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Farr si tastò la ferita, che continuava a dolergli. Zhde Patasz si avvicinò al vaso cilindrico e si chinò a osservare le anguille. — A volte le nostre ansie sono esagerate — disse — e fanno sì che siano esagerate anche le nostre reazioni. — Si volse, fissando a lungo Farr. — Comunque — concluse — spero che vorrete perdonare il nostro errore. Ne sono responsabili i Thord e i loro mandanti. Se non fosse stato per loro, tutto ciò non sarebbe accaduto. Vi prego inoltre di non adirarvi se le nostre preoccupazioni vi sembrano eccessive. L’incursione faceva parte di un piano accuratissimo e su vasta scala; per un filo non è riuscita. Chi ha concepito e attuato quella complessa operazione? Dobbiamo scoprirlo. I Thord sono abili esecutori ed esaminando il modo con cui hanno svolto l’operazione, le piante che hanno estirpato, la località che hanno scelto, risulta evidente che si tratta di un progetto preparato con ogni cura da qualcuno che è venuto qui a spiarci travestito da turista, come voi.

— Non si trattava certo di un turista come me — ribatté Farr con una breve risata. — Mi rifiuto di essere coinvolto, sia pure indirettamente, nella faccenda.

— Perdonatemi — lece Zhde Patasz inchinandosi. — Ma sono certo che sarete abbastanza indulgente e comprensivo da capirci. Dobbiamo proteggere i nostri investimenti. Siamo uomini d’affari.

— Non molto abili — corresse Farr.

— Che interessante opinione. E perché no?

— Il vostro prodotto è ottimo — spiegò Farr — ma il mercato è poco economico. Vendite limitate e prezzi esorbitanti.

Zhde Patasz agitò con gesto indulgente il suo occhialetto. — Le teorie sono molteplici…

— Ho studiato parecchie analisi del commercio delle case — disse Farr — e sono tutte concordi in un particolare.

— Quale?

— Che i vostri metodi sono inefficienti. C’è un unico venditore che ha il monopolio per ogni pianeta, e questo sistema non può giovare che al rappresentante. K. Penche è multimiliardario, ma è anche l’uomo più odiato della Terra.

Zhde Patasz tornò ad agitare pensoso l’occhialetto. — K. Penche ora sarà infelice, oltre che odiato.

— Lieto di saperlo. Ma perché dite così?

— L’incursione ha distrutto gran pare della sua quota.

— Non avrà più case?

— Non quelle che aveva ordinato.

— Be’ — commentò Farr — non mi pare che ci sia una gran differenza. Riuscirà comunque a vendere tutto quello che gli manderete.

— È un Terrestre… un mercante… — spiegò Zhde Patasz con impazienza. — Noi siamo Iszici e coltivatori di piante per istinto. Il primo piantatore risale a duecento milioni di anni fa, allorché Dium, l’antrofibio primordiale, strisciò fuori dall’oceano. Con l’acqua salata che gli usciva ancora dalle branchie, cercò e trovò rifugio in un baccello. È il mio diretto antenato. Noi siamo diventati maestri nell’arte di coltivare le case e non possiamo permettere di dissipare questo patrimonio accumulato in tanti millenni, né di esserne derubati.

— Però, che lo vogliate o meno, qualcuno finirà col riuscirci — obiettò Farr. — C’è troppa gente senza casa, nell’universo.

— No — ribatté brusco Zhde Patasz. — Non è un’arte che si possa riprodurre con la sola ragione… sussiste tuttora un elemento magico.

— Magico?

— Non proprio, ma un contorno di magia c’è. Per esempio, noi cantiamo incantesimi ai semi che germogliano. E i semi germogliano e crescono. Senza gli incantesimi non prospererebbero. Perché? Chi lo sa? Lo ignoriamo anche noi. In tutte le fasi della crescita, e dell’allevamento delle nostre case, questo particolare elemento contribuisce a far sì che esse crescano diverse da qualunque arbusto inutile.

— Sulla Terra — disse Farr — incominceremmo dal principio, proveremmo milioni di sementi, milioni di metodi.

— Dopo mille anni riuscireste a far produrre all’albero un numero stabilito di baccelli — obiettò l’Iszico. Si avvicinò a una parete sfiorando le verdi fibre intrecciate. — Guardate questa lanugine… noi iniettiamo un liquido in un organo del baccello rudimentale. Il liquido è composto di sostanze come ammonite di nervature in polvere, cenere dell’arbusto di frunz, acetato isocromilo di sodio, polvere di meteorite Phanodana. Il liquido viene sottoposto a sei trattamenti specifici e deve essere iniettato attraverso una proboscide trasparente. Ditemi — concluse fissando Farr attraverso l’occhialetto — quanto tempo impiegherebbero i Terrestri per riuscire a far crescere questo muschio nell’interno di un baccello?

— Forse non tenterebbero nemmeno. A noi basterebbero modeste case di cinque o sei baccelli, semplici e senza elaborati ornamenti.

— Ma è un cosa rozza e volgare! — esclamò Zhde Patasz. — Lo capite, non è vero? Un’abitazione dev’essere una cosa omogenea, tutta unita, pareti, decorazioni murali, arredo, devono essere una cosa sola! A che cosa servirebbero altrimenti il nostro patrimonio di cognizioni e i nostri duecento milioni d’anni di sforzi? Qualunque ignorante è capace di impastare muschio su un muro, ma solo un Iszico è capace di farcelo crescere!

— Vi credo — ammise Farr.

Agitando l’occhialetto, Zhde Patasz continuò con ardore: — E se voi rubaste una casa femmina, e riusciste ad allevare una casa da cinque baccelli, sareste solo agli inizi. Bisogna educarla, adattarla, bisogna eliminare le parti superflue, bisogna localizzare e paralizzare i nervi dell’eiaculazione. Bisogna che le fessure, quelle che a voi sembrano porte, possano allargarsi e restringersi a volontà. L’arte di adattare una casa è importante quanto quella di coltivarla. Senza un addestramento adeguato, una casa diventerebbe un inimmaginabile fastidio… una minaccia.

— K. Penche non ha cercato di adattare alcuna delle case che gli avete mandato. Non ce n’è stato bisogno.

— Puah! Le case di Penche sono docili, senza carattere, non rivestono alcun interesse, e sono prive di bellezza e di grazia… — S’interruppe. — Non riesco a spiegarmi. La vostra lingua non ha parole per esprimere i sentimenti di un Iszico nei riguardi della propria casa. La cresce, e cresce con lei. Quando muore, le sue ceneri sono unite a quelle di lui. Ne beve il siero, ne respira il respiro. Essa lo protegge, ne plasma il pensiero. Una casa che abbia un carattere respinge gli estranei, una casa offesa è capace di ucciderli. E un manicomio, una Casa dei matti… è la dimora adatta ai criminali.

Farr lo ascoltava con profondo interesse. — Tutto ciò va bene per un Iszico, ma i Terrestri non sono così esigenti e raffinati. Per lo meno i Terrestri meno abbienti… o, come direste voi, i Terrestri di bassa casta. A loro basta una casa in cui vivere.

— E possono averle. Noi siamo ben lieti di fornirgliene. Ma dovranno ricorrere ai nostri rappresentanti accreditati.

— K. Penche?

— Sì, lui è il nostro rappresentante.

— Be’, credo che adesso andrò a dormire — disse Farr. — Sono stanco e ho mal di testa.

— Mi dispiace, ma andate pure a riposare, e domani, se vorrete, vi farò visitare la mia piantagione. Intanto, consideratevi a casa vostra.

La donna col turbante nero accompagnò Farr nel suo appartamento. Gli lavò cerimoniosamente il viso, le mani e i piedi, e spruzzò le stanze di essenze aromatiche.

Farr cadde in un sonno inquieto. Sognò del Thord, ne rivide il rude viso bruno, ne riudì la voce bassa e roca. La ferita gli bruciava e continuava a voltarsi e a rigirarsi. Finalmente il viso bruno scomparve come una luce che si spegne, e Farr poté riposare tranquillo.

5

Il giorno seguente, Farr si svegliò a quel sospirante sussurro che è il suono della musica iszica. Trovò a portata di mano indumenti puliti che si affrettò a indossare; poi uscì sulla balconata. Il paesaggio che si stendeva davanti ai suoi occhi era di una bellezza fantastica: il sole, la stella XI dell’Auriga, non era ancora sorto, e il cielo era di un intenso blu elettrico mentre il mare pareva uno specchio color prugna, che all’orizzonte s’incupiva fino al nero. A destra e a sinistra si ergevano le complicate case degli aristocratici di Tjiere, il cui fogliame si stagliava contro il cielo; in quella luce crepuscolare si distinguevano appena i colori: blu cupo, marrone, verde scuro, così morbidi che parevano di velluto. Sui canali galleggiavano dozzine di gondole, e più oltre, si stendeva il bazar di Tjiere dove si distribuivano, secondo un metodo di scambi non ancora ben chiaro a Farr, i beni e i manufatti che provenivano dalle fabbriche del continente meridionale e da alcuni mondi esterni.