Il baccello continuava a vibrare, a sussultare, le pareti cominciarono a schiantarsi, mostrando lunghe crepe, mentre il siero usciva a fiotti. Dopo un lungo tremito convulso, il baccello sussultò per l’ultima volta, poi tornò immobile.
I frammenti di costole, i mobili, Penche e Farr rotolarono fin sul terrazzo, e di qui, nel vuoto. Farr riuscì ad aggrapparsi a un ramo, frenando così la caduta, e quando questo non lo resse più, precipitò sul prato sottostante con un volo di tre metri, atterrando sul mucchio delle rovine. Appena si fu ripreso, si accorse che c’era qualcosa di morbido, sotto di lui. Cercò tastoni nel buio: erano le gambe di Penche. Le afferrò, tirando con forza, e tutti e due rotolarono sul prato. Farr era allo stremo delle forze. Penche non perse tempo: premendo coi ginocchi sul torace di Farr, lo afferrò per la gola. Farr vide il lampo dei suoi occhi sardonici a un palmo dai suoi. Con uno sforzo sovrumano, si liberò dalla stretta e colpì Penche con una ginocchiata. Penche si ripiegò su se stesso, e arretrò barcollando, ma si riprese immediatamente e tornò all’attacco. Farr gli afferrò il naso e lo torse. Nel tentativo di liberarsi, Penche allentò la stretta.
— Strapperò il germoglio… lo spezzerò… — riuscì a balbettare Farr.
— No! No! — urlò Penche. — Farabutto! Mascalzone… Frope, Carlyle!
Due figure accorsero dalle tenebre, e Penche si alzò in piedi. — Ci sono tre Iszici in casa — disse Penche, alzandosi. — Non lasciateli uscire. State vicino al tronco, e sparate a vista.
— Stanotte non ci saranno sparatorie — rispose una voce fredda.
Due raggi di luce conversero su Penche, che tremava di rabbia. — Chi siete?
— Squadra Speciale. Sono l’ispettore investigativo Kirdy.
— Prendete gli Iszici! Sono nella mia casa!
Comparvero gli Iszici, illuminati dai raggi delle torce elettriche.
— Siamo qui per reclamare ciò che ci appartiene — dichiarò Omon Bozhd.
— Che cosa vi appartiene? — domandò Kirdy con diffidenza.
— Ce l’ha in testa Farr. Si tratta di un germoglio di casa.
— Volete accusare Farr?
— Sarà meglio per loro non farlo — ringhiò Farr. — Non mi hanno perso di vista un attimo, mi hanno pedinato, perquisito, ipnotizzato…
— Il colpevole è Penche — dichiarò con voce amara Omon Bozhd. — Penche, il nostro agente, ci ha ingannati e traditi. Ormai è tutto chiarito. Ha messo sei semi dove sapeva che li avremmo trovati. Ma disponeva anche di un germoglio e lo ha innestato nel cuoio capelluto di Farr, dove non l’avremmo mai trovato.
— Che disdetta! — esclamò Penche.
Kirdy guardò Farr dubbioso. — Quel… coso, è ancora vivo?
Farr frenò a stento una risata. — Vivo? Ma se ha messo foglie e radici. È già spuntato il primo baccello. Ho una casa piantata in testa.
— È proprietà iszica — dichiarò brusco Omon Bozhd. — Esigo che ci sia restituita.
— È mia — intervenne K. Penche. — L’ho pagata.
— È mia — aggiunse Farr.
— Di chi è la testa su cui cresce?
Kirdy scrollò il capo. — Sarà meglio che veniate con me.
— Non seguirò nessuno, a meno che mi arrestiate — rispose Penche, con solenne dignità. E, indicando gli Iszici: — Vi ho intimato di arrestarli Mi hanno distrutto la casa.
— Venite tutti — concluse Kirdy.
Omon Bozhd si erse in tutta la sua statura, guardò Farr, allungò una mano all’interno del manto, e la ritrasse impugnando una pistola a raggi.
Farr si gettò prontamente a terra. Il raggio gli passò alto sopra la testa, mentre dalla pistola a dito di Penche scaturiva una fiammata azzurra. Omon Bozhd, avvolto in un’aureola di fiamme azzurre, continuò a sparare anche quando ormai stava per cadere privo di vita. Farr rotolò ancora sul prato. Gli altri due Iszici, ignorando le pistole dei poliziotti, avevano incominciato anche loro a sparare, e continuarono finché le fiamme azzurre non li ebbero distrutti. Una vampata colpì Farr a una gamba, immobilizzandolo.
— E adesso — commentò soddisfatto Penche — mi prenderò cura di Farr.
— State lontano da me!
— Andateci piano, Penche — lo avvertì l’ispettore.
— Vi pago dieci milioni per il germoglio — disse Penche.
— No. Lo coltiverò io — rispose duro Farr — e regalerò i semi a chi…
— È un bel rischio, perché se è maschio non vale nulla — gli ricordò Penche.
— È femmina — affermò con certezza Farr. — Vale… — si interruppe perché era arrivato il medico che stava esaminandogli la gamba.
— … moltissimo — concluse per lui Penche. — Ma avrete delle difficoltà.
— Da parte di chi?
Arrivarono due infermieri con una barella.
— Da parte degli Iszici. Vi offro dieci milioni. Io posso correre il rischio.
La stanchezza, il dolore, lo choc nervoso, ebbero la meglio su Farr. — D’accordo… Sono nauseato di tutta la faccenda.
— È come se avessimo firmato un contratto! — esclamò Penche trionfante. — Questi signori sono testimoni.
Farr venne adagiato sulla barella. Il dottore, esaminandolo, notò il germoglio e, allungata la mano, lo strappò.
— Ahi! — si lamentò Farr.
— Che cosa avete fatto? — urlò Penche.
— Abbiate cura del vostro tesoro, Penche — mormorò Farr con un fil di voce.
— Dov’è? — gridò Penche con voce strozzata, affrontando il dottore.
— Che cosa? — fece questi stupito.
— Delle luci! Subito! — ordinò Penche.
Farr vide Penche e i suoi uomini frugare fra l’erba e i rottami alla ricerca del germoglio che il dottore aveva strappato, poi perse i sensi.
Penche andò a trovare Farr all’ospedale. — Ecco il vostro denaro — disse brusco, deponendo un assegno sul comodino. Farr lo guardò. — Dieci milioni di dollari!
— È un bel mucchio di denaro.
— Già.
— Dovete aver ritrovato il germoglio.
Penche annuì. — Era ancora vivo. Cresce… ma è maschio — riprese l’assegno, lo guardò e tornò a metterlo sul comodino. — Ho perso la scommessa.
— Le probabilità erano alla pari — gli ricordò Farr.
— Comunque, non m’importa del denaro — affermò Penche guardando dalla finestra il panorama di Los Angeles. Farr avrebbe voluto sapere a che cosa pensava.
— Fa presto a venire, fa presto ad andarsene — disse Penche, e si volse per uscire.
— E adesso? — domandò Farr. — Non siete riuscito ad avere una casa femmina e non siete più rappresentante degli Iszici.
— Su Iszm ci sono ancora molte case femmina — rispose Penche. — Ce ne sono moltissime, e io me ne procurerò qualcuna.
— Con un’altra incursione?
— Chiamatela come vi pare.
— E voi come la chiamate?
— Spedizione.
— Sono ben lieto di non averci più niente a che fare.
— Non si può mai sapere — lo ammonì Penche. — E poi, potreste anche cambiare idea.
— Quanto a questo, non contateci! — rispose Farr.