— Ma come posso studiare le lezioni senza toccare i libri?
— Studiale a memoria.
Ciliegino si chiudeva in camera sua e studiava, studiava, studiava. Sempre senza libri, si capisce. Aveva tutto nel cervello e continuava a pensare nuove cose. A pensare gli veniva il mal di testa e le Contesse lo sgridavano:
— Sei sempre ammalato perché pensi troppo. Non pensare e ci farai risparmiare i soldi delle medicine.
Insomma, tutto quello che faceva Ciliegino per le Contesse era malfatto.
Ciliegino non sapeva da che parte voltarsi per non prendersi dei rabbuffi e si sentiva veramente infelice.
In tutto il Castello aveva un solo amico, ed era Fragoletta, la servetta di Donna Seconda. Fragoletta aveva compassione di quel povero piccolo ragazzo con gli occhiali, a cui nessuno voleva bene: era gentile con lui e di sera, quando andava a letto, gli portava qualche pezzo di dolce.
Ma quella sera, a tavola, il dolce se lo mangiò il barone Melarancia.
Il duchino Mandarino ne voleva un pezzo anche lui. Per farselo dare saltò in cima alla credenza e cominciò a strillare:
— Aiuto! Aiuto! Tenetemi, se no mi butto!
Ma ebbe un bello strillare: il barone mandò giù il dolce intero senza dargli retta.
Donna Seconda, in ginocchio davanti alla credenza, pregava il suo cuginetto di non ammazzarsi. Per convincerlo a scendere a terra gli doveva promettere qualcosa, ma non aveva più niente.
Del resto, quando comprese che non c'era più niente da arraffare, il duchino Mandarino calò a terra da solo, sbuffando.
Proprio in quel momento Pomodoro fu avvertito che la casa del sor Zucchina era scomparsa. Il Cavaliere non ci pensò su due volte: mandò un messaggio al Governatore e gli chiese in prestito una ventina di poliziotti, ossia di Limoncini.
* * *
I Limoncini arrivarono il giorno dopo e fecero piazza pulita. Questo vuoi dire che fecero il giro del paese e arrestarono tutti quelli che trovarono.
Arrestarono Mastro Uvetta, naturalmente. Il ciabattino prese là lesina per grattarsi la testa e li seguì brontolando. I Limoncini gli sequestrarono la lesina.
— Non potete portare armi con voi, — dissero severamente a Mastro Uvetta.
— E io con che cosa mi gratto?
— Quando vi volete grattare, avvisate il comandante e ci penserà lui.
Così Mastro Uvetta, quando aveva bisogno di grattarsi la testa per riflettere, avvisava il comandante dei Limoncini e subito un Limoncino gli grattava la testa con la sciabola.
Anche il professor Pero Pera fu arrestato: gli lasciarono prendere solo il violino e una candela.
— Che cosa ne volete fare della candela?
— Mia moglie me l'ha messa in tasca, perché dice che le prigioni del Castello sono molto scure.
Insomma, furono arrestati tutti gli abitanti del villaggio, eccetto il sor Pisello, perché era un avvocato, e Pirro Porro, perché non lo trovarono.
Pirro Porro non si era mica nascosto, anzi: se ne stava tranquillo sul balcone, con i baffi tirati dalle due parti, e sui baffi il bucato steso ad asciugare. Le guardie lo scambiarono per un palo e non gli badarono.
Zucchina seguì i Limoncini sospirando secondo il suo solito.
— Perché sospirate tanto? — gli domandò severamente il comandante.
— Perché ho tanti sospiri. Ho lavorato tutta la vita e ogni giorno ne mettevo da parte una dozzina: adesso ne ho migliaia e migliaia e bisogna pure che li adoperi.
Fra le donne, fu arrestata solamente la sora Zucca: e siccome si rifiutava di camminare, le guardie la rovesciarono e la fecero rotolare fin sulla porta della prigione. Era così rotonda.
Siccome erano molto furbi, i Limoncini non arrestarono nemmeno Cipollino, che se ne stava tranquillo seduto sul muricciolo a vederli passare, in compagnia di una bambina qualunque, che si chiamava Ravanella.
I Limoncini domandarono proprio a loro se avessero visto da quelle parti un pericoloso malandrino di nome Cipollino.
Essi risposero che l'avevano visto nascondersi sotto il berretto del comandante e scapparono sghignazzando.
Quel giorno stesso, però, andarono a fare un giro d'ispezione al Castello, per sapere che ne era stato dei prigionieri.
Capitolo VII
Ciliegino, per una volta, a don Prezzemolo si rivolta
Il Castello era un po' in cima alla collina ed era circondato da un gran parco. C'era un cartello che da una parte diceva: «Vietato l'ingresso»— e dall'altra parte diceva invece: «Vietata l'uscita».
Una parte era destinata ai ragazzi del villaggio, perché non gli venisse la tentazione di scavalcare l'inferriata per andare a giocare sotto gli alberi del parco; l'altra era per Ciliegino, perché non gli venisse la tentazione di scappare nel villaggio a imbrancarsi con i figli dei poveri.
Ciliegino passeggiava solo soletto, stando bene attento a non calpestare le aiuole e a non rovinare i fiori. Difatti il suo precettore, don Prezzemolo, aveva fatto mettere dappertutto dei cartelli, su cui c'era scritto quello che Ciliegino poteva fare e quello che non poteva fare.
Per esempio, vicino alla vasca dei pesci rossi c'era questo cartello:
«E' vietato a Ciliegino mettere le mani nella vasca».
E c'era anche quest'altro:
«E' vietato ai pesci rivolgere la parola a Ciliegino».
In mezzo alle aiuole fiorite c'erano cartelli come questo:
«Ciliegino non deve toccare i fiori, altrimenti resterà senza frutta».
Oppure, come questo:
«Guai a Ciliegino se calpesta l'erba dovrà scrivere duemila volte: io sono un ragazzo bene educato».
Questi cartelli erano un'idea di don Prezzemolo, che non era un prete, ma il precettore di Ciliegino.
Il nostro Visconte aveva chiesto alle nobili zie il permesso di andare alla scuola del villaggio, insieme a tutti i ragazzi che vedeva andare e tornare dalla scuola, agitando gloriosamente le cartelle come bandiere. Ma Donna Prima era inorridita:
— Un Conte del Ciliegio nello stesso banco di un contadino? Giammai!
Donna Seconda aveva ribadito:
I pantaloni di un Conte del Ciliegio sul legno di un volgare banco di scuola? Non sarà mai!
Così era stato affittato un maestro privato, per l'appunto don Prezzemolo, chiamato a quel modo perché saltava sempre fuori da tutte le parti.
Se Ciliegino, nel fare il compito, osservava una mosca che era entrata in una macchia d'inchiostro e voleva imparare a scrivere, saltava fuori da chissà dove don Prezzemolo, si soffiava il naso in un fazzolettone a quadri rossi e azzurri e cominciava:
— Guai a quei ragazzi che guardano le mosche! Si comincia sempre così. Poi una mosca tira l'altra, si comincia a guardare anche il ragno, poi il gatto, poi tutti gli altri animali e ci si dimentica di studiare la lezione. Chi non studia la lezione non può diventare un bravo bambino. Chi non diventa un bravo bambino non diventa un brav'uomo. E chi non è un brav'uomo va in prigione. Ciliegino, se non vuoi finire in prigione, smettila di guardare quella mosca.
Se Ciliegino apriva il suo albo per disegnare qualche bella figura, saltava fuori chissà da dove don Prezzemolo, si soffiava il naso e cominciava:
— Guai a quei ragazzi che perdono il tempo a disegnare le belle figure. Che cosa potranno diventare da grandi? Al più al più degli imbianchini, cioè persone sudice e malvestite che girano giorno e notte a insudiciare i muri e perciò finiscono in prigione come si meritano. Ciliegino, vuoi tu finire in prigione?
Per paura della prigione, Ciliegino non sapeva a che santo votarsi.
Per fortuna qualche volta don Prezzemolo non poteva saltar fuori da nessuna parte, perché era andato a fare un pisolino o perché indugiava a tavola a discorrere con la bottiglia. In quei pochi istanti Ciliegino era finalmente libero. Don Prezzemolo se ne rese conto, e fece mettere tutti quei cartelli di cui ho parlato: con questo sistema, poteva dormire un'oretta di più, sicuro che intanto il suo pupillo non perdeva tempo e, passeggiando per il parco, imparava utili lezioni.