I sedili di un astropanfilo erano confortevoli per necessità, dovendo difendere il passeggero contro le varie accelerazioni. Anche un uomo non particolarmente stanco finiva con l’addormentarvisi facilmente. Terens, che in quel momento avrebbe dormito anche su un letto di chiodi, non si accorse neppure di aver varcato completamente la linea di confine tra la coscienza e l’oblio.
Dormì per ore intiere, di un sonno profondo e senza sogni, come mai gli era capitato in vita sua.
Non si mosse, non diede alcun segno di vita se non per un respirare leggero e uniforme, anche quando lo zucchetto gli venne tolto dal capo.
Si svegliò lentamente, pesantemente. Per lunghi minuti non si rese neppure conto di dove si trovasse. Gli pareva di essere nella sua casetta di Borgomastro. La realtà che lo circondava tornò entro la sua coscienza solo per stadi successivi. Infine sorrise a Genro, tuttora seduto ai comandi, e mormorò: «Ho l’impressione di aver dormito.»
«Ha dormito e come! Ecco Sark.» Cosi dicendo Genro indicò nel visischermo una grossa fetta bianca.
«Quando atterreremo?»
«Tra un’ora circa.»
Terens frattanto si era sufficientemente ridestato per avvertire un sottile mutamento nell’atteggiamento dell’altro, e fu con un senso di orrore che si accorse che l’oggetto grigio-acciaio che Genro stringeva in una mano era la canna sottile di un fucile atomico.
«Che cosa le viene in mente…» cominciò Terens balzando in piedi.
«Siedi» replicò Genro calmo. Nell’altra mano teneva lo zucchetto. «Tu sei un indigeno.»
Terens tacque, allibito.
L’altro proseguì: «Avevo capito che eri un indigeno ancora prima di salire a bordo della nave del povero Deamone.»
Terens si sentiva la bocca arida e gli occhi brucianti. Fissava inebetito la sottile canna mortale e ne attendeva la vampata improvvisa, silenziosa.
Genro sembrava non aver fretta. Impugnava saldamente il fucile e le sue parole erano lente e precise.
«Il tuo errore principale, Borgomastro, è stato di credere che ti sarebbe riuscito di tenere in scacco indefinitamente una forza di polizia organizzata. Comunque ti sarebbe sempre andata molto meglio se non avessi avuto la malaugurata idea di scegliere come vittima il disgraziato Deamone.»
«Io non l’ho scelto affatto» mormorò Terens.
«E allora chiamala scalogna. Alstare Deamone, circa dodici ore fa, si trovava nel Parco Cittadino in attesa di sua moglie. L’aspettava in quel luogo per una ragione puramente sentimentale. Era lì che si erano incontrati la prima volta, e li tornavano a incontrarsi a ogni anniversario di quel primo incontro. Naturalmente Deamone non si era reso conto che il relativo isolamento del luogo poteva renderlo facile vittima di un eventuale assassino. Ma chi avrebbe mai pensato a una tale possibilità nella Città Alta? Se le cose si fossero svolte normalmente il delitto avrebbe potuto restare celato per molti giorni. Viceversa la moglie di Deamone giunse sul teatro del crimine mezz’ora dopo che questo era stato commesso. Il fatto di non aver trovato ad attenderla il marito la stupì poiché egli non era tipo, spiegò, da andarsene seccato per un suo lieve ritardo. Per questo le venne in mente che potesse essere entrato ad attenderla nella “loro” grotta. Che impressione fa, Borgomastro, uccidere un uomo a sangue freddo, lasciandolo ritrovare dalla propria moglie proprio nel luogo che era stato per entrambi il più ricco di felici memorie?»
Terens si sentiva soffocare. Riuscì a balbettare, dilaniato tra la collera e l’abbattimento: «Voialtri sarkiti avete ammazzato milioni di floriniani. Donne. Bambini. Vi siete impinguati del nostro sangue. Questo panfilo…»
«Deamone non era responsabile dello stato di cose che ha trovato già instaurato al momento della propria nascita» disse Genro. «Se tu fossi nato sarkita che cosa avresti fatto? Avresti rinunciato ai tuoi beni e ti saresti messo a lavorare nei campi di kyrt?»
«Ebbene, spara, dunque» gridò Terens fuori di sé. «Che cosa aspetti?»
«Non c’è fretta. Voglio prima finire il mio racconto. La situazione era alquanto complessa. Eri un uomo disperato, eri armato, e se ti fossi visto in trappola ti saresti indubbiamente ucciso. Ora il suicidio tuo era una cosa che noi non volevamo. Hanno bisogno di te, su Sark, e ti vogliono in perfetta efficienza. Ho dovuto lottare parecchio per convincere il Ministero degli Interni che sarei riuscito a tenerti a bada da solo, trasportandoti su Sark senza chiasso e senza difficoltà. E devi ammettere che è precisamente quanto sto facendo. Per dire il vero mi sono chiesto a tutta prima se eri proprio tu il nostro uomo. Ho esitato e ti ho messo alla prova in vari modi. Ho finto di usare le chiavi della nave nel punto sbagliato. Nessun mezzo spaziale si è mai aperto sul lato destro della camera di decompressione. Si apre sempre invariabilmente sul lato sinistro. Ma tu non ti sei mostrato per nulla sorpreso del mio errore. Poi ti ho chiesto se la tua nave avesse mai compiuto il tragitto Sark-Florina in circa sei ore. Mi hai risposto di sì… che ciò ti era accaduto qualche volta, il che è davvero straordinario, poiché il tempo di primato sinora raggiunto supera le nove ore. Ho deciso allora in cuor mio che dovevi essere l’uomo che cercavamo.»
Terens non aveva mai distolto gli occhi dal fucile.
Genro disse: «Naturalmente io non devo ucciderti, anche se tu cercherai di assalirmi. Non posso ucciderti neppure per legittima difesa. Non credere però che questo ti metta in posizione di vantaggio. Se tenti anche soltanto una mossa ti faccio schizzar via una gamba.» Proseguì con dolcezza: «Lo sai perché ti dico tutto questo?»
Terens non rispose.
«Prima di tutto» disse Genro «mi piace vederti soffrire. Gli assassini mi fanno ribrezzo e detesto soprattutto gli indigeni che ammazzano i sarkiti. Mi è stato dato l’ordine di consegnarti vivo, ma nelle istruzioni che ho ricevuto non è contemplato che io debba renderti la traversata piacevole. Secondariamente è necessario che tu sia pienamente al corrente della situazione perché non appena saremo su Sark le prime mosse spetteranno a te.»
Terens lo guardò stupito. «Come?»
«Il Ministero degli Interni sa che tu sei in viaggio. L’ufficio regionale floriniano lo ha informato non appena questo mezzo si è staccato dall’atmosfera di Florina. Di ciò puoi essere sicuro. Ma ho detto che era per me di somma importanza convincere gli Interni che sarei riuscito a tenerti a bada da solo e il fatto che li abbia convinti cambia tutta quanta la situazione.»
«Non capisco» disse Terens al colmo dell’esaperazione.
Senza scomporsi Genro replicò: «Quando ho detto che ti volevano su Sark in perfetta efficienza non intendevo alludere agli Interni, ma a Trantor!»
14
Selim Junz non era mai stato di temperamento flemmatico e un anno di attesa non era certo servito a migliorare quell’aspetto del suo carattere.
Quando Junz ebbe finito di sbraitare che per nessuna ragione al mondo Sark poteva permettersi la libertà di rapire e imprigionare un membro dell’U.S.I., indipendentemente dalle condizioni della rete spionistica di Trantor, Abel si limitò a dire: «Io penso che le converrebbe trascorrere la notte qui, dottore.»
«Ho di meglio da fare, grazie» disse Junz, gelido.
Abel riprese: «Certo, amico, certo. Con tutto ciò Sark dev’essere diventato molto audace per osare di uccidere i miei uomini, e temo fortemente che prima di domani possa capitare anche a lei qualche disgrazia. Lasci dunque che passi stanotte, e vediamo che cosa ci porta il nuovo giorno.»
Le proteste di Junz contro l’inazione dell’Ambasciatore caddero nel vuoto. Senza perdere il suo tono distratto e indifferente Abel si mostrò all’improvviso duro d’orecchio e Junz venne scortato con cortese fermezza in una camera destinata agli ospiti dell’Ambasciata.