— Domani lo farò arrestare, — disse al malato, per confortarlo.
— No, no, per favore! Arrestate me, gettatemi in fondo alla prigione, ma non arrestate Cipollino. Cipollino è buono. Cipollino è il mio unico amico.
Don Prezzemolo si soffiò il naso:
— Il ragazzo sta delirando. Il caso è molto grave. Mandarono a chiamare i medici più famosi.
Venne prima il dottor Fungosecco e ordinò un decotto di funghi vecchi.
Ma il decotto non fece nessun effetto. Anzi, il dottor Nespolino fece osservare che i funghi erano molto pericolosi per quel genere di malattia, e che sarebbe stato meglio un impacco di sugo di nespole del Giappone.
Col sugo delle nespole del Giappone imbrattarono le lenzuola, ma Ciliegino non dava segni di miglioramento.
— Secondo me, — sentenziò il dottor Carciofo, — bisognerebbe fare una medicazione a base di carciofi crudi.
— Con le spine? — domandò Fragoletta spaventata.
— Per forza, altrimenti non fa effetto.
Medicarono Ciliegino con i carciofi crudi, appena colti: il povero ragazzo saltava per le punture come se lo scorticassero.
— Vedete? — disse lietamente il dottor Carciofo, — il signor Visconte manifesta una maggiore vivacità. Continuate nella cura.
— Tutto sbagliato, — esclamò il professor Delle Lattughe, inorridendo. — Chi è quel somaro che ha ordinato una cura di carciofi? Provate piuttosto con la lattuga.
Fragoletta mandò a chiamare in segreto il dottore dei poveri, ossia il dottor Marrone, che abitava nei boschi, sotto un castagno. Lo chiamavano il dottore dei poveri perché ordinava pochissime medicine, e quelle poche le pagava lui di tasca sua.
Quando il dottor Marrone si presentò alla porta del Castello, i servitori volevano mandarlo via perché era arrivato senza carrozza.
— Un dottore senza carrozza, — essi dicevano, — è un dottore senza medicina.
Ma proprio in quel momento sbucò fuori don Prezzemolo, che come sapete si trovava sempre dappertutto e, tanto per dire il contrario degli altri, ordinò che lo lasciassero passare.
Il dottor Marrone visitò il malato di sotto e di sopra, gli guardò la lingua e gli occhi, gli tastò il polso, gli fece qualche domanda a bassa voce, poi si lavò le mani e disse soltanto:
— O che brutta malattia esser senza compagnia.
— Che cosa volete insinuare? — domandò bruscamente il Cavalier Pomodoro.
— Io non insinuo nulla, io dico la verità, se la volete sentire. Questo ragazzo non ha nulla. Ha un po' di malinconia.
— Che malattia è? — domandò Donna Prima che non l'aveva mai avuta. Donna Prima, infatti, aveva un debole per le malattie: quando ne sentiva nominare una nuova se la faceva subito venire per provarla. Del resto era tanto ricca che la spesa delle medicine non le importava nulla.
— Non è una malattia, signora Contessa. E' una tristezza. Il ragazzo ha bisogno di compagnia. Perché non lo mandate a giocare qualche volta con gli altri ragazzi?
Non l'avesse mai detto: si levò un coro di proteste. Il povero dottore fu coperto di insulti.
— Se ne vada, — ordinò Pomodoro, — se ne vada prima che lo faccia cacciare fuori dai miei servi.
— E si vergogni — aggiunse Donna Seconda, — si vergogni di aver abusato della nostra fiducia. Lei si è introdotto nella nostra casa con l'inganno. Se io volessi potrei farla denunciare per violazione di domicilio: non è vero, avvocato?
E si volse per chiedere il parere del sor Pisello, che quando c'era bisogno di un suo parere era sempre presente.
— Certamente, signora Contessa.
E tratto il suo taccuino segnò subito, nel conto delle Contesse del Ciliegio: «Parere circa la denuncia del dottor Marrone per violazione di domicilio, lire cinquantamila».
Avendo così guadagnato la sua giornata, si affrettò a togliere l'incomodo.
Capitolo IX
Topo-in-capo perde il decoro, mentre esulta Pomodoro
Sarete certamente curiosi di avere notizie dei prigionieri, ossia del sor Zucchina, del professor Pero Pera, di Mastro Uvetta, della sora Zucca e degli altri abitanti del villaggio che Pomodoro aveva fatti arrestare e gettare nei sotterranei del Castello.
Per fortuna Pero Pera aveva portato quel pezzetto di candela, perché i sotterranei erano scuri scuri e pieni di topi. Per tenerli lontani il professore cominciò a suonare il violino. Ma egli era di temperamento malinconico e suonava solamente canzoni tristi, che facevano venir voglia di piangere. Mastro Uvetta pregò il professore di smetterla con quella lagna.
I topi, potete figurarvi, appena tornato il silenzio marciarono all'attacco su tre colonne. Il Topo-in-capo ordinò la manovra:
— La prima colonna convergerà da sinistra sulla candela e se ne impadronirà. Ma guai a voi se la rovinate: i denti per il primo ce li devo mettere io che sono il generale. La seconda colonna marcerà sul violino: è fatto con una mezza pera, e dev'essere squisito. La terza colonna avanzerà frontalmente e avrà il compito di distrarre il nemico.
I capitani delle tre colonne spiegarono il loro compito ai singoli topi di fanteria. Il Topo-in-capo prese posto sul carro armato, ossia su una vecchia tegola sbrecciata, adagiata sulla pancia di un topone che altri dieci topi tiravano per la coda. I trombettieri suonarono la carica e in pochi minuti la battaglia era decisa: Pero Pera riuscì a salvare il violino, sollevandolo al di sopra della mischia, ma la candela fu espugnata e i nostri amici rimasero al buio.
II sor Zucchina non si dava pace:
— Tutto per colpa mia!
— E perché mai sarebbe colpa vostra? — borbottò Mastro Uvetta.
— Se io non mi fossi ostinato a voler quella casa, non ci troveremmo nei guai.
— Ma state un po' zitto, — esclamò la sora Zucca. — Non siete mica voi che ci avete messo in prigione.
— Io sono vecchio, che cosa me ne faccio di una casa— piagnucolava Zucchina. — Posso andare ad abitare sotto una panchina ai giardini pubblici, là non darò fastidio a nessuno. Amici, per favore, chiamate le guardie e dite loro che regalerò la casina a Pomodoro e gli dirò anche dove può andarla a prendere.
— Tu non gli dirai un bel niente, — sbottò Mastro Uvetta. Il professor Pero Pera pizzicò tristemente una corda del suo violino:
— Si metterebbe nei pasticci anche il sor Mirtillo.
— Sst! — fece la sora Zucca, — niente nomi. Qui anche i muri hanno orecchie.
Si guardavano in giro, spaventati, ma senza la candela era così buio che non poterono vedere se la prigione avesse davvero le orecchie.
E invece le aveva. Ne aveva uno solo, per la verità: un orecchio rotondo, dal quale partiva un tubo, una specie di telefono segreto, che portava tutte le parole che si dicevano in cella dritto dritto nella camera del Cavalier Pomodoro. Per fortuna in quel momento Pomodoro non era in ascolto, perché aveva troppo da fare al capezzale di Ciliegino.
Nel silenzio che seguì, si sentirono degli squilli di tromba. I topi tornavano all'attacco, più che mai decisi a conquistare il violino di Pero Pera.
Per spaventarli, il professore si accinse a suonare: appoggiò lo strumento alla spalla, brandì l'archetto con aria ispirata e tutti trattennero il fiato. Lo tennero per un bel pezzo, ma poi lo lasciarono e si decisero a respirare, perché dallo strumento non usciva alcun suono.
— Qualcosa che non va? — domandò Mastro Uvetta.
— I topi mi hanno mangiato l'archetto, — esclamò Pero Pera con le lacrime in gola.
L'avevano rosicchiato quasi tutto, lasciandone soltanto pochi centimetri. Senza archetto non si poteva far musica e l'esercito dei topi avanzava, lanciando terribili strida di guerra.