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«Che cosa facevi?»

«Analizzavo il Nulla.»

La donna si voltò bruscamente, fissandolo negli occhi, e per un attimo gli posò sulla fronte il palmo della mano, ma subito lui si scostò, indispettito. Valona domandò: «Non hai mal di testa, per caso, Rik? Sono molte settimane che non ti lamenti più…»

«Sto benissimo. Non mi seccare.»

La donna abbassò gli occhi e Rik si affrettò ad aggiungere: «Intendevo dire soltanto che sto bene e non voglio che ti preoccupi per me.»

Il volto di Valona s’illuminò. «Che cosa significa “analizzavo”?» chiese. Rik sapeva parole che lei ignorava. Si sentiva molto umile, al pensiero di quanto lui doveva essere stato istruito un tempo.

Rik rifletté per un istante: «Significa… significa “separare”. Sai, come quando noi mettiamo da parte un selezionatore per scoprire come mai il cilindro esploratore sia uscito di allineamento.»

«Oh, ma, Rik, che mestiere può essere quello di non analizzare niente? Non è un mestiere.»

«Io non ho detto che non analizzavo niente. Ho detto che analizzavo il Nulla.»

«E non è la stessa cosa?»

«No, non è la stessa cosa.» Respirò profondamente. «Temo di non riuscire a spiegarti la differenza, però. Purtroppo è la sola cosa che ricordo, ma dev’essere stato un lavoro importante; ne ho la netta sensazione. È impossibile che io fossi un criminale.»

Valona ebbe una smorfia di dolore. Questo lei non avrebbe mai dovuto dirglielo. Verso se stessa si era giustificata pensando che lo aveva avvertito unicamente per proteggerlo, ma ora capiva che lo aveva fatto, invece, per tenerlo legato più strettamente a sé.

Era successo quando Rik aveva cominciato a parlare. Era stata colta talmente alla sprovvista da restarne spaventata. Non aveva neppure osato confidarsi col Borgomastro. Il primo giorno di riposo aveva ritirato cinque buoni di credito dal proprio vitalizio — non vi sarebbe mai stato nessun uomo a reclamare in dote quella modesta cifra, perciò la cosa non aveva importanza — e aveva portato Rik da un medico della Città. Si era segnata il nome e l’indirizzo su un pezzetto di carta, ciononostante aveva trascorso due ore spaventose a trovar la direzione giusta tra gli enormi pilastri che tenevano sospesa verso il sole la Città Alta.

Aveva insistito per essere presente: il medico aveva eseguito ogni sorta di paurose esperienze con i suoi strani strumenti. Quando aveva messo la testa di Rik tra due oggetti di metallo e l’aveva fatta luccicare come luccica nella notte una farfalla del kyrt, era balzata in piedi e aveva tentato di frenarlo. Il medico allora aveva chiamato due uomini che l’avevano trascinata fuori, nonostante ella si dibattesse disperatamente.

Mezz’ora più tardi il medico era uscito a sua volta per parlare, alto, severo.

Le aveva chiesto: «Quando hai conosciuto quest’uomo?»

Gli aveva spiegato con cautela le circostanze essenziali, riducendole al minimo necessario e tralasciando ogni accenno al Borgomastro e ai pattugliatori.

«Allora non sai niente di lui?»

Valona aveva scosso la testa.

Il medico le aveva spiegato: «Quest’uomo è stato sottoposto a un sondaggio psichico. Sai che cos’è?»

«È quello che fanno ai matti, Dottore?»

«E ai criminali. Lo si fa per trasformare le loro menti per il loro bene. Le rende sane, o muta quelle parti di esse che li inducono a rubare e uccidere. Capisci?»

Valona aveva capito. Era arrossita e aveva detto: «Rik non ha mai rubato niente né ferito nessuno.»

«Lo chiami Rik?» Il medico pareva divertito. «Ora, ascoltami bene, come puoi sapere quello che ha fatto prima che tu lo conoscessi? È difficile capirlo dalle condizioni attuali della sua mente. Il sondaggio è stato compiuto in modo totale e brutale. Io non posso dire quanta parte della sua mente sia stata permanentemente asportata e quanta parte si sia invece temporaneamente perduta sotto l’effetto del trauma. Ciò che intendo dire è che una parte di essa ritornerà, col passare del tempo, come gli è tornata la favella, ma non in modo completo. Dovrebbe essere tenuto sotto osservazione.»

«No, no. Deve restare con me. Io lo curo bene, sa?»

Il medico aveva corrugato la fronte, ma subito la sua voce si era raddolcita. «Io mi preoccupo per te, figliola. Può darsi che non tutto il male sia uscito dalla sua mente e non vorrei che un giorno ti nuocesse.»

In quel momento un’infermiera aveva condotto Rik. Lo vezzeggiava per calmarlo come si fa coi bambini. Rik si era portato una mano alla testa e guardava fisso nel vuoto finché i suoi occhi avevano riconosciuto Valona; allora le aveva teso le mani chiamando debolmente: «Lona…»

Lei era scattata in piedi e gli aveva stretto la testa contro la propria spalla, accarezzandolo dolcemente, poi si era rivolta al dottore: «Non potrà mai farmi del male, qualunque cosa accada.»

Il medico aveva detto con aria pensosa: «Naturalmente dovrò stendere un rapporto sul suo caso. Non capisco come sia sfuggito sinora alle autorità, date le condizioni nelle quali dev’essere stato trovato.»

«Questo significa che lo porteranno via, Dottore?»

«Ho paura di sì.»

«Oh, la prego, non dica niente.» Si era messa a torcere il fazzoletto in cui luccicavano le cinque monete di lega di credito implorando: «Le prenda tutte, Dottore. Io lo curerò bene. Le assicuro che non farà del male a nessuno.»

Il medico aveva soppesato nella mano le monete: «Lavori all’opificio, vero?»

Valona aveva annuito.

«Quanto ti pagano la settimana?»

«Due ottavi di credito.»

Il medico aveva agitato le monete nel cavo della mano facendole tintinnare, quindi gliele aveva restituite: «Tienle pure, figliola. Questa visita è gratuita.»

Valona le aveva accettate stupita: «Allora non dirà niente a nessuno, Dottore?»

Ma il medico aveva risposto: «Purtroppo non è possibile: è la legge.»

Era tornata al villaggio guidando alla cieca, e stringendo disperatamente a sé Rik.

La settimana successiva il notiziario ipervisivo aveva trasmesso che un medico era morto in uno scontro durante una breve interruzione di corrente lungo il transito locale. Il nome del medico le era parso familiare, e nella sua stanza, quella sera, lo aveva confrontato con quello scritto sul pezzetto di carta. Era lo stesso.

Ne fu rattristata perché, nonostante che fosse un Signore, era stato un brav’uomo. Ma il suo rammarico fu presto sopraffatto da una gioia immensa: il medico non poteva aver avuto il tempo di deferire alle autorità il caso di Rik. Comunque nessuno mai era venuto a fare ricerche.

Più tardi, quando la cerchia delle cognizioni di Rik si era allargata, lei gli aveva spiegato ciò che il medico le aveva detto per indurlo a starsene tranquillo al villaggio.

Rik la scosse, destandola dalle sue fantasticherie.

Le stava dicendo: «Non potevo essere un criminale, dal momento che avevo un lavoro importante.»

«Non può darsi che tu abbia commesso un errore?» disse Valona, esitante.

«Sono certo che è impossibile. Ma non capisci che io debbo saperlo in modo che gli altri possano sentirsi sicuri? Non c’è altro mezzo. Bisogna che lasci l’opificio e il villaggio, e scopra di più sul mio vero essere.»

Valona si sentì invadere dal panico. «Rik! Questo sarebbe pericoloso. E perché vorresti farlo? Anche se tu analizzavi il Nulla, perché è tanto importante che tu ne sappia di più sul tuo conto?»

«Per via dell’altra cosa che ricordo.»

«Quale altra cosa?»

Rik mormorò: «Non te la posso dire.»

«Eppure a qualcuno dovresti dirla. Potresti dimenticartela di nuovo.»

Lui l’afferrò per un braccio. «Hai ragione. Però non ne parlerai con nessuno, vero, Lona?»

«Te lo prometto, Rik.»