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Le luci del porto presero a brillare uniformemente a mano a mano che il crepuscolo s’inoltrava.
Markis Genro si fermò appena varcata l’entrata principale e non parve affatto impressionato dal gigantesco ferro di cavallo con le sue trentasei rimesse e le sue cinque fosse di decollo. Tutto ciò faceva parte di lui, come faceva parte del resto di qualsiasi crocierista provetto.
Mormorò: «Tutto normale come al solito!» Un socio del comitato nautico, in costume da crociera, con un unico simbolo discreto sull’unico bottone della tunica a indicare la sua appartenenza al comitato, si era mosso rapidamente innanzi per andare incontro a Genro, evitando studiatamente di apparire frettoloso.
«E perché non dovrebbe essere tutto normale come al solito?»
«Salve, Doty. Temevo soltanto che col chiasso che stanno facendo qualcuno avesse avuto la brillante idea di ordinare la chiusura dei porti. Ma grazie a Sark, fortunatamente, non ci hanno pensato.»
Il socio del comitato si fece improvvisamente serio. «Può darsi che si arrivi anche a questo.»
«Può darsi.» Genro lanciò un’occhiata distratta alle navi nascoste sotto il riparo delle tettoie. «Saranno due mesi che non vengo al 9, credo. Ci sono delle barche nuove, per caso?»
«No. Veramente sì: c’è la “Freccia di Fuoco”, di Hjordesse.»
Genro scosse il capo. «La conosco. Una porcheria tutta cromo e nient’altro. Mi sento venir meno al pensiero che dovrò finire per progettarne una io, se vorrò avere una barca che mi piaccia sul serio.»
«Hai intenzione di vendere il “Cometa V”?»
«Già. Ti spiace se vado a dare un’occhiata in giro?»
«Ma ti pare? Fa’ pure.»
Genro si diede a curiosare lentamente, con la sigaretta semispenta pendente da un angolo della bocca.
Alla rimessa 26 il suo interesse si ravvivò di colpo. Si sporse al di là della bassa barriera e disse: «Signore?»
Il Signore che gli comparve davanti non era gran che di aspetto. Prima di tutto non si trovava in costume da crociera, secondariamente aveva la barba lunga e portava in testa una mozzetta di pessimo gusto e calcata sulla fronte in modo estremamente inelegante.
Genro disse: «Mi chiamo Markis Genro. È sua quella barca, Signore?»
«Sì.» Il monosillabo fu pronunciato con voce bassa, tesa.
Genro disse: «Le dispiace lasciarmi entrare?» L’altro esitò, quindi si trasse in disparte, cedendo il passo a Genro.
Questi chiese. «Che motori ha, Signore?»
«Perché me lo chiede?»
Genro rispose: «Per essere schietto ha l’intenzione di acquistare una nuova nave.»
«E questa le interesserebbe?»
«Non lo so. Certo, se il prezzo non è troppo alto, mi sembra che possa andare. Comunque, le seccherebbe lasciarmi dare un’occhiata ai comandi e ai motori?»
«No, certo. Ecco qui il mio brevetto di pilota.»
Genro vi diede un’occhiata esperta e gli riconsegnò il documento dicendo: «Lei è Deamone?»
Il Signore annuì. «Entri pure, se le fa piacere.»
«Grazie. Vuole farmi strada?»
Il Signore tornò a frugarsi in tasca, e ne trasse un mazzo di chiavi. «Dopo di lei, prego.»
Genro prese il mazzo e fece scorrere le varie chiavi in cerca di quella che recava impresso in codice l’indicazione “stampo nave.” L’altro non fece alcun tentativo per aiutarlo.
Infine disse: «È questa, vero?»
Si diresse lungo la breve rampa che portava al balcone della camera di decompressione e studiò attentamente la nervatura sottile che correva sulla destra della camera. «Non vedo… oh, eccola» e si spostò sull’altro lato.
Lentamente, silenziosamente, la camera si spalancò, e Genro avanzò nelle tenebre. Non appena l’uscio si chiuse alle loro spalle la luce rossa della camera di decompressione si illuminò automaticamente. L’uscio interno si aprì e mentre entravano nella nave propriamente detta una successione di luci bianche si accese lungo lo scafo.
Dopo qualche istante che erano nell’interno della nave Terens disse: «È quasi ora di cena. Non vuole prendere qualcosa?»
L’altro lo degnò appena di un’occhiata: «Forse più tardi. Grazie.»
Terens non insistette”. Lasciò che si aggirasse per la nave, e personalmente si dedicò pieno di riconoscenza alla carne in scatola e alla frutta avvolta in cellite che trovò nella
dispensa.
Quando tornò da Genro, si sentiva assai più padrone di se stesso.
Genro disse: «Le dispiacerebbe se provassi un po’ come funziona questo panfilo?»
«Niente affatto. Lo sa manovrare?» domandò Terens.
«Credo di sì» replicò l’altro con un lieve sorriso. «Credo di saper manovrare qualsiasi modello normale. Comunque, mi sono preso la libertà di chiamare la torre di controllo e mi hanno messo a disposizione una fossa di decollo. Ecco la mia licenza di pilotaggio, nel caso volesse darci un’occhiata prima che si parta.»
Terens scosse appena il documento che Genro gli tendeva, e disse: «I comandi sono suoi.»
La nave rotolò fuori della rimessa come una balena aerotrasportata, con movimenti lenti, maestosi, mentre il suo scafo diamagnetizzato sfiorava da una distanza di 6 centimetri l’argilla liscia e fortemente compressa del campo.
Terens seguiva con grande attenzione le manovre di Genro, che maneggiava i comandi con precisione impeccabile. Sotto il suo tocco la nave stava diventando una cosa viva.
La copertura in duralite della fossa di decollo scivolò entro il proprio loculo, rivelando la rivestitura neutrizzata, profonda cento metri, destinata a ricevere le prime spinte di energia dei motori iperatomici.
Genro scambiò misteriosi segnali con la torre di controllo, infine disse: «Fra dieci secondi si parte.»
Poi Terens si sentì diventare più pesante, come se una forza spaventosa lo premesse contro il sedile. La paura s’impadronì di lui.
Riuscì tuttavia a mormorare: «Come funziona?»
Genro sembrava insensibile all’accelerazione. Rispose con voce quasi normale: «Abbastanza bene.»
Terens si arrovesciò sullo schienale della poltrona; il tessuto di kyrt che lo ricopriva era tutto bagnato di freddo sudore.
«Non c’è male» disse Genro. «La tiene bene questa barchetta, Deamone. È piccola ma ha i suoi pregi.»
Terens rispose cautamente: «Vuole provarne la velocità e la capacità di salto? Io non ho niente in contrario.»
Genro annuì: «Benissimo. Dove andiamo? Se provassimo…» s’interruppe, quindi riprese: «Perché non andiamo a Sark?»
Il respiro di Terens si fece un poco più affannoso. Se lo era quasi aspettato. Cominciava a credere di trovarsi in un mondo fatato. Il destino forzava le sue mosse, anche senza che egli vi ponesse minimamente mano! Su Sark si trovava Rik con i suoi rinascenti ricordi. La partita non era ancora completamente perduta.
Disse, quasi senza riflettere: «Perché no, Genro?»
«Qual è il suo tempo migliore nel tratto Sark-Florina?» domandò Genro.
«Niente di speciale» disse Terens. «La solita media.»
«Più di sei ore, immagino?»
«Normalmente si.»
«Le dispiace se provo a coprirlo in cinque ore?»
«Tutt’altro» disse Terens.
Occorrevano ore per raggiungere un punto sufficientemente lontano dalla distorsione di massa stellare del tessuto spaziale che rendesse possibile il salto attraverso l’iperspazio.
Terens non riusciva a tenere gli occhi aperti. Quella era praticamente la terza notte che passava in bianco e la tensione che aveva subito durante tutte quelle lunghe ore rendeva il suo stato di sonnolenza peggiore di una tortura.
Genro gli lanciò un’occhiata di sfuggita: «Perché non va a riposare un po’?»
Terens costrinse i muscoli facciali a una disperata mimica di attività, e disse: «Oh, non ho sonno.»
Tuttavia sbadigliò, e sorrise per scusarsi. Il crocierista tornò ai propri strumenti, e gli occhi di Terens s’imbambolarono di nuovo.