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«Guardi, questa è la via Recket. Basterà andare giù fino a Triffis e girare a sinistra: troverà subito il porto.» Automaticamente il suo interlocutore gli aveva indicato la direzione.

Terens sorrise. «Ma sì! Ha ragione. Bisognerà che la smetta di sognare e cominci a pensare. Di qui a Sark, Signore.»

Terens si allontanò un po’ troppo in fretta, agitando la mano in segno di saluto. Il Signore gli tenne dietro con lo sguardo, perplesso.

Forse l’indomani, quando i resti del cadavere fossero stati trovati tra le rocce, e la ricerca si fosse iniziata, avrebbe ripensato a quel colloquio e avrebbe detto: «Aveva qualcosa di strano, quell’uomo. Si esprimeva in maniera curiosa e mi ha dato la sensazione di non sapere dove si trovasse. Scommetto che era la prima volta che sentiva nominare il viale Triffis.»

Ma questo sarebbe successo soltanto l’indomani.

Il Porto 9 brulicava di giovani in costume da crocieristi, le cui caratteristiche principali erano rappresentate da berretti a visiera pronunciatissima e brache rigonfie. Terens si sentì terribilmente appariscente, nel contrasto, ma nessuno si curò di lui.

Trovò la Cabina 26 ma attese vari minuti prima di avvicinarsi. Non voleva nessun Signore attorno a sé, nessun Signore che possedesse un panfilo attraccato in una cabina attigua, il quale potesse conoscere di vista il vero Alstare Deamone e chiedersi che cosa stesse a fare intorno alla sua nave uno sconosciuto.

Quando finalmente gli parve di essere al sicuro si avvicinò. Il muso del panfilo affiorava fuor della rimessa, sporgendo entro il campo aperto intorno al quale erano sistemate la cabine. Allungò il collo per meglio osservarlo.

Ebbene?

Aveva ucciso tre uomini, in quelle ultime dodici ore. Da Borgomastro floriniano era salito al rango di pattugliatore, e da pattugliatore a Signore.

Dalla Città Bassa si era spinto nella Città Alta e da questa a un astroporto. Era possessore di un panfilo, cioè di un mezzo spaziale sufficientemente dotato per trasportarlo con le più assolute garanzie di sicurezza su uno qualsiasi dei mondi abitati di quel settore della Galassia.

Purtroppo però c’era un solo piccolo inconveniente.

Egli non sapeva pilotare un panfilo.

Si sentiva stanco morto, e affamato come un cane. Era giunto ormai allo stremo delle proprie forze, e non era più capace di andare oltre. Era arrivato ai limiti dello spazio ma non disponeva dei mezzi per poter varcare quei limiti.

Trentasei ore innanzi aveva avuto tra le mani la più straordinaria occasione che gli fosse mai capitata in vita sua. Ora questa occasione si era dileguata e i suoi minuti erano contati.

11

Per la prima volta il capitano Racety non era riuscito a imporre la propria volontà a un passeggero. Se almeno quel passeggero fosse stato un grande Signore, avrebbe potuto contare sulla sua collaborazione. Un grande Signore era onnipotente nel proprio continente, ma su una nave avrebbe facilmente ammesso che esisteva un solo padrone: il Comandante.

Con una donna invece era un’altra cosa, con qualsiasi donna. Se poi questa donna era la figlia di un grande Signore, la situazione diveniva del tutto insostenibile.

Disse: «Mia Signora, come posso permetterle di parlare con loro in privato?»

Samia di Fife replicò mentre i suoi occhi neri lanciavano fiamme: «E perché no? Sono forse armati, capitano?»

«No, certo. Ma non è questo che conta.»

«Basta vederli per capire che sono due povere creature spaventate; spaventate da morire.»

«Un essere spaventato può rivelarsi assai pericoloso, Mia Signora. Non ci si può fidare che quei due agiscano sensatamente.»

«Ma allora perché permette che seguitino a essere spaventati?»

«Signora, vuole dirmi per cortesia che cosa desidera, esattamente?»

«Ma è molto semplice. L’ho già detto. Voglio parlare con quei due clandestini. Se sono floriniani, come lei sostiene, posso cavarne notizie di estrema importanza per il mio libro. Ma naturalmente ciò diverrà impossibile se la paura li ammutolirà. Se invece potessi restare sola con loro sono convinta che la situazione cambierebbe completamente. Sola, Comandante, ho detto! Riesce a capire una parola, almeno? Sola!»

«E che cosa dirò a suo padre, Mia Signora, se verrà a sapere che le ho permesso di restare senza protezione alla presenza di due criminali capaci di tutto?»

«Due criminali capaci di tutto! Oh, Spazio Incommensurabile! E li chiama cosi, due poveri esseri che hanno tentato di fuggire dal loro pianeta, e sono stati capaci soltanto d’imbarcarsi a bordo di una nave diretta a Sark? Lo esigo, Comandante.»

Il capitano Racety disse: «Ascolti la mia proposta, Signora! Resterò presente soltanto io. Farò allontanare i marinai armati d’inceneratori, e la mia arma la terrò nascosta. In caso contrario…» Fu la sua volta di esprimersi con estrema risolutezza «… sono dolente, ma mi vedrò costretto a rifiutarle quello che mi chiede.»

«E va bene.» Samia era fuori di sé per l’ira: «E va bene. Ma se non riuscirò a indurii a parlare per colpa sua, mi occuperò io personalmente perché le sia tolto il comando di tutte le navi di Sark!»

Non appena vide entrare Samia, Valona si affrettò a coprire con una mano gli occhi di Rik.

«Che cosa fai, ragazza?» domandò Samia.

Valona rispose stentatamente: «È poco intelligente, Signora. Non capirebbe che lei è una Signora e potrebbe guardarla, naturalmente senza intenzione di offenderla, Signora.»

«Oh, Santo Spazio» ribatté Samia, «e lascia pure che guardi.»

Il Comandante aprì la seggiola pieghevole di alluminio leggero, che aveva portato con sé e vi fece sedere Samia che si girò verso i due prigionieri: «Dunque tu sei di Florina, figliola?»

Valona scosse la testa. «Siamo di Wotex.»

«Non avere paura. Non importa che tu sia di Florina. Nessuno ti farà del male.»

«Ma noi siamo di Wotex.»

«Non capisci che hai già praticamente ammesso di essere di Florina, ragazza mia? Perché hai coperto gli occhi del tuo compagno?»

«Perché non gli è permesso di guardare una Dama.»

«Anche se è di Wotex?»

Dopo averla lasciata riflettere su questo punto, Samia cercò di sorridere amichevolmente, e proseguì: «Soltanto i floriniani non hanno il permesso di guardare le Signore. Perciò, come vedi, hai ammesso con quel tuo gesto di essere floriniana.»

Valona proruppe: «Ma lui non lo è.»

«E tu?»

«Sì, io sì. Ma lui no. Non gli fate del male. Lo abbiamo trovato un giorno per caso. Nessuno sa di dove venga, ma non è di Florina.»

Samia la guardò con sorpresa: «Bene, gli parlerò io. Come ti chiami, ragazzo?»

Rik la fissava strabiliato. Così dunque erano le donne dei Signori! Così piccole, e così gentili di aspetto! E così profumate! Era felice che lei gli avesse permesso di guardarla.

Samia ripeté: «Come ti chiami, ragazzo?»

Rik si riscosse, ma durò fatica a spiccicare quanto avrebbe voluto dire. Si limitò a mormorare: «Rik.» Quindi pensò: “Ma questo non è il mio nome” e a voce alta aggiunse: «Credo di chiamarmi Rik.»

«Non ne sei sicuro?»

Valona, che appariva disperata, tentò d’intervenire, ma Samia glielo vietò con un gesto imperioso della mano.

Rik scosse la testa. «Non lo so.»

«Non sei di Florina?»

Su questo punto Rik non nutriva dubbi. «Sono venuto a Florina su una nave, e prima abitavo su un pianeta.»

Parve che lo sforzo per ricordare si facesse strada a fatica in lui attraverso meandri mentali troppo angusti. Poi, improvvisamente, Rik si ricordò il suono stesso prodotto dalla sua voce, un suono da tanto tempo dimenticato, lo entusiasmò.