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— Poveruomo, — disse, — la miseria vi ha dato alla testa.

— Ma quale miseria, sono ricchissimo!

— A vedervi non si direbbe, — aggiunse Fragoletta, pulendogli la faccia col fazzoletto.

— Lasciatemi stare con quel moccichino e annunciatemi alle Contesse.

— Che cosa succede? — domandò don Prezzemolo, che passava di lì soffiandosi il naso.

— C'è un poveretto che crede di essere il Governatore.

A don Prezzemolo bastò un'occhiata per riconoscere il Principe.

— Mi son travestito così per osservare da vicino il mio popolo, — dichiarò Limone, che si vergognava dello stato in cui si trovava.

— Altezza, si accomodi, — esclamò emozionato don Prezzemolo, inchinandosi fino a terra.

Il Governatore entrò, fulminando con un'occhiata Fragoletta.

Le Contesse non finivano mai di lodare la premura del Governatore verso il suo popolo.

— Vedete quali disagi gli tocca affrontare.

— Tutto per il bene del popolo, — rispondeva il Governatore, senza neanche arrossire, perché non si è mai visto un Limone rosso.

— E Vostra Altezza come ha trovato il suo popolo?

— Felice e contento, — dichiarò il Principe. — Non conosco un popolo più felice del mio.

E non sapeva di dire la verità: il suo popolo era difatti felice, in quel momento, ma solo perché si era sbarazzato di lui.

— Vostra Altezza desidera un cavallo per tornare al Palazzo? — domandò Pomodoro.

— No, no, — rispose vivacemente il Principe, — aspetterò che passi la bufera.

— Faccio rispettosamente osservare, — disse il Cavaliere, stupito, — che il temporale è finito, e che splende di nuovo il sole.

— Avete il coraggio di contraddirmi? — strillò il Principe battendo i piedi.

— Veramente non capisco la vostra audacia, — osservò il Barone Melarancia, — se Sua Altezza dice che c'è un temporale, per me questa è la verità.

Cominciarono tutti a parlare del tempo.

— Che brutto tempo, — diceva Donna Prima, guardando dalla finestra nel giardino, in cui il sole faceva brillare come gemme i fiori bagnati dal temporale di poco prima.

— Che acquazzone orribile! Guardate come viene per traverso! — disse Donna Seconda, guardando un raggio di sole che scendeva da una nube a specchiarsi nel laghetto dei pesci rossi.

— Sentite che tuoni! — disse il Duchino Mandarino, tappandosi le orecchie e fingendo di essere spaventatissimo.

— Fragoletta, — gridò Donna Prima, con una trovata geniale, — corri subito a chiudere tutte le imposte!

Fragoletta si affrettò a chiudere le imposte e in breve in tutte le camere regnò il buio assoluto.

Nel salone accesero la luce, e Donna Seconda sospirò:

— Che notte terribile!

— Io ho paura, — disse il Principe Limone in un momento di sincerità.

Tutti quanti, per fargli coraggio, si misero a tremare come canne.

Pomodoro ad un certo punto si avvicinò ad una finestra, scostò l'imposta e arrischiò timidamente:

— Mi pare che il temporale stia cessando.

— No, no, non cessa! — strillò il Principe, gettando un'occhiata di traverso al raggio di sole che era entrato gloriosamente nella stanza.

Pomodoro si affrettò a chiudere, ammettendo che, difatti, continuava a piovere a dirotto.

— Altezza, — sospirò il Barone che non vedeva l'ora di mettersi a tavola, — non vorreste gradire un boccone?

No, il Principe non voleva gradire.

— Con questo tempo, — disse, — non ho proprio fame.

Il Barone non capiva che rapporto ci fosse tra il tempo e la cena, ma siccome tutti avevano cominciato a dire che il temporale gli aveva fatto perdere l'appetito, anche lui dichiarò:

— Io dicevo per dire, Altezza. A me i lampi mi danno un tale mal di stomaco che non potrei mandar giù nemmeno un brodino.

In verità, se avesse potuto, avrebbe sgranocchiato volentieri un paio di sedie, ma non era il caso di contraddire il Governatore.

Il quale, finalmente, stanco per le emozioni della giornata, si addormentò sulla sedia. Gli gettarono addosso una coperta e andarono a cena.

Pomodoro mangiò pochissimo, poi si alzò in fretta e disse che andava a coricarsi. Invece scivolò in giardino e si diresse verso il villaggio.

— Voglio un po' dare un'occhiata di persona. La paura del Principe è molto sospetta. Non mi meraviglierei che fosse scoppiata la Rivoluzione.

Quella parola gli fece venire i brividi alla schiena. Si proibì di pensarla ancora, ma più se lo proibiva e più la pensava. La paroletta maledetta gli ballava davanti agli occhi in tutte le lettere: R come Roma, I come Imola, V come Venezia eccetera eccetera.

A un tratto gli parve che qualcuno lo seguisse. Si appiattò dietro una siepe ed attese. Dopo qualche minuto gli passò davanti il sor Pisello, che si muoveva con prudenza come se camminasse sulle uova. L'avvocato era molto sospettoso: avendo visto il Cavaliere che sgattaiolava nel parco, si era messo sulle sue tracce.

Pomodoro stava per uscire dal suo nascondiglio quando apparve un'altra ombra.

Si rincantucciò dietro la siepe per lasciarla passare. Stavolta era don Prezzemolo, che aveva deciso di spiare l'avvocato. Col suo nasone aveva fiutato che stava succedendo qualcosa di grosso, e non voleva essere lasciato all'oscuro.

Il Duchino Mandarino, invece, aveva fiutato odore di Prezzemolo, perciò eccolo, poco dopo, sulle tracce dell'istitutore.

— Non mi meraviglierei che comparisse anche il Barone, — mormorò Pomodoro, trattenendo il fiato per non farsi scoprire.

Difatti ecco anche il Barone. Avendo visto uscire il Duchino, aveva pensato che si recasse a qualche cenetta di nascosto e aveva deciso di non perdere l'occasione per una bella scorpacciata. Fagiolone ansava, tirando la carriola, ma al buio non poteva vedere né i sassi né le buche, così il Barone doveva sopportare certi scossoni che avrebbero fatto arrabbiare un ippopotamo.

Dopo il Barone non passò più nessuno. Pomodoro uscì dal suo nascondiglio e si dispose a seguirlo.

Così passarono le ore a pedinarsi: il sor Pisello cercava invano di raggiungere Pomodoro, che invece era diventato l'ultimo della fila; don Prezzemolo pedinava il sor Pisello; il Duchino inseguiva don Prezzemolo; il Barone non perdeva di vista il Duchino e Pomodoro camminava sulle tracce del Barone. Ciascuno studiava attentamente i movimenti di quello che gli stava davanti, senza sospettare di essere a sua volta spiato. Qualche volta, nel pedinarsi, invertivano l'ordine degli addendi, ossia il sor Pisello, che era il primo, diventava il secondo perché don Prezzemolo, prendendo per un vicolo, gli aveva tagliato la strada. Allora non avevano pace fin che non avevano ristabilito l'ordine di partenza. Impiegando la notte intera a spiarsi l'un l'altro, non ebbero tempo di spiare altre cose, e all'alba ne sapevano come prima. Per giunta erano stanchi morti.

Si decisero a tornare al Castello. Incontrandosi nei viali del parco, si salutavano e si informavano della propria salute, raccontandosi un sacco di bugie.

— Dove siete stato? — domandava Pomodoro al sor Pisello.

— Sono stato a far da testimone a mio fratello che si è sposato.

— Strano, di solito i matrimoni non si celebrano di notte.

— Mio fratello è piuttosto stravagante, — rispose l'avvocato. Pomodoro sogghignò: dovete sapere infatti che il sor Pisello non aveva fratelli.

Don Prezzemolo disse che era andato alla posta, il Duchino e il Barone dissero tutti e due che erano andati a pescare e si meravigliarono molto perché non si erano incontrati.

Erano così stanchi che camminavano con gli occhi chiusi, così uno solo di loro vide che sulla torre del Castello sventolava la bandiera della Repubblica.