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Una volta a letto cominciò a fissare il soffitto affrescato, vagamente luminescente e comprese che non sarebbe riuscito ad addormentarsi. A un tratto però si senti investire da una deboia zaffata di gas somnium e prima che gli giungesse la seconda già era caduto in un sonno di piombo.

Fu risvegliato nella fredda mezza luce dell’alba. Sbatté le palpebre e vide Abel.

«Che ora è?» chiese.

«Le sei.»

«Spazio Onnipotente! Come è mattiniero.»

«Non mi sono neppure coricato.»

«Che cosa?»

«Già. E le assicuro che sono stanco. Non rispondo all’anti-somnium con la stessa prontezza di quando ero giovane.»

«Scusi un momento» disse Junz.

Per una volta la sua toletta mattutina prese effettivamente poco più di un attimo.

«Ebbene?» domandò rientrando nella camera. «Non mi avrà svegliato alle sei del mattino solo per fare quattro chiacchiere, immagino.»

«D’accordo» Abel sedette sul letto e scoppiò in una risata stridula. «Mi scusi» disse poi «non sono completamente me stesso. Questo dover star sveglio per forza mi rende un po’ euforico. Quasi quasi finirò col chiedere a Trantor di sostituirmi con un elemento più giovane.»

Junz disse con una punta di sarcasmo e con un’improvvisa speranza: «Ha forse saputo che non hanno acciuffato lo Spazio-Analista?»

«No. Purtroppo l’hanno preso. Temo che la mia ilarità sia dovuta unicamente alla constatazione che le nostre reti sono intatte. Senza dubbio sapevano che Khorov era uno dei nostri agenti, e può darsi che ne conoscano altri, sparsi su Florina, ma si tratta di agenti secondari. I sarkiti lo sapevano, e si sono sempre limitati a tenerli d’occhio.»

«Però adesso ne hanno ucciso uno» obiettò Junz.

«Niente affatto» ribatté Abel. «È stato un compagno dello Spazio-Analista travestito da pattugliatore, a ucciderlo.»

Tunz lo guardò sbalordito. «Non capisco» dichiarò.

«È una storia alquanto complicata. Vuole seguirmi in sala da pranzo? Ho una fame che non ci vedo.»

Arrivati al caffè, Abel si decise finalmente a raccontare le vicende delle ultime trentasei ore.

Junz lo fissava sbalordito. Posò la tazza, ancora mezzo piena, dimenticandosi di vuotarla. «Anche ammesso che si siano imbarcati clandestinamente, proprio su quel mezzo» disse «rimane pur sempre il fatto che potrebbero non averli scoperti. Se manderà qualcuno a incontrarli nel momento in cui la nave atterrerà…»

«Sa benissimo che a bordo di una nave moderna è impossibile che passi inosservata la presenza di un eccesso di irradiazione emanato da un corpo umano.»

«Può darsi che non l’abbiano notata. Gli strumenti possono essere infallibili, ma gli uomini no.»

«Poco probabile. Comunque, ascolti. Nel momento esatto in cui la nave con lo Spazio-Analista a bordo si starà avvicinando a Sark ci sono ottime probabilità che il Signore di Fife si trovi in conferenza con gli altri Grandi Signori. Queste conferenze intercontinentali sono distanziate l’una dall’altra, quanto le stelle della Galassia. Crede che si tratti di coincidenza?»

«E tengono una conferenza intercontinentale per uno Spazio-Analista?»

«Di per sé si tratta di un argomento senza importanza, infatti. Noi però lo abbiamo reso importante. Da un anno l’U.S.I. sta cercando quell’uomo con notevole tenacia.»

«Non l’U.S.I.» disse Junz. «Io. Io ho sempre lavorato in veste ufficiosa.»

«I Signori però ignorano questo particolare, e anche se glielo dicessimo non ci crederebbero. Del resto, anche Trantor si è interessato alla cosa.»

Junz chiese: «Come fa a sapere tutto questo?»

«Tutto che cosa?»

«Tutto, in nome della Galassia! Come e quando lo Spazio-Analista si è imbarcato clandestinamente, come e in che modo il Borgomastro è riuscito a sfuggire alla cattura. Sta cercando d’ingannarmi?»

«Mio caro dottor Junz!»

«Lei stesso ha ammesso che, indipendentemente da me, i suoi uomini sorvegliavano lo Spazio-Analista, e la notte scorsa ha provveduto a togliermi dalla circolazione.»

«Dottor Junz, ho passato la notte in costante comunicazione con alcuni miei agenti. Bisognava che lei fosse fuori di circolazione, per usare le sue parole, e che al tempo stesso fosse al sicuro. Quanto le ho riferito, l’ho appreso dai miei agenti soltanto stanotte.»

«Per sapere quel che ha saputo bisognerebbe che avesse delle spie nello stesso governo sarkita.»

«Ma si capisce!»

Junz ebbe uno scatto. «Oh, andiamo.»

«Si stupisce? Certo, Sark è proverbiale per la stabilità del suo governo e per la fedeltà del suo popolo. La ragione di ciò è abbastanza semplice, se si pensa che anche il sarkita più povero è un aristocratico in paragone ai floriniani, e può pertanto considerarsi, anche se sbaglia, un membro della classe dirigente. Rifletta, tuttavia, che Sark non è poi quel mondo di miliardari che la maggior parte degli altri abitanti della Galassia ritiene. Esiste dunque sempre un certo numero di sarkiti i quali, nella loro insofferenza, si sentono urtati da quella piccola frazione della popolazione sfacciatamente annegata nel lusso, e pertanto si prestano di buon grado ai miei scopi.»

«Questi sarkiti minori, ammesso che esistano» disse Junz «non possono recarle gran beneficio.»

«Ci sono persino membri della classe dominante vera e propria che hanno imparato a memoria le lezioni di questi ùltimi due secoli e sono convinti che alla fine sarà Trantor a stabilire il proprio potere su tutta la Galassia, e secondo me non hanno torto.»

Junz ebbe una smorfia di disprezzo. «A sentire parlare lei la politica interstellare diventa un gioco molto sudicio.»

«Sì, ma non basta criticare il sudiciume per toglierlo di mezzo. Né d’altronde tutte le sfaccettature di questa politica sono irrimediabilmente sporche. Pensi agli idealisti. Pensi ai pochi funzionari del governo sarkita, i quali servono Trantor non già per denaro o sete di potere ma unicamente perché ritengono che un governo galattico unificato sia per l’umanità la via migliore e sono certi che soltanto Trantor è in grado di costituire un tale governo. Uno di questi uomini, il mio elemento migliore, si trova al Ministero degli Interni di Sark, e in questo momento mi sta portando il Borgomastro.»

«Ma se mi aveva detto adesso che è stato catturato?»

«Dal Ministero degli Interni, sì. Ma l’uomo, oltre che dipendere dal Ministero degli Interni, dipende anche da me. Certo, dopo questo fatto, la sua utilità sarà molto diminuita.»

«E adesso che cosa ha in mente di fare?»

«Ancora non lo so. Prima di tutto dobbiamo impadronirci del Borgomastro. Sono sicuro di lui solo sino al momento in cui giungerà all’astroporto. Quel che accadrà in seguito…» Abel si strinse nelle spalle, quindi aggiunse: «Anche i Signori saranno in attesa del Borgomastro. Hanno l’impressione di averlo già in pugno, e sino a quando non sarà in mano loro, o nostra, nient’altro potrà accadere.»

Ma questa affermazione doveva rivelarsi errata.

Teoricamente parlando, le varie ambasciate estere conservavano in tutta la Galassia diritti extraterritoriali sulle zone immediatamente adiacenti alla loro ubicazione. In pratica, però, Trantor soltanto riusciva a tutelare efficacemente l’indipendenza dei suoi inviati.

L’area dell’Ambasciata trantoriana copriva circa un miglio quadrato e nei suoi limiti montavano costantemente la guardia uomini armati in uniforme trantoriana. Nessun sarkita poteva accedervi se non invitato, e in ogni caso nessun sarkita armato. Certo, l’efficienza degli uomini e delle armi di Trantor non avrebbe potuto resistere all’attacco deciso, sia pure di un semplice reparto corazzato sarkita, per più di due o tre ore, ma dietro a quell’esile nucleo si nascondeva il potere di rappresaglia del complesso organizzato di un milione di mondi.