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— E perché i La Se Dani dovrebbero perdere tempo con dei test? — sbottò Bortha. — Sono malvagi e barbari, ma non sono stupidi… magari lo fossero! Sono abbastanza intelligenti da capire che non serve un emettitore di neutroni se si devono assorbire neutroni.

— Oh, ma vedi, ho anche suggerito ai La Se Dani dei metodi pratici per sopprimere la radioattività, così da rendere il terbio-158 un isotopo stabile.

— Non si può sopprimere la radioattività, maledizione — imprecò Bortha. — La tua razza non è in grado di farlo, la mia razza e gli altri stellari nemmeno e, per quel che ne sappiamo, neppure il Popolo Misterioso poteva farlo. Lo sanno anche i piccoli, come sanno che…

— L’hai già detto un paio di volte — l’interruppe Richter. — Lo sapranno i bambini delle razze galattiche, ma i La Se Dani no di certo. Loro sanno solo che sei specie hanno l’iperpropulsione e loro no. Se un membro di una di queste specie… io, per esempio… gli indica come realizzarla, loro seguiranno l’indicazione, considerandola preziosissima. Con un po’ di fortuna, forse bloccheremo per parecchi anni delle ricerche che potrebbero portare davvero all’iperpropulsione.

Bortha fissò l’Erthuma come se lo vedesse per la prima volta, e percepì che parlava sul serio. Il suo piano non era nemmeno del tutto insensato; pensandoci bene, Bortha lo trovò sempre più sensato. Ed era un piano abbastanza subdolo da sembrare frutto della mente di un Crotonita. In fatto di intrighi e macchinazioni, quello era il massimo elogio — o il peggior biasimo — secondo Bortha.

— Non vuoi davvero che i La Se Dani sviluppino il volo stellare, allora? — chiese.

— Certo che no — rispose Richter. — Credi che sia pazzo?

— Ma… ma… ma… — Era rarissimo che i Naxiani balbettassero, ma Bortha era al colmo del frastornamento. Con uno sforzo deciso, cercò di connettere. — Ma… i La Se Dani ti sono simpatici. Sei pieno di comprensione per loro. Ho il senso empatico, Erthuma… non puoi ingannarmi. — Quasi volesse contraddirsi, sondò di nuovo Richter. — Sei ancora pieno di comprensione per loro. Come hai potuto imbrogliarli, allora?

— Quello che provo e quello che ritengo giusto sono due cose diverse, Bortha — rispose Richter. — Forse non sarà così per voi Naxiani, dato che potete percepire i sentimenti direttamente, ma per noi Erthumoi è così. Sì, ho simpatia per i La Se Dani. Come ti ho detto, i loro guai mi ricordano quelli affrontati dal mio popolo, i Deutsche, tanto tempo fa, prima che gli Erthumoi scoprissero l’iperpropulsione.

— Ma… — Bortha si controllò per non balbettare ancora. — I guai dei La Se Dani, come li chiami tu, sono provocati da loro stessi — riuscì a dire infine.

— Anche quelli dei Deutsche lo erano — disse Richter, e Bortha sentì l’amara determinazione che il ricordo de! passato del suo popolo suscitò in lui. — Vincemmo una guerra contro i nostri vicini e, un paio di generazioni dopo, combattemmo un’altra guerra derivata in parte dalla prima. La nostra alleanza era più debole di quella dei nostri nemici, e fummo sconfitti.

Per fortuna, rifletté Bortha, i Naxiani, come i buoni e quasi indistruttibili Samiani, sapevano ben poco della guerra. La maggior parte delle razze intelligenti non erano così fortunate, e progredivano — o regredivano — attraversando periodicamente fasi distruttive.

Richter proseguì: — Passò un’altra generazione, e i Deutsche erano assetati di vendetta verso i loro vecchi nemici. Così seguirono un leader che promise loro quella vendetta, e non si fermarono di fronte a nulla pur di ottenerla. Anche in quella circostanza, i loro alleati erano pochi… la maggior parte degli Erthumoi, anche senza il vostro senso empatico, aveva riconosciuto il leader dei Deutsche per quello che era.

— Cos’era? — chiese Bortha, provando una curiosità autentica.

Richter rifletté alcuni istanti. — Diciamo che se i Deutsche avessero vinto quella guerra guidati da quella ideologia e poi avessero scoperto l’iperpropulsione, le altre cinque razze stellari qualche secolo fa si sarebbero trovate di fronte a un problema identico a quello rappresentato oggi dai La Se Dani. I miei antenati, una popolazione relativamente poco numerosa, combatterono contro la maggior parte del nostro pianeta natio, e per poco non lo conquistarono.

Bortha captò una strana mescolanza di orgoglio e ripugnanza.

— Sei contento che non ci siano riusciti, dunque? — disse, sempre più perplesso-a… Come si poteva gioire per l’insuccesso dei propri antenati?

— Sono contento — rispose Richter. — Saremmo stati dei mostri, nient’altro che mostri. Dopo la conclusione di quella guerra, le nazioni che ci avevano sconfitto tennero divisi i Deutsche con la forza per due generazioni, temendo che trascinassero la Terra in un altro conflitto… e quando i Deutsche riuscirono poi a riunirsi, i loro vicini non erano affatto tranquilli, e stettero in ansia a lungo.

— Sia come sia — disse Bortha. — Continuo a non capire il nesso, come mai pur apprezzando i La Se Dani tu sia disposto a ostacolarli. — Li aveva ostacolati eccome spacciando delle bugie per tecnologia avanzata, pensò Bortha. Forse gli indigeni avrebbero inseguito ombre nella nebbia per generazioni!

— Apprezzo i La Se Dani perché li capisco — rispose Richter.

— Come ho cercato di spiegarti, mi ricordano i miei antenati. Ho empatia nei loro confronti, potremmo dire.

Bortha non avrebbe detto nulla del genere. Sorprendentemente, gli Erthumoi avevano sviluppato il concetto di empatia senza essere in grado di provarla direttamente. Ma quella che chiamavano empatia era solo logica camuffata da sentimento… cioè una spregevole impostura, secondo Bortha.

Fece per dirlo, perché Richter ritraesse quello pseudopodio di orgoglio. Poi cambiò idea. Grazie alla sua pseudoempatia, l’Erthuma aveva afferrato la situazione La Se Dana meglio di Bortha, che possedeva la vera facoltà empatica. Astenendosi da un commento maligno, la creatura naxiana disse semplicemente: — Continua.

— Anche se comprendo e apprezzo i La Se Dani, Bortha, mi rendo conto ugualmente che costituiscono un pericolo. E tuttavia mi dispiace per loro, ho compassione — disse Richter, e Bortha constatò che era vero. — Spero che tra qualche generazione riescano a raggiungere le stelle, unendosi alla tua razza e alla mia e alle altre quattro. Ma non sono ancora pronti, come non lo sarebbero stati i Deutsche sotto Hitler. L’ho capito, nonostante quello che provo per loro. A volte bisogna ignorare i propri sentimenti per fare quel che è giusto.

Bortha rifletté. Per un Naxiano, ignorare i sentimenti era come ignorare la luce o la gravità, cioè impossibile. Intellettualmente, Bortha sapeva che questo non valeva per gli Erthumoi e la maggior parte delle altre razze. Ora, per la prima volta, sentì (nel pieno senso naxiano della parola) cosa significasse, sentì la stranezza, l’estraneità che dimorava dietro i piccoli occhi grigi-azzurri di Eberhard Richter.

— Penso che tornerò su un mondo naxiano — disse infine. — Ho bisogno di stare tra i miei simili per un po’. Ulteriori contatti con voi Erthumoi mi provocheranno squilibri mentali. Richter contrasse la bocca, un segno esteriore del divertimento che irradiava. — oh, non voglio proprio che accada una cosa del genere — disse. — Comunque, per quanto le altre razze galattiche ci considerino pazzi, noi Erthumoi siamo riusciti a sopravvivere.

Forse ci riusciranno anche i La Se Dani, e in tal caso dovremo occuparci di loro presto o tardi. Io ho solo contribuito a fare in modo che questo avvenga non troppo presto.

Bortha avrebbe preferito non sentire le ultime due frasi. Aveva ancora intenzione di trascorrere un lungo e piacevole periodo di riposo su un tranquillo ed equilibrato pianeta naxiano. Ora, però, avrebbe avuto qualcosa di cui preoccuparsi durante la sua permanenza.