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«Dunque» aveva concluso Fife «attenderemo ora la seconda mossa.»

Questo era accaduto un anno innanzi. Si erano separati, e dopo quella riunione il Signore di Fife era rimasto in attesa. Ma non c’era stata nessuna seconda mossa. Nessuno di loro aveva più ricevuto altre lettere. Lo Spazio-Analista seguitava a restare introvabile, mentre le ricerche di Trantor proseguivano stancamente. Su Florina non si era levata una sola voce ad annunciare apocalittici terrori, e il raccolto e la lavorazione del kyrt erano proseguiti nella pace più incontrastata.

Poi la bomba scoppiò all’improvviso, e Fife ebbe la risposta che cercava. Era sicuro che l’avrebbe avuta, ma non era quella che si era aspettata. Per questo aveva indetto una nuova riunione. Il cronometro segnava adesso le due e ventinove. A uno a uno i Signori incominciarono ad apparire.

Fife cominciò: «Signori! L’anno scorso io pensavo a un pericolo lontano e complesso e nel far questo sono caduto in una trappola. Il pericolo esiste, ma non è lontano. Ci è vicino, vicinissimo. Uno di voi sa già a che cosa intendo alludere. Gli altri lo sapranno tra poco.»

«Ma che cosa vuoi dire?» domandò Bort brusco.

«Che uno di voi è colpevole di alto tradimento!» replicò prontamente Fife.

10

Myrlyn Terens non era un uomo d’azione. Si andava ripetendo questo come una scusa verso se stesso perché dal momento in cui aveva lasciato l’astroporto si sentiva la mente paralizzata.

Non aveva quasi più la forza di proseguire. Forse non era un uomo d’azione, però aveva pure agito e con prontezza per un giorno e una notte e parte di un altro giorno, dando così fondo alla propria riserva nervosa. Purché potesse pensare. Questo era l’importante.

Si addentrò nella grata penombra della Città Bassa. Camminava con passo rigido, come aveva veduto camminare i pattugliatori, facendo dondolare con sicurezza la frusta neuronica. Le strade erano vuote. Gli indigeni si acquattavano nei loro tuguri. Tanto meglio.

Il Borgomastro scelse con cura la casa che gli serviva. Era prudente che fosse una delle migliori, di quelle fabbricate con mattonelle di plastica colorata e che avevano alle finestre riquadri di vetro polarizzato. Gli ordini inferiori erano solitamente più ostili. Avevano meno da perdere. Un “arrivato” si sarebbe fatto in quattro per aiutarlo.

Si avviò per un breve sentiero. La casa sorgeva isolata dalla strada, il che indicava ancora un altro segno di benessere. Sapeva che non avrebbe dovuto né picchiare all’uscio né abbatterlo. Aveva osservato, mentre saliva la rampa, un notevole movimento accanto a una finestra. L’uscio si sarebbe certamente aperto.

E si aprì, infatti.

Si trovò di fronte a una ragazza che lo guardava con occhi spalancati.

Il Borgomastro le fece cenno di chiudere la porta. «C’è tuo padre?» chiese.

La ragazza urlò: «Papà!» Poi con voce più sommessa, balbettando: «Sì, Signore!»

Il padre stava arrivando da un’altra stanza, a piccoli passi lenti.

«Come ti chiami?» domandò il Borgomastro.

«Jacof, per servirla, Signore.»

L’uniforme che il Borgomastro indossava recava in tasca un minuscolo taccuino. Il Borgomastro lo aprì, vi diede una breve occhiata, fece un rapido segno con la matita e disse: «Jacof! Infatti! Raduna subito tutti i membri della famiglia. Svelto!»

Entrarono in fila indiana: una donna magra, dal viso angosciato, la quale stringeva tra le braccia un bambino di circa due anni, la ragazza che lo aveva fatto entrare e un fratello minore.

«Non c’è nessun altro?»

«No, Signore» rispose Jacof umilmente.

«E adesso a te, Jacof!»

«Sì, Signore.»

«Tu sei un uomo responsabile, vero?»

«Sissignore.» Gli occhi di Jacof si illuminarono, e lui s’impettì leggermente. «Sono impiegato al centro alimentari. Ho studiato matematica, e so usare i logaritmi.»

Sì, pensò il Borgomastro, ti hanno mostrato come si usa una tavola di logaritmi e ti hanno insegnato a pronunciare la parola. Conosceva il tipo. Quell’uomo era più orgoglioso dei suoi logaritmi di quanto avrebbe potuto esserlo un figlio di un Signore del suo primo panfilo.

«Tu credi nella legge, vero, e nella bontà dei Signori?» chiese il Borgomastro, seguitando a fingere di consultare il taccuino che aveva in mano. «Adesso stammi a sentire, amico, voglio che ti sieda qui e faccia quello che ti dico. Mi serve un elenco di tutte le persone che conosci in questo quartiere, coi nomi, gli indirizzi, quello che fanno, che tipi sono. Insisto su quest’ultimo punto. Ho bisogno di sapere se sono degli attaccabrighe perché stiamo per fare un repulisti totale. Ci siamo intesi?»

«Sì, Signore. Sì, Signore. Prima di tutti c’è Husting…»

«Non così. Prendi un pezzo di carta… Ecco, adesso scrivi tutto per benino, e adagio, perché le vostre orribili calligrafie io non riesco mai a decifrarle.»

«Non so scrivere molto bene, Signore…»

«Prova un po’.»

Jacof si applicò al proprio compito con mano lenta, impacciata.

Terens si rivolse alla ragazza che lo aveva fatto entrare: «Tu va’ alla finestra e fammi sapere se arrivano da questa parte altri miei colleghi. Ho bisogno di conferire con loro; ma non chiamarli. Avvertimi soltanto.»

Finalmente poteva pensare.

Prima di tutto il suo travestimento da pattugliatore non andava più. Certo dovevano aver messo blocchi stradali a tutte le uscite della città, e sapevano perfettamente che il solo mezzo di trasporto di cui egli potesse servirsi non andava più in là di una motoretta diamagnetica.

Avrebbero indubbiamente iniziato il rastrellamento dalla periferia procedendo via via verso l’interno. In tal caso quella abitazione sarebbe stata tra le prime a essere perquisita, perciò il tempo a sua disposizione era assai limitato.

Doveva cessare di essere un pattugliatore.

E questo era un punto. Inoltre si rendeva conto che d’ora innanzi Florina non gli avrebbe più offerto alcun rifugio sicuro. Doveva dunque abbandonarla. Come?

Si alzò.

Jacof sollevò la testa dal foglio. «Non ho ancora finito, Signore. Cerco di scrivere meglio che posso.»

«Fammi un po’ vedere.»

Diede un’occhiata al pezzo di carta che l’altro gli tendeva, e disse: «Basta così. Se dovessero arrivare degli altri pattugliatori non stare a far perder loro del tempo spiegando che hai già compilato una lista. Avranno fretta, e può darsi che ti affidino altri incarichi. Fa’ come ti diranno loro. Non vedi nessuno in questo momento?»

La ragazza di fazione alla finestra rispose: «No, Signore. Vuole che esca in strada a guardare?»

«È inutile. Vediamo un po’. Dove si trova l’ascensore più vicino?»

«A circa un quarto di miglio di qui, a sinistra. Può…»

«Sì, sì. Fammi uscire.»

Una squadra di pattugliatori sbucava nella strada proprio nel momento in cui la porta dell’ascensore si chiudeva alle spalle del Borgomastro. Terens sentì un tuffo al cuore. Probabilmente il rastrellamento sistematico si stava iniziando in quell’istante e quelli gli erano già alle calcagna.

Un minuto più tardi, col cuore più che mai in tumulto, uscì dall’ascensore, nella Città Alta. Qui non vi erano ripari, né pilastri o legacemento che lo nascondessero dall’alto.

Si sentì come un mobile puntino nero tra lo splendore chiassoso degli edifici multicolori. Non si vedevano però pattugliatori all’orizzonte. I Signori che lo incrociarono non lo degnarono di un’occhiata. Se un pattugliatore era oggetto di paura per un floriniano, per un Signore non rappresentava proprio nulla, meno di uno zero.