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Perciò quando se ne andò lo fece senza esitazioni, benché fosse di pieno giorno, benché i pattugliatori dovessero ormai sapere che l’uomo che cercavano vestiva la loro uniforme, e sebbene fossero già visibili a poca distanza due aerovetture. Terens sapeva a quale astroporto dirigersi. Sul pianeta ve n’era uno solo di quel tipo. Nella Città Alta ve n’erano almeno una dozzina, assai più piccoli, destinati agli astro-panfili di uso privato e ce n’erano parecchie centinaia disseminati un po’ ovunque sul pianeta e adibiti esclusivamente al movimento degli sgraziati mezzi da carico che trasportavano su Sark enormi balle di tessuto di kyrt e ne riportavano macchinari e semplici merci di consumo. Ma tra tutti questi vi era un solo astroporto a uso dei viaggiatori normali, dei sarkiti meno abbienti, dei funzionari amministrativi floriniani e dei pochi forestieri che riuscivano a ottenere il permesso di visitare Florina.

Il floriniano addetto al cancello d’ingresso dell’astroporto osservò l’avvicinarsi di Terens col più vivo interesse.

Terens chiese con voce brusca, imperiosa: «Due persone, un uomo e una donna, sono venute qui poco fa, dirette a Wotex?»

Il guardiano lo guardò sbalordito. Rimase per un attimo senza fiato, quindi in tono assai dimesso disse: «Sì, Ufficiale. Circa mezz’ora fa. Forse meno.»

«Che nomi hanno dato?»

«Gareth e Hansa Barne.»

«La loro nave è già partita? Su, parla!»

«N…no, Signore.»

«Dov’è ancorata?»

«Al numero diciassette.»

Un trasvolatore spaziale in uniforme da ufficiale era fermo davanti alla camera di decompressione centrale della nave.

Terens chiese ansante: «Sono saliti a bordo di questa nave due passeggeri rispondenti al nome di Gareth e Hansa Barne?»

«No» rispose, flemmatico, lo spaziale. Era sarkita e per lui un pattugliatore non era che un altro uomo in uniforme.

Terens si allontanò senza altre parole.

Tornato dal guardiano, domandò: «Sono usciti?»

«No, Signore, che io sappia.»

«Quali altre uscite ci sono?»

«Non ce ne sono altre, Signore. Questa è la sola.»

«Cercameli immediatamente, imbecille!»

Il guardiano prese in mano il portavoce di comunicazione in preda a un panico indescrivibile. Poco dopo tornava a posare il tubo, mormorando: «Nessuno è uscito, Signore.»

Terens chese: «Ma nessuna nave ha lasciato l’astroporto da quando quei due sono entrati?»

Dopo aver consultato l’orario, il guardiano rispose: «Oh, sì! Il transplanetario “Coraggio” che è in viaggio speciale per Sark per riportarvi la Dama Samia di Fife.»

Terens ritornò lentamente sui suoi passi. Una volta eliminato l’impossibile, ciò che rimane, per improbabile che sia, non può che essere la verità. Rik e Valona erano entrati nell’astroporto. Non erano stati arrestati perché in caso contrario il guardiano l’avrebbe certamente saputo. Non stavano aggirandosi per l’astroporto, altrimenti a quell’ora già sarebbero stati acciuffati. Non si trovavano sulla nave per la quale erano stati provvisti di biglietto. Non avevano lasciato il campo, il solo oggetto che avesse lasciato il campo era il “Coraggio”. Pertanto Rik e Valona si trovavano a bordo di quest’ultimo, forse come prigionieri, forse come clandestini.

Ma d’altronde i due termini si equivalevano. Se si erano imbarcati come clandestini non avrebbero tardato a divenire prigionieri. E tra tutte avevano scelto proprio la nave che trasportava la figlia del Signore di Fife.

Il signore di Fife!

9

Il Signore di Fife era il personaggio più importante di Sark e per questo motivo non gli piaceva di farsi vedere in piedi. Al pari di sua figlia era basso di statura, ma diversamente da lei non era così perfettamente proporzionato: infatti aveva le gambe molto corte. Il torso era persino troppo massiccio, e la sua testa era indubbiamente maestosa, ma tutta la sua persona poggiava su due esili gambette che per trasportare tutto quel peso erano costrette ad ancheggiare con difficoltà.

Perciò sedeva sempre dietro a una scrivania e all’infuori di sua figlia e dei suoi domestici personali e, finché era stata viva, di sua moglie, nessuno lo aveva mai visto in altra posizione.

Il Signore stava parlando col proprio segretario che era pallido, con una faccia da pesce lesso, col particolare tono impersonale degli automi meccanici e dei funzionari amministrativi floriniani. «Immagino che tutti abbiano accettato?»

«Sì, Signore.»

Fife sorrise. Non gli restava ora che attendere. La stanza era vasta, i posti per gli altri già erano pronti. Il grande cronometro, la cui minuscola scintilla energetica radioattiva non era mai venuta meno in mille anni, segnava le due e ventuno.

Quali capovolgimenti in quegli ultimi due giorni! Il vecchio cronometro ne avrebbe probabilmente segnati altri che nulla avevano a che vedere con quelli passati.

Eppure quel cronometro aveva veduto molte cose, in mille anni. Quando aveva segnato i suoi primi minuti Sark non era stato che un mondo nuovo di città squadrate manualmente, con contatti malsicuri tra gli altri mondi più antichi. Aveva scoccato le proprie ore durante tre brevi “imperi” sarkiti, in cui gli indisciplinati soldati di Sark erano riusciti a governare, per intervalli di tempo più o meno lunghi, una mezza dozzina di mondi circostanti.

Cinquecento anni innanzi aveva scoccato le ore memorabili in cui Sark aveva scoperto che il mondo più vicino, Florina, possedeva nel proprio suolo un tesoro incalcolabile. Aveva sempre funzionato senza un attimo di arresto durante due guerre vittoriose segnando solennemente l’instaurazione di una dura pace da conquistatori. Sark aveva abbandonato i propri imperi, aveva assorbito completamente Florina e aveva affermato la propria potenza in una maniera che nemmeno Trantor era riuscito a uguagliare.

Trantor voleva Florina e altre potenze l’avevano voluta. Ma chi la teneva in pugno era Sark e Sark, piuttosto che cedere Florina, era pronto a scatenare la guerra galattica. E Trantor lo sapeva! Lo sapeva perfettamente!

Il silenzioso ritmo del cronometro parve scandire quelle parole nel cervello del Signore.

Erano le due e ventitré.

Circa un anno prima i Cinque Grandi Signori di Sark si erano nuovamente incontrati. Allora, come adesso, l’incontro era avvenuto nel suo studio. Allora, come ora, i Signori, sparsi sulla faccia del pianeta, ognuno nel proprio continente, si erano incontrati in personificazione trimensica.

Grosso modo questo si risolveva in una televisione tridimensionale a grandezza naturale, sonora e a colori. La replica di questo congegno si poteva facilmente trovare in ogni benestante casa privata di Sark. Ciò che superava la norma ordinaria era la mancanza di un ricevitore visibile. A eccezione di Fife i Signori erano presenti in ogni possibile aspetto fuorché nella realtà.

Raccolto in un’unica stanza, in corpo o in immagine, c’era tutto Sark. Era una bizzarra e tutt’altro che eroica personificazione del pianeta. Rune era calvo, grasso e roseo, mentre Bolle era grigio e tutto raggrinzito. Steen era tutto incipriato e imbellettato, mentre Bort spingeva l’indifferenza verso i rapporti umani fino alla scortesia di presentarsi con una barba di due giori e le unghie orlate di sudiciume.

Eppure quelli erano i Cinque Grandi Signori.

Rappresentavano il gradino massimo della scala gerarchica di Sark. Il gradino più basso era costituito naturalmente dalla Amministrazione Civile Floriniana, che restava immutata nonostante tutte le vicissitudini che avevano segnato il sorgere e il declinare delle singole nobili casate di Sark. Erano i burocrati infatti coloro che effettivamente ungevano gli assali e facevano girare le ruote del governo. Sopra di loro stavano gli amministratori designati dal Capo dello Stato — personaggio puramente rappresentativo — per diritto ereditario.