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«Non ne vedo la necessità. Quanto sta accadendo attualmente su Sark è una semplice questione interna. Io sono disposto a garantire personalmente che non ci saranno interferenze nel commercio del kyrt, comunque si svolgano gli avvenimenti politici sarkiti. Ritengo che ciò dovrebbe porre termine alle pretese di Trantor nei confronti dell’individuo in questione.»

Abel riprese a sorseggiare il suo vino, e parve riflettere a lungo; infine disse: «Mi risulta che abbiamo un secondo rifugiato politico. Un caso curioso. È uno dei suoi sudditi floriniani, a proposito. Un Borgomastro che dice di chiamarsi Myrlyn Terens.»

Gli occhi di Fife si accesero di una fiamma improvvisa. «Ce l’eravamo più o meno aspettato. L’uomo che ha prelevato è un assassino. Non si può farne un rifugiato politico.»

«Bene. Vuole che glielo ceda?»

«Ha intenzione di contrattare, vero? Di che si tratta?» «Della conferenza di cui le ho parlato.» «Per un omicida floriniano? Neanche da pensarci.» «Eppure il modo col quale questo Borgomastro per poco non è riuscito a sfuggirci, è alquanto curioso. Le interesserà forse di sapere…»

Junz passeggiava per la stanza scuotendo la testa. Era già notte inoltrata. Avrebbe tanto voluto dormire, ma sapeva che avrebbe dovuto ricorrere un’altra volta al somnium, per riuscirci.

Abel disse: «Avrei potuto minacciare un intervento di forza, come suggeriva Steen, ma sarebbe stato pericoloso. Avrebbe comportato rischi enormi, per risultati incerti. Tuttavia sino a quando non abbiamo avuto in mano il Borgomastro non vedevo altra alternativa, fuorché, naturalmente, una politica assenteista.»

Junz scosse energicamente la testa. «No. Bisognava pure tentare qualcosa, anche se si tratta di un ricatto.»

«Tecnicamente parlando, penso che lo sia. Ma che cos’altro avrei potuto fare?»

«Esattamente quello che ha fatto. Non sono un ipocrita, Abel. O perlomeno cerco di non esserlo. Non sarò io a condannare i suoi metodi dal momento che intendo servirmi appieno dei loro risultati. Tuttavia, che cosa si fa della ragazza?»

«Nessuno le darà fastidio sino a quando Fife si atterrà ai patti.»

«Mi dispiace per lei. Ho imparato a concepire una profonda antipatia verso gli aristocratici sarkiti per il male che hanno fatto a Florina, ma non posso non provare pena per quella povera ragazza.»

«Da un punto di vista personale la capisco, ma la responsabilità vera della cosa ricade unicamente su Sark. Stia un po’ a sentire, amico mio, ha mai baciato una ragazza in una vettura aeroterrestre?»

Un breve sorriso passò sulle labbra di Junz. «Sì.»

«E anch’io ho fatto la stessa esperienza, anche se il ricordo risale a molti anni fa. Che cos’è un bacio rubato in una vettura aeroterrestre, se non l’espressione della più naturale emozione della Galassia? La prego di seguire il mio ragionamento. Ci troviamo di fronte a una ragazza di alto rango sociale la quale, per un errore, si trova nella stessa vettura assieme a… diciamo pure un criminale. Costui coglie l’occasione, e la bacia. Agisce d’impulso e senza il suo consenso. Quale dovrebbe essere la reazione della ragazza? Quale quella di suo padre? Di dolore? Forse. Di dispetto? Certamente. Ammetto anche che si possano sentire irritati, offesi, insultati. Ma disonorati? Disonorati al punto da essere disposti a mettere in pericolo gravi affari di Stato pur di evitare lo scandalo? Quale esagerazione! Eppure questa è esattamente la situazione e potrebbe verificarsi solo su Sark. La Dama Samia è colpevole unicamente di impetuosità, e di una certa dose di ingenuità. Non ha importanza che lei ignorasse che l’altro fosse floriniano. Non ha importanza che l’uomo l’abbia baciata di prepotenza. Se rendessimo di pubblico dominio la fotografia della Dama Samia tra le braccia di un floriniano, renderemmo la vita intollerabile a suo padre e a lei. Fife sa che la voce sarebbe volentieri accolta da molti ai quali uno scandalo sensazionale interessa sempre, e sa che la fotografia in questione verrebbe considerata una prova incontrovertibile. Sa inoltre che i suoi nemici politici ne trarrebbero il maggior vantaggio possibile. Chiamatelo pure un ricatto, Junz, probabilmente lo è, ma si tratta di un ricatto che su qualsiasi altro pianeta della Galassia non avrebbe alcun effetto. È stato il loro stesso sistema sociale, marcio sino al midollo, a darci in mano quest’arma, e io non ho rimorsi a usarla.»

Junz sospirò. «Qual è la decisione finale?»

«C’incontreremo domani a mezzogiorno.»

«Potrò esserci anch’io?» domandò Junz ansiosamente.

«Certo. E ci sarà anche il Borgomastro. Avremo bisogno di lui per identificare lo Spazio-Analista. Ci sarà anche Steen, naturalmente. Sarete tutti presenti in personificazione trimensica.»

«Grazie.»

«E adesso, se non le dispiace, sono due giorni e una notte che non dormo, e temo di essere ormai troppo vecchio per ingerire una dose ulteriore di somnium. Ho bisogno di riposo.»

Ora che la personificazione trimensica era giunta a uno stadio perfetto, accadeva di rado che le conferenze importanti venissero tenute a faccia a faccia. Fife era fortemente risentito della presenza materiale del vecchio Ambasciatore. Ma doveva tacere. Non poteva dire niente. Non poteva che fissare imbronciato gli uomini che gli stavano di fronte.

Abeclass="underline" un vecchio rimbambito, dagli abiti trasandati, che però aveva dietro di sé un milione di mondi. Junz: un ficcanaso crespo e nero come uno scarafaggio la cui ostinazione aveva precipitato la crisi. Steen: un traditore! Il Borgomastro… Guardare quell’uomo era per lui la cosa più difficile di tutte. Era l’indigeno che col proprio contatto immondo aveva disonorato sua figlia, e che tuttavia poteva starsene al sicuro, irraggiungibile, dietro le mura dell’Ambasciata trantoriana.

Se Samia non avesse… Si costrinse a non pensarci. Era stato sempre troppo debole con lei, favorendone ogni capriccio, e non poteva biasimarla adesso.

Il Signore di Fife disse: «Questa conferenza mi è stata imposta. Non ho quindi niente da dire. Sono qui unicamente per ascoltare.»

Abel disse: «Ritengo che il primo a voler parlare sia Steen.»

Gli occhi di Fife si empirono di disprezzo infinito, che punse sul vivo Steen il quale si mise a urlare, in preda a collera violenta.

«Tu mi hai costretto a rivolgermi a Trantor, Fife. Sei stato tu a violare il principio di autonomia! Non potevi pretendere che io mi sottomettessi alla tua prepotenza.»

Fife non parlò e Abel disse, non senza una punta di disprezzo a sua volta: «Venga al dunque, Steen. Ha affermato di avere qualcosa da dire: la dica.»

«È quello che farò, e subito. Certo non pretendo di essere il poliziotto che il Signore di Fife si autoproclama di essere, però posso pensare. Francamente! E ho pensato. Fife ha raccontato ieri di un misterioso traditore che lui chiama X. Io ho capito che si trattava di un mucchio di chiacchiere dietro le quali si nascondeva per dichiarare lo stato di emergenza. Ma io non mi sono lasciato mettere nel sacco neppure per un minuto.»

«Dunque, X non esiste?» domandò Fife, calmo. «Allora perché sei scappato? Un uomo che scappa ha sempre torto.»

«Ah, davvero?» gridò Steen. «Perciò, secondo te, non si dovrebbe scappare da un edificio in fiamme anche se non siamo stati noi ad appiccare il fuoco?»

«Prosegua, Steen» disse Abel.

«Ma poi ho pensato: perché inventare una storia così complicata? Non è nel suo stile. Francamente! Non è affatto nello stile di Fife. Io lo conosco. Lo conosciamo tutti. Un uomo senza immaginazione, Eccellenza! Un bruto!»

Fife aggrottò la fronte. «Quest’uomo ha veramente qualcosa da dire, Abel, o si limita soltanto a blaterare?» chiese.

«Prosegua, Steen» disse Abel.

«È quello che farò, purché mi lasciate parlare! Oh, dunque… Mi sono detto: perché un uomo come Fife inventerebbe una storia simile? A questo interrogativo ho trovato una sola risposta: quella storia non poteva averla inventata lui, perciò era vera. Doveva essere vera. E dei pattugliatori erano stati effettivamente uccisi, anche se Fife sarebbe stato capacissimo di averli fatti uccidere lui.»