Ragno Zoppo era assorto in questi pensieri quando un piccolo bruco verde passò accanto a loro a tutta velocità, gridando:
— Si salvi chi può! Arrivano le galline.
— Siamo perduti, — esclamò terrorizzato Sette e mezzo, che aveva sentito parlare di quei terribili animali. E spiccò la corsa con tutta l'energia delle sue sette zampe, saltellando sul moncone dell'ottava. Ragno Zoppo non fu così pronto, un po' perché era distratto, un po' perché non aveva mai sentito parlare delle galline. Quando una di quelle bestiacce enormi gli fu sopra, ebbe appena la presenza di spinto di staccarsi la bisaccia dal collo, di gettarla sulle spalle del vecchio amico, e di gridargli:
— Porta il messaggio a…
Ma non fece in tempo a dire a chi doveva essere portato il messaggio.
La gallina ne aveva fatto un solo boccone. Povero Ragno Zoppo, non avrebbe più portato la posta di cella in cella, non si sarebbe più fermato a chiacchierare con i prigionieri. Nessuno l'avrebbe più visto arrampicarsi zoppicando su per i tetri, umidi muri del carcere.
La sua fine fu la salvezza di Sette e mezzo, che potè raggiungere la rete del pollaio — ecco cos'era quel gran piazzale — e mettersi in salvo prima che la gallina si voltasse dalla sua parte. Poi, per lo sforzo sostenuto e per la paura, svenne.
Quando rinvenne, non si ricordava più dove fosse. Il sole stava per tramontare, dunque era rimasto svenuto parecchie ore. A pochi passi di distanza vide il profilo minaccioso della gallina, che per tutto quel tempo non lo aveva perso di vista, ed aveva continuato a spennarsi il collo contro la rete, nel tentativo di raggiungerlo.
La vista del terribile becco gli ricordò improvvisamente la triste fine di Ragno Zoppo. Sette e mezzo versò una lacrima alla sua memoria, poi fece per alzarsi e allora si accorse che la sua mezza zampa era rimasta incastrata sotto un peso che la schiacciava. Scoprì la bi saccia che Ragno Zoppo gli aveva gettato al collo prima di morire, e che non aveva avuto il tempo di osservare prima. Gli vennero in mente anche le ultime parole del valoroso postino:
— Porta il messaggio a…
— A chi? — si domandò Sette e mezzo. — E quale messaggio? Non farei meglio a gettare questa bisaccia nel primo fosso e tornarmene nella mia fogna? Là non vi sono passeri, non vi sono galline. Ci sarà un brutto odore, ma almeno non ci sono pericoli. Guarderò nella bisaccia, ma soltanto per curiosità.
Cominciò a leggere i messaggi e a mano a mano che procedeva nella lettura gli venivano le lagrime agli occhi e doveva asciugarsele per poter continuare a leggere.
— E non mi aveva detto niente! E io che gli facevo perdere tempo con le mie chiacchiere, mentre aveva una missione così importante da portare a termine. No, no, è chiaro: per colpa mia Ragno Zoppo è morto, tocca ora a me recapitare i suoi ultimi messaggi. E se io pure dovrò morire, avrò almeno fatto qualcosa per onorare la memoria di un fedele amico. Ho conosciuto suo padre nelle cucine del palazzo del Governatore: gran brava persona! Ho pianto sulla sua macchia, a metà strada tra il pavimento e il soffitto!
Si mise dunque in istrada, senza nemmeno ricordarsi di dormire e verso l'alba giunse al Castello. Trovò facilmente la strada del solaio e lì fu accolto con molte feste da Ragno Cugino, a cui narrò tutte le sue avventure. Insieme recapitarono i messaggi a Ciliegino, che viveva sempre in soffitta per castigo. Poi Ragno Cugino propose a Sette e mezzo di passare tutta l'estate al Castello e il vecchio chiacchierone accettò volentieri: la strada del ritorno gli metteva troppa paura.
Capitolo XXVI
Alla fine, poveracci, scappano pure i Limonacci
Una mattina il Limonaccio che portava a Cipollino la zuppa di pane e acqua, dopo aver deposto per terra la ciotola, si assicurò che la porta della cella fosse ben chiusa e che nessuno potesse ascoltare, e alla fine bisbigliò:
— Tuo padre sta male. E' molto ammalato.
Cipollino avrebbe voluto saperne qualcosa di più, fare delle domande. Ma il Limonaccio aggiunse solo che Cipollone non si poteva muovere dalla sua cella. E concluse:
— Bada bene di non dire a nessuno che te l'ho fatto sapere. Potrei perdere il posto, e ho una famiglia da mantenere.
Cipollino non rifiatò. Evidentemente non bastava la divisa a fare un Limonaccio. Il carceriere, in fondo, era solo un padre di famiglia che non aveva trovato un mestiere migliore per mantenere i suoi figli.
Più tardi i prigionieri uscirono in cortile per la passeggiata e cominciarono come al solito a girare in tondo in tondo, mentre un Limonaccio segnava il passo battendo il tamburo:
— Uno… due… uno… due…
— Uno… — pensava Cipollino, — il Ragno postino è scomparso senza dar notizie di sé. Sono passati dieci giorni dalla sua partenza e ormai è certo che non ritornerà più. Non ha consegnato il messaggio, altrimenti la Talpa sarebbe già arrivata. Uno… due… Il babbo è malato e non c'è da pensare a farlo fuggire. Come trasportarlo? Come curarlo? Chissà per quanto tempo ci toccherebbe vivere alla macchia, senza medici e senza medicine. Caro Cipollino, lascia ogni speranza e rassegnati a passare il resto della tua vita in prigione. — E a restarci anche dopo morto, — aggiunse mentalmente, dando un'occhiata al cimitero della prigione di cui si vedevano i cipressi spuntare dal muro del cortile.
Quel giorno la passeggiata sembrava anche più triste del solito. I detenuti, nelle loro divise a strisce bianche e nere, camminavano con le spalle curve, e nessuno tentava nemmeno di attaccare col vicino, sottovoce, le solite conversazioni. Come per accompagnare la tristezza generale cominciò anche a piovere, ma i prigionieri non potevano mettersi al riparo perché la passeggiata si doveva fare con qualunque tempo.
A un tratto Cipollino si senti chiamare per nome da una ben nota voce nasale.
— La Talpa! — pensò, mentre il sangue gli dava un tuffo per la gioia.
— Al prossimo giro, rallenta, — aggiunse la voce.
Cara, vecchia Talpa, ce l'hai fatta.
Cipollino affrettò il passo e urtò col piede il detenuto che gli camminava davanti. Questi si volse e protestò:
— Mi hai preso per un pallone?
— Passa la voce, — bisbigliò Cipollino, — tra un quarto d'ora saremo tutti fuori della prigione.
— Ma sei matto?
— Fa come ti dico. State pronti. Si fugge durante la passeggiata. Fidati di me.
Il detenuto pensò che a fidarsi non ci perdeva nulla. Prima che il giro fosse terminato, il passo dei prigionieri era diventato più energico, più vivace. Le spalle si erano raddrizzate. Perfino il Limonaccio che suonava il tamburo se ne accorse, e credette bene di elogiare gli ergastolani:
— Così, così, — gridò, — fuori il petto, dentro la pancia, indietro quelle spalle… Uno… due… uno… due…
Non sembrava più la passeggiata di un gruppo di detenuti, ma la marcia di un plotone di soldati.
Quando Cipollino giunse al punto in cui aveva udito la voce della Talpa rallentò.
— La galleria è pronta. L'imboccatura si trova un passo a sinistra dei tuoi piedi. Non hai che da saltare e la terra sprofonderà, perché ne abbiamo lasciata solo una crosta sottilissima.
— Cominceremo al prossimo giro, — rispose Cipollino.
La Talpa disse ancora qualcosa, ma Cipollino era già passato oltre.
Urtò di nuovo col piede il detenuto che gli camminava davanti e bisbigliò: