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Tuttavia la giro-nave apparsa in quel momento sul porticciolo privato non era né attesa né trantoriana. Il piccolo nerbo dell’Ambasciata fu prontamente e bellicosamente raccolto e un cannone atomico puntò nell’aria il suo tozzo muso mentre si alzavano gli schermi di protezione.

Il tenente Camrum distolse lo sguardo dal mirino e disse: «Non capisco. Grida che lo faranno saltare per aria tra due minuti se non lo facciamo scendere, e reclama diritto di asilo.»

In quel momento entrò il capitano Elyut, il quale gli rispose: «Figurati! Se gli diamo retta, Sark protesterà dicendo che c’intromettiamo nella sua politica, e se Trantor decide di dargli ragione, tu e io saremo spazzati via come due ramazze. Chi è?»

«Non vuol dirlo» rispose il tenente. «Sostiene che deve parlare con l’Ambasciatore personalmente. Dimmi un po’ tu quel che devo fare.»

L’apparecchio ricevente a onde corte si mise a sputacchiare, e una voce incollerita urlò: «Ma non c’è nessuno, laggiù? Badate che scendo e basta. Vi giuro che non posso aspettare neppure un secondo di più.»

Il capitano disse: «Spazio Onnipotente, conosco quella voce. Fallo scendere! Sulla mia responsabilità!»

Gli ordini scattarono. La giro-nave si abbassò verticalmente, un po’ più in fretta del necessario, segno evidente che la mano che ne regolava i comandi era quella di un pilota inesperto e spaventato. Il cannone atomico mantenne la mira.

Il capitano stabilì una linea diretta con Abel e tutta l’Ambasciata piombò nel più indescrivibile trambusto. La formazione di navi sarkite, apparsa sulla zona meno di dieci minuti dopo che il primo vascello era atterrato, restò librata per due ore in minacciosa attesa, quindi si allontanò.

Sedettero a pranzo, Abel, Junz, e il nuovo venuto. Con straordinario sangue freddo, soprattutto considerate le circostanze, Abel si era comportato sino a quel momento come il più perfetto degli anfitrioni, astenendosi per ore intiere dal chiedere al Grande Signore come mai avesse invocato diritto di asilo.

Junz era assai meno paziente. Di tanto in tanto sibilava ad Abel in un orecchio: «Santo Spazio! Che cosa ne farete di quello lì?»

Per tutta risposta Abel si limitava a sorridere: «Niente. Almeno sino a quando non saprò se il Borgomastro è in mano mia o no. Voglio conoscere con esattezza quali sono le mie carte, prima di gettarle in tavola; e dal momento che è stato lui a venire da me, l’attesa roderà più i suoi nervi che i nostri.»

E non s’ingannava. Per ben due volte il Signore si lanciò in un rapido monologo, e per due volte Abel disse: «Mio caro amico! Io ritengo che le conversazioni serie siano sempre sgradevoli a stomaco vuoto.»

Poco dopo sedevano a tavola.

Non appena servito il vino, il Signore riattaccò dicendo: «Vorrete certamente sapere per quale motivo io abbia lasciato il Continente di Steen.»

«Francamente non riesco a concepire quale possa essere la ragione che ha indotto il Signore di Steen a sottrarsi ai vascelli sarkiti» ammise Abel.

Steen lo squadrò sospettosamente. La sua faccia pallida, magra, era tesa, contratta.

Disse: «C’è stata una conferenza intercontinentale, oggi.»

«Davvero?» disse Abel.

Ascoltò quindi il resoconto della conferenza senza batter ciglio.

«E noi non abbiamo che ventiquattr’ore» scoppiò Steen con indignazione.

«E lei è X» gridò Junz, che durante il racconto dell’altro era divenuto sempre più inquieto. «È X. È venuto qui perché l’hanno scoperto. Bene, questa è una gran bella cosa. Abel, abbiamo finalmente la prova che cercavamo per stabilire l’identità dello Spazio-Analista. Ci potrà servire per costringerli a consegnarci il nostro uomo.»

La voce esile di Steen durava fatica a farsi udire sopra il forte timbro baritonale di Junz.

«Ma insomma… la smetta! Mi lasci parlare, le dico… Eccellenza, non riesco a ricordare il nome di quest’uomo.»

«Il dottor Selim Junz, Signore.»

«Ebbene, dottor Selim Junz, io le assicuro che in vita mia non ho mai veduto questo idiota, o Spazio-Analista, o quel diavolo insomma che lei dice. Francamente! E la prego di credere che non sono X. Ma come si può credere alla ridicola pantomima impiantata da Fife? Francamente!»

Ma Junz si era attaccato a quell’idea come un cane all’osso. «Perché è scappato, allora?»

«Santo Sark, ma non lo capisce? Oh, mi sento soffocare! Ma andiamo, non capisce quello che sta facendo Fife?»

Abel intervenne con la sua voce calma. «Se vorrà avere la compiacenza di spiegarsi, Signore, non ci saranno interruzioni, lo garantisco.»

«Bene, meno male che lei almeno mi capisce» disse Steen, in tono di dignità offesa. «Gli altri non mi giudicano un gran che perché io non capisco per quale motivo ci si debba annoiare a leggere documenti e dati statistici e altre seccature del genere. A che serve allora l’Amministrazione Civile, io vorrei sapere, se un Grande Signore non può essere un Grande Signore? Questo però non significa che io sia uno scemo, sa, solo perché mi piacciono i miei comodi. Può darsi che gli altri siano ciechi, ma io ho perfettamente capito che a Fife non importa niente dello Spazio-Analista. Non credo neppure che esista. Fife ha inventato questa storia un anno fa, e da allora è andato manipolandola. È stato lui ad architettare questa inverosimile frottola di deficienti e di Spazio-Analisti. Non mi stupirebbe se l’indigeno che va in giro ad ammazzare pattugliatori a dozzine fosse una spia di Fife. O se effettivamente è un indigeno, scommetto che Fife lo ha assoldato per suo uso e consumo. Comunque, è evidente che lui approfitta della situazione confusa per proclamarsi dittatore di Sark. Non sembra evidente anche a lei? Questo X non esiste, ma domani, se nessuno lo fermerà, Fife farà diffondere per sub-etere messaggi su messaggi in cui si seguiterà a parlare di congiure, e si leggeranno dichiarazioni di emergenza che gli permetteranno di autoproclamarsi Capo. Che gliene importa a lui della costituzione? Solo che io intendo fermarlo, invece. Per questo ho dovuto andarmene. Se fossi rimasto a Steen, a quest’ora sarei già in stato di arresto. Non appena la conferenza ebbe termine feci chiamare il mio porto personale e seppi che i suoi uomini l’avevano già occupato. Ha agito in completo disprezzo dell’autonomia continentale. È stato un gesto da farabutto. Francamente! Ma non è poi così furbo come crede. Ritenendo che qualcuno di noi volesse tentare di abbandonare il pianeta, ha fatto sorvegliare gli astroporti ma… non ha pensato ai giroporti. Credeva forse che non ci sarebbe stato sul pianeta un solo posto sicuro per noi. Ma si è evidentemente dimenticato dell’Ambasciata trantoriana.»

Abel disse: «Lei ha lasciato una famiglia dietro di sé. Non ha pensato che così facendo consegnava nelle mani di Fife un’arma pericolosa?»

«Non potevo certo ammucchiare nel mio piccolo giroplano tutte le mie graziose donnine.» Arrossì. «Ma Fife non oserà toccarle! Del resto domani sarò di ritorno a Steen.»

«In che modo?» domandò Abel.

Steen lo guardò stupito, le labbra sottili socchiuse. «Io sono venuto a offrirle un’alleanza, Eccellenza. Non vorrà farmi credere che Trantor non s’interessi a Sark. Dirà a Fife che quasiasi suo tentativo di abrogare la costituzione provocherebbe un immediato intervento trantoriano.»

«E come potremmo impedire che un nostro intervento non si sviluppi in un conflitto galattico?»

«Oh, ma francamente, non capisco come non si renda conto che la cosa è chiara quanto la luce del sole. Voi non sareste degli aggressori. Vi limitereste a impedire una guerra civile e a mantenere fermo il traffico del kyrt. Io annuncerei a tutti che ho dovuto rivolgermi a voi per aiuto. Chi mai penserebbe a una aggressione? Tutta la Galassia si schiererebbe al vostro fianco. Naturalmente, se poi Trantor ne traesse qualche beneficio in seguito, questo è un affare che non riguarda nessuno.»

Abel disse: «Non posso credere che abbia sinceramente l’intenzione di unirsi a Trantor.»