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Disse: «Avevo un lavoro.»

«Sì» replicò Valona, «analizzavi il Nulla.»

«Proprio così.» Rik si sentì compiaciuto. «Proprio così. Sai che cosa significa?»

«No.»

«Vedi, tutta la materia dell’universo è costituita di cento sostanze diverse che noi chiamiamo elementi. Per esempio: elementi sono il ferro e il rame.»

«Io credevo che fossero metalli.»

«Lo sono, ma sono anche elementi, come elementi sono pure l’ossigeno, l’azoto, il carbonio e il palladio. Ma i più importanti di tutti sono l’idrogeno e l’elio, che sono anche i più semplici e i più comuni.»

«Io non ne ho mai sentito parlare» disse Valona con voce triste.

«Il novantacinque per cento dell’universo è idrogeno e quasi tutto il resto è elio. Persino lo spazio.»

«Mi fu spiegato una volta che lo spazio era un vuoto» disse Valona. «Mi dissero che questo significava che non c’era nulla. Era sbagliato?»

«Non completamente. Nello spazio non vi è quasi nulla. Però, capisci, io ero uno Spazio-Analista, il che significa che me ne andavo per lo spazio raccogliendovi le quantità estremamente piccole di elementi che vi si trovano e analizzandole. Vale a dire, studiavo quanto vi era d’idrogeno, quanto di elio e quanto di altri elementi diversi.»

«Perché?»

«Questo è alquanto complicato da spiegare. Vediamo un po’: devi sapere che la disposizione degli elementi nello spazio non è dappertutto la stessa. In alcune regioni vi è un po’ più d’elio del normale; in altre, più sodio del normale, e così via. Queste regioni di struttura analitica speciale serpeggiano nello spazio come correnti. Per questo le chiamano correnti spaziali. Ora è molto importante sapere la disposizione di queste correnti perché ciò potrebbe servire a spiegare come l’universo si sia creato e sviluppato.»

«E come si potrebbe spiegare questo?»

Rik esitò. «Nessuno lo sa con esattezza.» Tacque di colpo.

Valona s’irrigidì, e attese inquieta che lui continuasse, ma nella piccola stanza seguitò a regnare il più profondo silenzio.

«Rik! Che cos’hai, Rik?»

Sempre silenzio. Lei lo afferrò per le spalle e lo scosse. «Rik! Rik!»

Quella che rispose era la voce dell’antico Rik; una voce flebile, spaventata, vuota di ogni gioia e di ogni sicurezza.

«Lona. Abbiamo commesso uno sbaglio.»

«Quale sbaglio? Parla, Rik!»

Il ricordo della scena in cui il pattugliatore aveva fulminato il Fornaio gli era riapparso alla mente, straordinariamente nitido e chiaro, come se l’affluire di tante altre immagini avesse spinto di nuovo nel suo cervello anche quell’ultima memoria.

Disse: «Non dovevamo fuggire. Non dovremmo essere qui, su questa nave.»

Era stato assalito da un tremito incontrollabile, e Valona tentava inutilmente di asciugargli col dorso della mano il sudore che gli imperlava la fronte.

«Perché?» insistette Valona. «Perché?»

«Perché dovevamo sapere che se il Fornaio era disposto a condurci fuori in pieno giorno era certo di non aspettarsi alcuna interferenza da parte dei pattugliatori. Ricordi il pattugliatore che ha ucciso il Fornaio?»

«Sì.»

«Ricordi la sua faccia?»

«Non ho osato guardarlo.»

«Io sì, e l’ho trovata strana, ma sul momento non ho riflettuto. Lona, quello non era un pattugliatore, era il Borgomastro, Lona. Il Borgomastro vestito da pattugliatore!»

8

Samia di Fife era piccolissima di statura, ma tutta la sua minuta persona era in uno stato di esasperazione vibrante. Passeggiava nervosamente per la stanza. Disse: «Oh, no! Non può farmi questo. Capitano!»

La sua voce era imperiosa e piena di autorità. Il Comandante Racety si piegò alla tempesta. «Mia Signora!»

Samia disse: «Non mi si può comandare così a bacchetta. Voglio restare qui.»

Il Comandante rispose cautamente: «Cerchi di capire, Mia Signora, che io eseguo solo gli ordini che mi sono stati impartiti. Nessuno ha chiesto il mio parere.»

La donna ripeté per la terza volta esattamente le stesse parole: «I suoi ordini non m’interessano.»

Si allontanò quindi risolutamente da lui facendo risuonare i tacchi.

Il Comandante le tenne dietro, e disse con voce umile: «Gli ordini che ho ricevuto mi ingiungono, nel caso che lei si rifiutasse di seguirmi, di… trasportarla di peso sulla nave.»

Samia si voltò di scatto. «Non oserà mai farlo!»

Il Comandante rispose: «Se penso a chi m’ha dato quest’ordine, oserei ogni cosa.»

Samia allora mutò tattica; tentò con le arti sottili della civetteria femminile: «Ma, Comandante, non può esserci un pericolo vero. È assurdo il solo pensarlo. La Città è tranquillissima. Tanto chiasso per un pattugliatore assalito ieri pomeriggio nella biblioteca. Francamente!»

«Un altro pattugliatore è stato ucciso oggi all’alba.»

Quella notizia la scosse, ma la sua pelle color oliva s’incupì ancor più, e i suoi occhi neri fiammeggiarono: «Che cosa c’entra tutto questo con me? Io non solo un pattugliatore.»

«Mia Signora, la nave è già quasi pronta e partirà tra poco, ma non senza di lei».

«E il mio lavoro? Le mie ricerche? Non capisce… no, non può capire.»

Il Comandante tacque. La Dama si era scostata da lui. La sua veste scintillante di kyrt color del rame, striata di filamenti di argento lattiginoso, metteva in risalto la straordinaria perfezione delle sue spalle e delle sue braccia. Il capitano Racety la guardò con qualcosa di più della semplice cortesia e dell’umile obiettività che un modesto sarkita doveva a una così gran Dama, e si chiese come mai una creaturina così squisita si ostinasse a sprecare il proprio tempo scimmiottando le ricerche erudite dei vecchi barbogi universitari.

Samia sapeva perfettamente che il suo amore del sapere la rendeva oggetto di bonaria derisione da parte di quelli che erano abituati a giudicare le aristocratiche Dame di Sark come unicamente dedite alle frivolezze della società elegante. Ma a lei la cosa non importava affatto.

Quella sua passione era cominciata sin da quando era una ragazzina, perché era sempre stata innamorata del kyrt, mentre la maggior parte della gente lo accettava come una cosa acquisita e sottintesa. Il kyrt! Il re, l’imperatore, il dio dei tessuti. Non esisteva metafora abbastanza efficace per descriverlo.

Chimicamente non era altro che una varietà di cellulosa. Così giuravano i chimici. Tuttavia, nonostante tutti i loro strumenti e le loro teorie, non erano mai ancora riusciti a spiegare perché su Florina soltanto, in tutta la Galassia, la cellulosa si trasformasse in kyrt. Era una questione di stato fisico, rispondevano. Ma se si chiedeva loro di spiegare in modo esatto in quale modo lo stato fisico variasse da quello della cellulosa normale ammutolivano.

Naturalmente il kyrt non brillava di per sé ma, filato nel giusto modo, scintillava metallicamente nel sole con una grande varietà di colori o meglio assommando in sé tutti i colori. Trattato in modo diverso il suo filato acquistava un luccichio di diamante. Con poco costo lo si poteva rendere resistente al calore di 600 gradi centigradi, e completamente inattaccabile da quasi tutte le sostanze chimiche. Le sue fibre potevano essere filate ancora più finemente delle più delicate fibre sintetiche e quelle stesse fibre avevano una resistenza alla sollecitazione di trazione che nessuna lega d’acciaio riusciva a uguagliare.

Poteva essere destinato a usi diversi, era più versatile di qualsiasi altra sostanza nota all’uomo. Se non fosse stato tanto costoso lo si sarebbe potuto usare per sostituire il vetro, il metallo o la plastica in una infinità di applicazioni industriali. Per il momento era il solo materiale usato nella costruzione delle lenti prismatiche, serviva a fabbricare gli stampi destinati alla fusione degli idrocarburi usati nei motori iperatomici, e costituiva la base di impalcature eterne, leggerissime là dove il metallo era troppo friabile o troppo pesante o l’uno e l’altro insieme.