Un’espressione di odio passò per un attimo sulla faccia di Steen, quindi il Signore mormorò: «Meglio Trantor che Fife.»
«A me non piace la minaccia della forza. Non possiamo aspettare e vedere lo sviluppo degli avvenimenti…»
«No, no» interruppe Steen. «Non possiamo aspettare neppure un giorno. Francamente! Se non ci mostriamo decisi ora, subito, sarà troppo tardi. Se lei mi aiuterà adesso, il popolo di Steen mi appoggerà e gli altri Grandi Signori si uniranno a me. Ma se rimandiamo anche di un giorno solo, la propaganda di Fife comincerà a macinare menzogne su menzogne, e io sarò tacciato di tradimento, sarò segnato a dito come un rinnegato. Francamente! Un rinnegato io! Io!»
«Se provassimo a chiedergli di concederci un colloquio con lo Spazio-Analista?»
«A che servirebbe? Semplicemente a favorire il suo doppio gioco. A noi dirà che l’idiota floriniano è uno Spazio-Analista, ma a voi dirà che lo Spazio-Analista è un idiota floriniano. Non conosce quell’uomo. È semplicemente spaventoso!»
Abel non rispose subito. Si mise a canticchiare a voce bassa, battendo dolcemente il tempo con l’indice. Infine disse: «Abbiamo acciuffato il Borgomastro, sa?»
«Quale Borgomastro?»
«Quello che ha ucciso i pattugliatori e il sarkita.»
«Oh! Be’, francamente! E lei crede che Fife si curi di una simile piccolezza, se ha deciso di papparsi tutto Sark?»
«Credo di sì. Vede, non è soltanto per il fatto che abbiamo acciuffato il Borgomastro quanto per le circostanze della sua cattura. Io ritengo, Signore, che Fife mi ascolterà, e con molta attenzione, per giunta.»
15
Non capitava spesso alla Dama Samia di Fife di sentirsi umiliata, ed era senza precedenti, e addirittura inconcepibile, che lei si sentisse umiliata da molte ore, ormai.
Il Comandante dell’astroporto si stava comportando tale e quale come il capitano Racety. Alla fine lei si vide costretta più che a impartire degli ordini a reclamare dei diritti come una sarkita qualsiasi. Disse: «Immagino che come cittadina avrò il diritto di attendere una qualsiasi nave in arrivo se questo mi va.»
Il Comandante si schiarì la voce, e l’espressione di rincrescimento che gli alterava la faccia rugosa divenne ancora più intensa. Infine disse: «Per essere esatti, Signora, non abbiamo alcun desiderio di tenerla lontana. Solo che abbiamo ricevuto ordini specifici dal Signore suo padre d’impedirle di accostarsi alla nave.»
Samia chiese con voce gelida: «In poche parole mi sta ordinando di lasciare il porto?»
«No, Signora.» Il Comandante era felice di poter giungere a un compromesso. «Non abbiamo ricevuto l’ordine di allontanarla dal porto. Se desidera rimanere può farlo. Ma, con tutto il dovuto rispetto, dovremo impedirle di avvicinarsi alle rampe.»
Dopodiché scomparve, e Samia restò chiusa nel futile lusso della sua vettura aeroterrestre privata, a trenta metri dall’ingresso più periferico del porto. L’avevano aspettata e ora la stavano sorvegliando, e probabilmente avrebbero continuato a sorvegliarla. Se avesse fatto tanto da mandare avanti una sola ruota, pensò con sdegno, quasi certamente le avrebbero bloccato la macchina.
Strinse i denti. Non era giusto che suo padre la trattasse a quel modo. Era sempre la stessa storia. Tutti la trattavano come se lei non capisse nulla. Eppure aveva avuto l’impressione che suo padre almeno l’avesse compresa.
Si era alzato dal suo scanno per venirle incontro. L’aveva baciata e abbracciata, aveva per lei interrotto il suo lavoro.
Le aveva detto: «Mia piccola, ho contato le ore. Non avrei mai immaginato che il viaggio da Florina a qui fosse così lungo. Quando ho saputo che quegli indigeni si erano nascosti sulla tua nave non so come non sono impazzito per l’angoscia.»
«Ma papà! Non era il caso che tu ti preoccupassi.» Aveva chiesto poi con tono di finta indifferenza: «Che cosa farai di quei due clandestini, papà?»
«Perché vuoi saperlo, Mia?»
«Non credi che abbiano in mente di assassinarti, vero?»
Fife sorrise: «Ma certamente no.»
«Bene! Perché io ho parlato con loro, papà, e non credo nel modo più assoluto che possano essere delle creature pericolose come vorrebbe far credere il capitano Racety.»
«E come vorresti che li trattassi?»
«Prima di tutto, l’uomo non è un indigeno; proviene da un pianeta che si chiama Terra, è stato sottoposto a sondaggio psichico e non è responsabile.»
«Be’, di questo si occuperà il Ministero degli Interni. Lascia fare a loro.»
«No, è cosa troppo importante perché altri se ne occupino. Non capirebbero. Nessuno ne capisce niente, tranne me!»
«Davvero, Mia?» aveva domandato Fife in tono indulgente.
Samia aveva ripetuto con energia: «Sì, sì, è così! Chiunque altro crederà che quell’uomo è pazzo, ma io sono sicura che non lo è. Lui sostiene che un pericolo gravissimo incombe su Florina e su tutta la Galassia. È uno Spazio Analista, e tu sai che quella gente è specializzata in cosmogonia. Perciò non può sbagliarsi.»
«Come sai che è uno Spazio-Analista, Mia?»
«Lo dice lui.»
«E in che cosa consisterebbe, esattamente, questo pericolo?»
«Non lo sa. È stato sondato psichicamente. Non capisci che questa è la prova più evidente? Sapeva troppe cose. Qualcuno aveva interesse a impedirgli di parlare. Non capisci che se le sue teorie fossero state false non vi sarebbe stato alcun bisogno di psicosondarlo?»
«Perché non l’hanno ammazzato, allora?»
Samia aveva pensato per un attimo, senza esito, quindi aveva risposto: «Se tu darai ordine al Ministero degli Interni di lasciare che gli parli, riuscirò a saperlo. Quell’uomo ha fiducia in me. Ne sono sicura. Riuscirò certamente a ottenere più io da lui che non tutti gli Interni riuniti. Ti prego, papà, di’ agli Interni che me lo lascino vedere. È molto importante.»
Fife aveva sorriso. «Abbi pazienza, Mia. Non è ancora venuto il momento. Tra poche ore avremo in mano nostra anche il terzo personaggio. Dopo, forse.»
«Il terzo personaggio? Sarebbe per caso l’indigeno che ha ammazzato tutta quella gente?»
«Appunto. La nave che lo trasporta atterrerà tra un’ora circa.»
«E mi prometti che sino a quel momento non prenderai nessuna misura contro la ragazza indigena e lo Spazio-Analista?»
«Te lo prometto.»
«Molto bene! Vado subito incontro alla nave.» Così dicendo si era alzata.
«Dove vai, Mia?»
«Al porto, papà. Ho molte cose da chiedere a quell’indigeno.»
Ma Fife aveva detto con voce grave: «Preferirei che tu non ci andassi.»
«E perché no?»
«È importantissimo che l’arrivo di quest’uomo si svolga nel modo più discreto, mentre la tua presenza al porto farebbe troppo spicco.»
«Ma perché?»
«Non posso spiegare a te la ragion di Stato, Mia.»
«Quante storie!» Si piegò verso di lui, gli diede un rapido bacio in mezzo alla fronte e scomparve.
Ed ecco che adesso era costretta a sedere quasi prigioniera nella propria macchina, in prossimità del porto, mentre in lontananza un puntolino nel cielo, scuro contro la luminosità del pomeriggio inoltrato, si andava rapidamente ingrossando.
Premette il pulsante che apriva lo scomparto-armadio e ne tolse un paio di lenti polarizzate.
Perlomeno ne avrebbe veduti i passeggeri quando fossero sbarcati, li avrebbe studiati in lontananza, avrebbe fatto in modo di fissare un colloquio con loro in seguito.
Sark riempiva il visischermo. Un continente e un mezzo oceano, parzialmente oscurati da una fitta coltre di nubi, si stendevano in basso.
Genro disse: «L’astroporto non sarà molto sorvegliato. Sono stato io stesso a chiederlo. Ho suggerito che un insolito spiegamento di forze all’arrivo della nave avrebbe potuto mettere Trantor sul chi va là. Mi servirò della fossa di atterraggio che si trova in prossimità della Porta Orientale. Tu uscirai dall’uscita di sicurezza di poppa non appena io atterrerò. Dirigiti in fretta, ma senza correre, verso quella porta. Ho dei documenti che possono permetterti di passare senza noie, ma lascio a te di agire se incontrassi degli ostacoli. Appena fuori del cancello troverai una macchina pronta che ti starà aspettando per portarti all’Ambasciata. Questo è tutto.»