Tanta ingenuità non poteva essere finta, rifletté Terens. La ragazza doveva effettivamente ignorare la sua identità. Rispose cautamente: «Sì.»
«Lei è stato presente all’interrogatorio?»
«Sì.»
«Bene. Me l’ero immaginato. Perché ha lasciato la nave, a proposito?»
Disse: «Dovevo portare un messaggio speciale a…» esitò.
La ragazza fu pronta a colmare quella sua esitazione: «A mio padre, vero? Non si preoccupi. Penserò io a proteggerla nel modo più completo. Dirò che è venuto con me per mio ordine.»
Terens mormorò: «Come crede, Signora.»
La parola «Signora», affondò profondamente nella sua coscienza. Era una Dama, la prima Signora del pianeta, mentre lui non era che un floriniano. Un uomo capace di uccidere dei pattugliatori imparava facilmente a uccidere dei Signori, e per la stessa ragione un uccisore di Signori poteva benissimo guardare una Dama in faccia.
E poiché era la prima Signora del Pianeta, lei non avvertì neppure il suo sguardo. Disse: «Voglio che mi riferisca tutto quello che ha sentito durante l’interrogatorio.»
«Posso chiederle perché quell’uomo le interessa tanto, Signora?»
«No» rispose Samia seccamente.
«Come vuole, Signora.»
Terens non sapeva che cosa dire. Metà della sua coscienza aspettava che la macchina inseguitrice li raggiungesse; l’altra metà era sempre più consapevole del volto e del corpo della bellissima donna che gli sedeva accanto.
I floriniani dell’Amministrazione Civile e i Borgomastri erano teoricamente costretti al celibato. In pratica però la maggior parte di costoro si sottraeva, ogni qualvolta lo poteva, a tale restrizione. Anche Terens aveva fatto del suo meglio in questo senso, ma le sue esperienze non lo avevano mai soddisfatto.
Lei attendeva la sua risposta: i nerissimi occhi luminosi, fiammeggianti di curiosità, le rosse labbra semiaperte, la splendida figura ammantata di kyrt, e soprattutto era assolutamente ignara che un uomo, qualsiasi uomo, potesse osare d’innalzare pensieri poco riguardosi nei confronti della signora di Fife.
Quella metà della coscienza di Terens che attendeva gli inseguitori si assopì.
A un tratto lui comprese che neppure l’uccisione di un Signore rappresentava il delitto supremo, in definitiva.
Non avrebbe mai saputo dire lui stesso come avesse osato. Si accorse soltanto che il piccolo corpo di lei era tra le sue braccia, rigido, contratto, che per un attimo lei gridò, e che quel grido fu soffocato dalle sue labbra…
Si sentì afferrare per le spalle mentre una corrente di aria fredda lo investiva di schiena attraverso lo sportello aperto della vettura. Tentò d’impugnare la propria arma ma troppo tardi; già gli era stata strappata di mano.
Il sarkita mormorò con orrore: «Hai visto che cosa ha fatto?»
L’arturiano rispose: «Non sono affari nostri!» Si cacciò in tasca un piccolo oggetto nero e disse: «Portalo via.»
Il sarkita trascinò Terens fuori della macchina con l’energia che può dare solo la furia, mentre borbottava: «E Lei glielo ha permesso!»
«Ma chi siete, voi due?» gridò Samia, la quale si era ripresa.
L’arturiano disse: «Niente domande, per favore.»
«Lei è forestiero» ribatté Samia irata.
Il sarkita disse: «Per Sark, dovrei schiacciargli la testa.» E fece l’atto di mollare un pugno al prigioniero.
«Fermo» urlò l’arturiano, afferrando il polso del sarkita.
Il sarkita borbottò furibondo: «C’è un limite a tutto. Posso capire che si ammazzi un Signore. Ne ammazzerei anch’io volentieri qualcuno, ma dover assistere da lontano allo spettacolo di un indigeno che fa quel che ha fatto questo disgraziato proprio adesso, è un po’ troppo persino per me.»
Samia ripeté con voce innaturale, stridula: «Un indigeno?»
Il sarkita, con gesto maligno, strappò il berretto dalla testa di Terens. Il Borgomastro impallidì ma non si mosse. Tenne lo sguardo orgogliosamente fisso sulla ragazza.
Samia si ritrasse nel fondo della vettura, poi con un rapido movimento delle mani si coprì la faccia.
Il sarkita disse: «Che cosa facciamo della ragazza?»
«Niente.»
«Ma ci ha visti! Ci scatenerà addosso tutto il pianeta prima ancora che noi si sia a un miglio da qui.»
«Hai intenzione di far fuori la Signora di Fife?» domandò l’arturiano in tono sarcastico.
«No, certo. Però possiamo sfasciarle la macchina, e quando riuscirà a trovare un radiotelefono noi saremo al sicuro.»
«Non sarà necessario.» L’arturiano si affacciò all’interno della vettura. «Mia Signora, voglia scusare solo un attimo. Mi ascolta?»
Samia non si mosse.
L’arturiano proseguì: «Le consiglio di starmi a sentire. Mi rincresce di averla interrotta in un momento romantico, ma per buona sorte sono riuscito a sfruttare questo momento a mio uso e consumo. Ho potuto agire con prontezza registrando la scena in trifotografia. Trasmetterò la negativa in luogo sicuro appena via di qui, dopodiché ogni interferenza da parte sua mi costringerà a comportarmi in modo poco simpatico. Sono sicuro che mi capisce.»
Così detto, si allontanò. «E adesso stai certo che non parlerà. E tu vieni con me, Borgomastro.»
Terens lo seguì passivamente, senza più osar di guardare la faccia pallida e tesa della donna rimasta nella vettura.
Qualunque cosa fosse accaduta da quel momento in poi, lui aveva compiuto un miracolo. Per un breve attimo aveva baciato la più orgogliosa Dama di Sark, aveva sentito sulla sua bocca il contatto fuggevole delle sue dolci labbra fragranti.
16
Chi avesse sentito parlare Abel sul raggio personale diretto che lo collegava con Fife avrebbe creduto di ascoltare gli ameni discorsi di un uomo anziano intento a sorseggiare pacificamente un buon bicchiere di vino.
Disse: «Non è stato facile trovarla, Fife.»
Fife rise. Sembrava calmissimo, imperturbato. «Ho avuto molto da fare oggi, Abel.»
«Già, me l’hanno detto.»
«Chi? Steen?» domandò Fife con aria indifferente.
«In parte. Steen è con noi da circa sette ore.»
«Ha intenzione di riconsegnarcelo?»
«Temo di no.»
«Ma è un criminale.»
Abel rise e rigirò il calice che aveva tra le mani, osservando le pigre bollicine che ne uscivano. «Credo che dovremo riconoscerlo come rifugiato politico, e la legge interstellare lo proteggerà finché sarà in territorio trantoriano.»
«Crede che il suo governo la appoggerà?»
«Credo di sì, Fife. Non sarei in diplomazia da trentasette anni se non sapessi quello che Trantor farà e quello che non farà.»
«Potrei disporre le cose in modo che Sark esiga il vostro richiamo.»
«A che servirebbe? Io sono un uomo pacifico che lei conosce da un pezzo. Il mio successore invece potrebbe essere un uomo qualsiasi, magari antipaticissimo.»
Segui una pausa. Fife contrasse la faccia leonina. «Penso che abbia una proposta da farmi.»
«È esatto. Lei ha un nostro uomo.»
«Quale uomo?»
«Uno Spazio-Analista, un oriundo del pianeta Terra che, sia detto tra parentesi, fa parte dei possedimenti trantoriani.»
«È stato Steen a dirglielo?»
«Insieme ad altre cose.»
«Steen ha veduto questo Terrestre?»
«Non mi ha detto di averlo visto.»
«Era precisamente quanto desideravo sapere e, date le circostanze, non credo che lei possa prestare fede alle sue parole.»
Abel posò il bicchiere, incrociò le mani sulle ginocchia e disse: «Ciononostante, sono sicuro che questo Terrestre esiste. Io le ripeto, Fife, che noi ci dovremmo mettere d’accordo proprio su questo punto. Io ho Steen, e lei ha il Terrestre. In un certo senso siamo pari. Prima di dare il via ai suoi piani, prima di inviare l’ultimatum e di mettere in atto il colpo di Stato, perché non teniamo una conferenza sulla situazione del kyrt in genere?»