Выбрать главу

Accennò con la testa nella sua direzione: «Sveglialo, Valona.»

Valona batté con le nocche contro il paravento: «Rik! Rik, ehi!»

Si sentì un grido soffocato.

«Sono io, Lona» disse subito la ragazza. Passarono al di là del paravento e Terens diresse il fascio della lampadina sulla faccia di Rik.

Rik alzò un braccio per proteggersi gli occhi. «Che c’è?»

«Rik» disse Terens. «Valona dice che tu cominci a ricordare molte cose.»

«Sì, Borgomastro.» Rik era sempre molto umile nei confronti del Borgomastro, il quale era la persona più importante che lui ricordasse di aver mai conosciuta.

Terens domandò: «Hai più ricordato altro dopo quanto hai detto a Valona?»

«No, Borgomastro.»

Terens congiunse le dita e disse: «Va bene, Rik. Rimettiti a dormire.»

Valona lo seguì sulla soglia della casa. Cercava disperatamente di non mostrare la propria ansietà ma non seppe trattenersi dal chiedere: «Dovrà lasciarmi, Borgomastro?»

Terens le prese le mani e disse con voce grave: «Tu sei ormai una donna adulta, Valona. Dovrà venire con me per un po’ di tempo, ma te lo riporterò, sta’ sicura.»

«E dopo?»

«Dopo, non so. Cerca di capire, Valona. Per il momento la cosa più importante è riuscire a sapere di più sui ricordi di Rik.»

Valona chiese all’improvviso: «Crede davvero, dunque, che tutti gli abitanti di Florina dovranno morire, come sostiene Rik?»

La stretta delle mani di Terens si fece quasi violenta: «Non rivelare quello che sai a nessuno, Valona, altrimenti i pattugliatori potrebbero portarti via Rik per sempre.»

Se ne andò e tornò lentamente verso la propria casa senza neppure accorgersi che gli tremavano le mani. Tentò invano di addormentarsi, e dopo un’ora d’insonnia decise di ricorrere al narcocampo. Era una delle poche cose di S?rk che aveva portato con sé quando era tornato su Florina per diventare il Borgomastro. Era un congegno che si adattava al cranio come una leggera calotta di feltro nero. Regolò i controlli su cinque ore e chiuse il contatto.

Ebbe appena il tempo di adagiarsi comodamente nel proprio letto che il contro-impulso ritardato trasmise il cortocircuito ai centri coscienti del suo cerebro avvolgendolo in un sonno senza sogni.

3

Lasciarono la motoretta diamagnetica in un’apposita rimessa alla periferia della Città. Le motorette erano rare nella Città, e Terens non aveva alcun desiderio di attirare su di sé inutili attenzioni.

Rik attese che Terens sprangasse il cubicolo-rimessa e lo sigillasse con le sue impronte digitali. Indossava un vestito nuovo tutto d’un pezzo e si sentiva un po’ a disagio. Seguì con una certa riluttanza il Borgomastro sotto la prima delle altre strutture a forma di ponte che sostenevano la Città Alta.

Su Florina tutte le altre città avevano un loro determinato nome, ma questa era la Città per antonomasia. Gli operai e i contadini che vi abitavano, o che abitavano nelle vicinanze, erano ritenuti, dal resto del pianeta, dei fortunati. Nella Città vi erano medici e ospedali migliori, più fabbriche, più spacci di liquori, persino una lieve parvenza di lusso.

La Città Alta era esattamente ciò che il suo nome indicava, poiché la città era doppia, perfettamente divisa da uno strato orizzontale di cinquanta miglia quadrate di legacemento poggiante su circa ventimila pilastri rinforzati di acciaio. Sotto, nell’ombra, stavano gli indigeni. Sopra, nel sole, dimoravano i Signori. Era difficile credere, nella Città Alta, di essere sul pianeta Florina, poiché la sua popolazione era quasi esclusivamente sarkita, eccettuate poche squadre di pattugliatori. Nella Città Alta vivevano i Signori, i dominatori.

Terens disse: «Adesso, Rik, stai su diritto. Saliamo.»

Si era fermato davanti a una struttura che riempiva lo spazio tra quattro pilastri in quadrato e che portavano dal suolo alla Città Alta.

Rik disse: «Ho paura.»

Intuiva che cosa dovesse essere quella struttura: era un ascensore che trasportava al livello superiore.

Erano congegni necessari, naturalmente. La produzione si trovava in basso, ma il consumo si svolgeva in alto. Le sostanze chimiche basilari e le materie prime alimentari venivano convogliate nella Città Bassa, ma i prodotti finiti in plastica e i cibi prelibati erano riservati alla Città Alta. La popolazione in eccesso si moltiplicava in basso; cameriere, giardinieri, autisti, addetti ai lavori di costruzione venivano adibiti in alto.

Terens ignorò l’espressione di terrore di Rik, però era stupito che anche il suo cuore battesse con tanta violenza: non di paura certo, ma piuttosto di una maligna gioia al pensiero che si accingeva a salire.

Oh, come li odiava, quelli della Galassia!

Si fermò, respirò profondamente e chiamò l’ascensore. Era inutile rimuginare odio. Era rimasto su Sark per tanti anni; su Sark, centro e cuore dell’universo dei Signori. Aveva appreso a sopportare in silenzio. Non doveva ora dimenticare quel che aveva appreso.

L’indigeno addetto al funzionamento dell’ascensore li guardò disgustato: «Siete soltanto in due!»

«Già! Soltanto in due» ripeté Terens entrando, seguito da Rik.

L’addetto alla manovra disse: «A me sembra che avreste ben potuto aspettare il carico delle due per salire. Mica sono obbligato a far muovere su e giù questo aggeggio per due persone soltanto. Dove sono le vostre tessere di riconoscimento?»

Terens gli presentò l’incartamento completo che tutti gli indigeni dovevano portare sempre con sé e che comprendeva: il numero di matricola, il certificato d’impiego, le ricevute delle tasse. L’incartamento era aperto alla pagina rossa che rappresentava la sua licenza di Borgomastro. Il manovratore diede una breve occhiata. «E l’altro?»

«Ne rispondo io» disse Terens. «Può venire con me, oppure devo chiamare un pattugliatore per far rispettare le regole?»

Era l’ultima cosa che Terens desiderasse, ma seppe esprimersi con la giusta dose di arroganza.

«E va bene! Non è il caso di arrabbiarsi.»

Terens ebbe un lieve sorriso. Succedeva quasi sempre così. Coloro che lavoravano al servizio diretto dei Signori erano anche troppo felici di identificarsi con i padroni e di rifarsi del loro effettivo stato d’inferiorità con una ancor più stretta aderenza alle regole di segregazione, di altezzosità e di disprezzo verso i propri simili praticate dai Signori.

La distanza percorsa verticalmente era di una quindicina di metri soltanto, ma la porta si riaprì su un mondo nuovo. Al pari delle città di Sark, la Città Alta era stata disegnata con una particolare ricerca dell’effetto coloristico. Strutture individuali, fossero luoghi di abitazione o pubblici edifici, erano inserite in un complesso mosaico multicolore che, da vicino, non era che una tavolozza priva di significato, ma che alla distanza di cento metri si fondeva in morbide tonalità cromatiche le quali trascoloravano e mutavano a seconda dell’angolo di visuale.

«Andiamo, Rik» disse Terens.

Rik era rimasto a bocca aperta a guardarsi intorno. Una vettura aero-terrestre passò come un barbaglio.

«Sono Signori, quelli?» mormorò Rik.

Aveva appena avuto il tempo di dare un’occhiata, e in quel breve attimo aveva intravveduto dei capelli tagliati corti, ampie maniche a sbuffo dai colori lucenti e sfumati dal turchino al violetto, pantaloni che parevano di velluto e lunghe calze lucide che scintillavano come se fossero intessute di sottili fili di rame.

«Sì, sono dei giovani» disse Terens. Da quando aveva lasciato Sark non ne aveva più veduti da vicino. Su Sark erano già insopportabili ma almeno si trovavano al loro giusto posto. Qui invece non s’inquadravano. Lottò di nuovo con se stesso per soffocare un vano tremore d’odio.