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— No di certo.

— Strano.

Farr non fece commenti.

— Il nostro amico Zhde Patasz Sainh mi ha incaricato di riferirvi un messaggio. In primo luogo vi trasmette tramite mio un distinto saluto di tipo 8 e il senso del suo rammarico per le noie che avete subito nell’ultimo giorno trascorso a Tjiere. Ci pare ancora incredibile che quel Thord possedesse forza sufficiente per fare quello che ha fatto. In secondo luogo, vi consiglia di scegliere i vostri amici con molta cautela, nei prossimi mesi e, in terzo luogo, mi affida alle vostre cure e alla vostra ospitalità sulla Terra, dove sarò uno straniero.

— Come faceva Zhde Patasz a essere al corrente della mia intenzione di tornare sulla Terra? Lasciando Tjiere avevo altri progetti.

— Gli ho parlato ieri sera per telecom.

— Capisco — borbottò Farr. — Be’, naturalmente farò tutto il possibile per voi. Che parte della Terra visiterete?

— Non ho ancora fatto progetti completi. Devo ispezionare le case di Zhde Patasz nelle diverse piantagioni, e quindi dovrò viaggiare parecchio.

— Cosa significa che dovrò scegliere con cautela i miei amici?

— Nient’altro che questo. A quanto pare, sono arrivate fino a Jhespiano voci riguardanti l’incursione dei Thord, con qualche esagerazione, come sempre accade in questi casi. Certi elementi criminali, dando credito a quelle voci, potrebbero interessarsi alla vostra attività… ma corro troppo. — Omon Bozhd si alzò improvvisamente, fece un inchino e se ne andò, lasciando Farr a bocca aperta.

La sera dopo, visto il rilevante numero di ospiti terrestri, la direzione dell’albergo organizzò un trattenimento musicale con musica e rinfreschi terrestri, a cui parteciparono quasi tutti gli ospiti dell’albergo, terrestri e no.

Farr si sbronzò un po’ di whisky e soda, al punto da ritrovarsi a corteggiare insistentemente la più giovane e carina delle insegnanti in gita turistica. La ragazza ricambiava le sue attenzioni, e decisero quindi di andare a fare una passeggiata, tenendosi sottobraccio, sulla spiaggia.

Parlarono poco, ma d’un tratto la ragazza si volse e, guardandolo con stupore, dichiarò: — Se mi è lecito dirlo, non mi sembrate il tipo.

— Il tipo? Che tipo?

— Oh, sapete bene… un uomo capace di prendere in giro gli Iszici e di rubar loro gli alberi sotto il naso.

— Il vostro fiuto non sbaglia — rispose ridendo Farr. — È vero, non sono un tipo simile.

Lei gli lanciò un’occhiata in tralice. — Ho sentito dire diversamente, e da fonti attendibili.

Cercando di parlare in tono leggero, Farr domandò: — Ah sì? E cosa avete sentito?

— Be’, credo che si tratti di una cosa da tenere segreta, perché se gli Iszici ne fossero al corrente vi manderebbero nella Casa dei matti, quindi non mi aspetto che facciate ammissioni compromettenti… Però la persona che me ne ha parlato è degna della massima fede, e naturalmente io non ne farò parola ad anima viva. Ma vi dico fin da ora che sono dalla vostra parte.

— Non ho la minima idea di che cosa stiate parlando.

— Già, immaginavo che avreste risposto così… in fin dei conti io potrei essere una spia degli Iszici. Ne hanno, sapete?

— Una volta per tutte: non so di che cosa stiate parlando!

— Dell’incursione a Tjiere — spiegò la giovane. — Corre voce che voi l’abbiate organizzata, con lo scopo di portare alberi di contrabbando sulla Terra. Ne parlano tutti.

— Che cumulo di stupidaggini! — rise amaro Farr. — Se fosse vero non credete che me la sarei già squagliata? Ma no! Gli Iszici sono molto, ma molto più intelligenti di quanto credete… Com’è nata questa ridicola idea?

La ragazza era visibilmente delusa. Era certo che avrebbe preferito un astuto ladro di alberi all’innocente ma comunissimo Aile Farr. — Non lo so.

— Dove l’avete sentita?

— All’albergo. Ne parlavano.

— Si tratta di discorsi privi di fondamento, tanto per far colpo.

La ragazza non rispose, ma sulla via del ritorno si mostrò molto più fredda e riservata.

Si erano appena rimessi a sedere, quando quattro Szecr, con l’acconciatura che ne rivelava l’alto grado, attraversarono la sala e, avvicinatisi al tavolo di Farr, si fermarono, inchinandosi rigidamente. — Se a Farr Sainh non dispiace, la sua presenza è richiesta altrove.

Farr fu lì lì per rispondere per le rime. Gli occhi dei presenti erano tutti fissi su di loro, e la giovane insegnante era eccitatissima.

Dominandosi a stento, Farr domandò: — Dov’è richiesta la mia presenza, e perché?

— Vi debbono essere poste alcune domande sullo scopo della vostra visita a Iszm.

— E non si potrebbe aspettare fino a domani?

— No, Farr Sainh. Per favore, seguiteci subito.

Fu accompagnato in un piccolo albero da tre baccelli, vicino alla spiaggia, dove Farr trovò ad aspettarlo, seduto su un divano, un vecchio Iszico, che lo invitò ad accomodarsi a sua volta, poi si presentò come Usimir Adislj, della casta di cui facevano parte i sapienti, i teoretici, i filosofi e altri formulatoli di princìpi astratti.

— Sapendo della vostra presenza a Jhespiano e della vostra prossima partenza, ho creduto mio dovere conoscervi senza perdere tempo. So che la vostra professione sulla Terra riguarda il medesimo campo dello scibile che costituisce una delle nostre maggiori preoccupazioni. È vero?

— Sì — ammise brusco Farr. — Sono molto lusingato per la vostra attenzione, ma avrei preferito che si manifestasse in termini meno enfatici. All’albergo tutti sono convinti che io sia stato arrestato dagli Szecr per aver rubato case.

— La tendenza alla morbosità è caratteristica degli ominidi che discendono dalle scimmie — sentenziò Usimir Adislj. — Si tratta di un sentimento che, a parer mio, andrebbe considerato con il massimo disprezzo.

— Sono perfettamente d’accordo con voi — convenne Farr. — Ma era proprio necessario mandare quattro Szecr per portarmi il vostro invito? Tutto ciò mi è parsa una vera mancanza di tatto.

— Non importa. Uomini della nostra levatura non debbono preoccuparsi di simili quisquilie. E adesso parlatemi della vostra professione e dei vostri interessi personali, vi prego.

Farr e Usimir Adislj discussero per quattro ore di Iszm, della Terra, dell’Universo, dei mutamenti dell’uomo e delle previsioni per il futuro. Quando gli Szecr — ridotti ora a due subordinati — vennero finalmente per riaccompagnare Farr all’albergo, questi dovette riconoscere di aver trascorso una piacevolissima serata.

Quando, il mattino seguente, comparve sul terrazzo per la prima colazione, fu accolto con un senso di timore reverenziale. La signora Anderview, la graziosa mogliettina del missionario, dichiarò: — Eravamo sicuri che vi avessero messo in prigione… o forse perfino nella Casa dei matti. Stavamo per decidere se non sarebbe stato meglio avvertire l’amministratore.

— S’è trattato di cosa da nulla — rispose Farr. — Un equivoco. Grazie, comunque, per il vostro interessamento.

Anche i Monagi vollero dire la loro. — È vero che voi e i Thord siete riusciti a farla agli Szecr? Se è vero quel che si dice, noi potremmo farvi delle ottime offerte per un albero femmina… casomai ne aveste una disponibile.

— Non sono capace di farla a nessuno — tagliò corto Farr — e non ho alcun albero femmina disponibile.

I Monagi annuirono strizzando l’occhio furbescamente: — Certo, certo, non se ne può discutere su Iszm dove anche l’erba ha orecchie.

Il giorno dopo arrivò l’Andrei Simic e l’ora della partenza venne fissata per le nove antimeridiane di due giorni dopo. In quei due giorni, Farr trovò gli Szecr asfissianti come non mai. La sera precedente alla partenza, uno gli si avvicinò per dirgli molto cerimoniosamente: — Se Farr Sainh ha tempo disponibile sarebbe desiderato all’ufficio imbarco.