E pensare che Junz non era neppure di Florina!
Abel gli aveva chiesto: «Che cos’è Florina per lei?»
Dopo una lunga esitazione, Junz aveva risposto: «Sento, con i suoi abitanti, un’affinità di razza.»
«Ma lei è libairiano; o perlomeno, questa è la mia impressione.»
«Infatti, ma in questo consiste appunto l’affinità. Noi siamo i due estremi in una Galassia di medi.»
«I due estremi? Non capisco.»
Junz aveva detto: «Sì, i due estremi rispetto alla pigmentazione della pelle. I floriniani sono eccezionalmente pallidi, noi siamo eccezionalmente bruni. Ciò ha un significato, ci lega gli uni agli altri, ci offre un elemento comune. Io ho la sensazione che i nostri antenati debbano avere subito vicissitudini analoghe, a causa di questa loro diversità, e suppongo persino che siano stati esclusi dalla maggioranza sociale.»
Sotto lo sguardo stupefatto di Abel, Junz si era inceppato e aveva taciuto: poi quell’argomento non era più stato toccato.
E adesso, dopo un anno, senza preavviso, proprio nel momento in cui si sarebbe aspettato che quel maledetto affare “dovesse finire in niente, e quando già Junz manifestava dei segni d’indebolito zelo, ecco che la bomba era scoppiata. Si trovava a dover affrontare, ora, un Junz ben diverso la cui collera non era riservata a Sark soltanto, ma si riversava ugualmente sul capo di Abel.
«Non è già che io mi risenta del fatto che mi abbia messo i suoi agenti alle calcagna» gli stava dicendo lo scienziato. «Ammetto che lei debba essere cauto e che non possa fidarsi di niente e di nessuno. Sin qui tutto bene. Ma perché non sono stato informato, non appena il nostro uomo è stato individuato?»
Abel lisciò con la mano la stoffa delicata della poltrona in cui era seduto. «Le cose sono sempre talmente complicate! Avevo disposto in modo che qualsiasi rapporto su un ricercatore non autorizzato di dati spazio-analitici fosse consegnato oltre che a lei anche a un mio determinato agente. Avevo persino creduto che lei avesse bisogno di protezione. Ma su Florina…»
Junz lo interruppe in tono ironico: «Già! Come siamo stati sciocchi a non considerare questa ipotesi. Abbiamo speso quasi un anno a dimostrare che era impossibile rintracciarlo su Sark. Perciò doveva essere su Florina, e noi invece tale possibilità non la abbiamo neppure presa in considerazione. Adesso però l’abbiamo in pugno, o meglio, l’ha in pugno lei, e spero che avrà sistemato le cose in maniera che io possa vederlo…»
Abel evitò una risposta diretta. Chiese, invece: «Dunque le hanno detto che quel Khorov sarebbe un agente di Trantor?»
«E non lo è forse? Perché mi avrebbero mentito? O sono male informati?»
«Non le hanno mentito né sono male informati. Quell’uomo è effettivamente nostro agente da circa un decennio, e mi secca molto di apprendere che gli altri lo sapessero. Ma non si stupisce che le abbiano detto così chiaro e tondo che quell’uomo è uno dei nostri? Io dico che l’hanno informata sulla vera identità di Khorov per beffarsi di me e di lei. Sapevano che questa loro consapevolezza non poteva più né aiutarli né danneggiarli, dal momento che da dodici ore io so che loro erano ormai a conoscenza del fatto che Khorov era uno dei nostri uomini.»
«Ma in che modo?»
«Nel modo più inequivocabile possibile. Dodici ore fa Matt Khorov, agente di Trantor, è stato ucciso da un appartenente alla Pattuglia Floriniana. I due floriniani che sino a quel momento erano rimasti in suo potere, una donna, e l’uomo che, con tutta probabilità, è lo spazialista che lei cerca, sono scomparsi, si sono volatilizzati. Molto probabilmente a quest’ora sono nelle mani dei Signori.»
Junz scattò in piedi.
«Ufficialmente io non posso far niente» disse Abel, calmissimo. «Il morto era floriniano, e gli scomparsi, sino a quando noi non saremo in grado di dimostrare il contrario, sono floriniani. Perciò, come vede, siamo stati giocati bellamente.»
Rik vide uccidere il Fornaio, lo vide afflosciarsi senza un grido, vide il suo petto infossarsi e trasformarsi in un ammasso fumante sotto la carica silenziosa dell’inceneratore. Per un attimo quell’avvenimento annullò i progressi compiuti dalla sua mente in quelle ultime ore di sonno. Il pattugliatore si era buttato su di lui, scavalcando uomini e donne urlanti, come se fossero stati un viscido mare di fango attraverso il quale fosse costretto a sguazzare e a dibattersi per non affondare. Rik e Lona vennero trascinati via dalla corrente tra mulinelli e risucchi, tremando di paura, mentre incominciavano ad aleggiare sulle loro teste le macchine dei pattugliatori volanti. Valona si trascinava Rik quasi di peso, cercando di sospingerlo verso la periferia della Città.
Quel mattino Rik si era svegliato nel grigiore di un’alba che non poteva vedere, dalla stanza priva di finestre in cui aveva dormito. Giacque così per lunghi minuti, analizzando la propria mente. Durante la notte qualcosa in lui si era cicatrizzato, si era saldato insieme ricostituendosi. Quel momento era incominciato due giorni prima quando si era messo a “ricordare”. Il processo era continuato durante tutta la giornata precedente. Il viaggio alla Città Alta, la visita alla biblioteca, l’assalto al pattugliatore, la fuga che ne era seguita, l’incontro con il Fornaio, tutto questo aveva agito su di lui come un fermento.
Finalmente si voltò e disse: «Lona…»
La ragazza si svegliò di colpo, rizzandosi su un gomito, e volse lo sguardo verso di lui.
«Rik?»
«Sono qui, Lona.»
«Ti senti bene?»
«Certamente.» Non riusciva a contenere la propria emozione. «Mi sento benissimo, Lona. Ascolta! Comincio a ricordare sempre di più. Ero su una nave, e so esattamente…»
Una luce penetrò nella stanza e con essa la massiccia figura del Fornaio. Rik lo squadrò ammiccando e per un attimo ne fu impressionato.
Le grosse labbra del Fornaio si allargarono in un ampio sorriso.
«Vi siete svegliati presto.»
Nessuno dei due rispose.
Il Fornaio disse: «Tanto meglio, perché oggi dovete far fagotto.»
Valona si sentiva la gola arsa. Mormorò: «Non ci consegnerà ai pattugliatori, vero?»
«Non ai pattugliatori» disse. «Ho informato le persone competenti, e sarete più che al sicuro.»
Uscì, e quando rientrò poco dopo aveva con sé viveri, vestiti, e due bacinelle d’acqua. I vestiti erano nuovi e di foggia totalmente sconosciuta.
Stette a osservarli mentre mangiavano, quindi disse: «Vi darò nomi nuovi e una personalità diversa. Mi dovete ascoltare attentamente, perché bisogna che non dimentichiate nulla. Voi non siete floriniani, mi capite? Siete fratello e sorella, e provenite dal pianeta Wotex. Siete stati in visita su Florina…»
Proseguì per un pezzo così, fornendo particolari, rivolgendo domande, ascoltando le loro risposte.
Rik era felice di poter dimostrare l’elasticità della sua memoria, la sua facilità di apprendere, ma gli occhi di Valona erano carichi di preoccupazione.
La sua inquietudine non sfuggì al Fornaio. Disse, rivolto alla ragazza: «Se mi darai anche la più piccola noia manderò via solo lui, e tu resterai qui.»
Le forti mani di Valona si contrassero spasmodicamente: «Non le darò nessuna noia.»
La mattina era già inoltrata quando il Fornaio si alzò in piedi e disse: «Andiamo!»
Il suo ultimo gesto fu quello di riporre nelle tasche delle loro giacche piccoli fogli neri di pergamoide morbida.
Intorno a loro si raccolsero alcuni passanti che presero a fissarli a bocca aperta gesticolando e chiamandosi l’un l’altro. Erano per la maggior parte bambini, donne dirette al mercato, vagabondi stracciati e sornioni. Il Fornaio sembrava ignorarli.
Ed ecco che, mentre si trovavano a soli cento metri dalla panetteria, la folla che li circondava cominciò a scomporsi agitatamente, e Rik riconobbe la divisa nero-argentea di un pattugliatore.