprì che Pomodoro usava tenere la chiave della prigione in una tasca cucita in una calza.

— Il fatto è molto grave, — riflette Ciliegino. — Pomodoro va a letto con le calze.

E subito ordinò a Fragoletta di mettere nella torta doppia dose di polverina.

Scesa la notte, la servetta portò a Pomodoro uno squisito dolce di cioccolata. Pomodoro ne fece un boccone.

— Non avrai a lamentarti del tuo padrone, — le promise in cambio, — quando sarò guarito ti regalerò la carta di una gomma americana che ho succhiato l'anno scorso. Sentirai com'è profumata.

Fragoletta si inchinò fino a terra per ringraziare. Quando si sollevò dall'inchino, Pomodoro era bell'e addormentato, e russava più di un'intera orchestra di contrabbassi.

Fragoletta corse a chiamare Ciliegino. Tenendosi per mano, i due amici si misero in viaggio attraverso i corridoi del Castello verso l'appartamento del Cavaliere.

Passarono davanti alla camera del Duchino Mandarino, che stava allenandosi a saltare su e giù dai mobili, per tenersi in forma. Egli si esercitava ogni notte. Mettendo l'occhio a turno presso il buco della chiave Fragoletta e Ciliegino lo videro saltare come un gatto dall'armadio al lampadario, dalla spalliera del letto allo specchio. Si arrampicava su per i tendaggi a una velocità incredibile. Era diventato un acrobata perfetto, avrebbe perfino potuto guadagnarsi onestamente la vita in un circo.

La camera di Pomodoro non era del tutto oscura: Fragoletta aveva provveduto a lasciar aperte le imposte, e attraverso i vetri filtrava un bel chiaro di luna.

Il Cavaliere russava della grossa. Stava appunto sognando che Fragoletta gli portava un'altra torta di cioccolata, grande come una ruota di bicicletta. Ed ecco che nel sogno gli veniva incontro il Barone Melarancia con fare minaccioso, pretendendo metà della torta.

Pomodoro pronto a difendere i suoi diritti, estraeva la spada. Il Barone fuggiva, frustando il povero Fagiolone che sudava sotto il peso della carriola. Ma, scomparso il Barone, ecco sopraggiungere il Duchino Mandarino, il quale balzava su un pioppo altissimo e grillava: "O mi dai metà della torta o mi butto a capofitto proprio sulla tua testa."

Insomma Pomodoro non aveva sonni tranquilli: tutti gli volevano portare via quella maledetta torta, e alla fine anche la torta si metteva a dargli dei fastidi. Invece che di cioccolata, era diventata di cartone: Pomodoro ci affondava i denti senza sospetto e si trovava la bocca piena di un cartone spesso e duro come il legno.

Mentre Pomodoro si dibatteva in questi sogni, Fragoletta gli scopriva i piedi, Ciliegino gli sfilava delicatamente le calze e ne toglieva il mazzo delle chiavi.

— Ecco, è fatta, — sussurrò a Fragoletta. — Via, di corsa. La ragazza diede un'occhiata a Pomodoro.

— Non c'è fretta: dormirà fino a Capodanno.

Uscirono cautamente dalla stanza, richiusero la porta, e giù per le scale, con il cuore in gola.

Ciliegino si arrestò di botto:

— E le guardie?

Ecco, non avevano pensato alle guardie.

Fragoletta si succhiò il dito: le idee lei le cercava sempre nelle dita. Ne succhiava uno, ed ecco pronta l'idea.

— Ho trovato, — disse. — Andrò dietro la casa e mi metterò a gridare "Aiuto!" con tutte le mie forze. Tu chiamerai le guardie e me le manderai incontro. Quando sei solo apri la prigione e tutto è fatto.

E così fecero. L'inganno funzionò a meraviglia. Fragoletta chiamò "Aiuto!" con tanta passione nella voce che perfino le piante si sarebbero scrollate dalle radici per correre a salvarla. Le guardie schizzarono via come palle di schioppo, incoraggiate da Ciliegino che gridava loro dietro:

— Presto, per carità. Ci sono i banditi!

Rimasto solo, egli aprì la prigione e quale non fu la sua sorpresa nel vedere tra gli altri prigionieri anche Cipollino.

— Cipollino, tu qui! Non eri fuggito?

— Ti racconterò poi. La via è libera?

— Per di qua, — fece cenno Ciliegino. E indicò loro un sentiero che portava dritto dritto nella foresta. — Le guardie sono andate da quell'altra parte.

La sora Zucca, che era troppo grassa per correre, fu fatta rotolare a tutta velocità.

Cipollino si trattenne a salutare affettuosamente Ciliegino, che aveva e lacrime agli occhi per la gioia.

— Sei stato bravo, — gli disse, — sei stato il più bravo di tutti.

— Scappa, altrimenti ti riprenderanno.

— Ci rivedremo presto, e ti prometto che per Pomodoro ci saranno delle belle sorprese.

In due salti raggiunse gli altri, ed aiutò a far rotolare la sora Zucca. Ciliegino, invece, andò a rimettere la chiave al suo posto, ossia nella calza destra di Pomodoro.

Le guardie intanto avevano trovato Fragoletta in lagrime. La servetta si era tagliuzzata il grembiule e si era graffiata le guance per far credere di essere stata aggredita dai banditi.

— Da che parte sono scappati? — domandarono le guardie, trafelate.

— Di là, — rispose Fragoletta indicando la strada del villaggio. Le guadie, giù di corsa. Fecero due o tre volte il giro del villaggio e arrestarono un gatto, malgrado le sue vivaci proteste.

— Questo è un paese libero, — miagolava il gatto, in tono risentito. — Non avete il diritto di arrestarmi. E poi, siete arrivati proprio nel momento in cui il topo che stavo spiando da un paio d'ore si decideva ad uscire dal suo nascondiglio.

— In prigione potrai trovare tutti i topi che vorrai, — rispose il comardante delle guardie.

Dopo una mezz'ora tornarono al Castello e trovarono la prigione vuota come la loro testa.

Chiusero in fretta il gatto nella cella, si tolsero spade e fucili e ne fecero un mucchio, lasciarono tutto lì e se la diedero a gambe per paura delle ire di Pomodoro.

Il quale il mattino dopo si alzò e si guardò allo specchio.

— Il naso è guarito, — constatò, — posso togliermi il cerotto. Dopo andrò ad interrogare i prigionieri.

Prese con sé il sor Pisello, come avvocato, e dòn Prezzemolo per fargli scrivere le risposte dei prigionieri, e tutti e tre in fila indiana, con aspetto grave, come si addice a dignitosi magistrati, si diressero verso la prigione. Pomodoro tirò fuori le chiavi dalla calza destra, aprì la porta e diede un balzo indietro, mandando a rotolare per terra don Prezzemolo che gli stava incollato alla schiena. Dalla cella uscì un lamentoso — Miao! Miao! — che avrebbe mosso le pietre a compassione.