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Era il solito ghiaccio, reso opaco dai sedimenti finissimi contenuti l’ultima volta che si era solidificato, forse polvere aerea spinta fino a Latoscuro e mescolatasi con la neve. C’erano tracce di fusione recente, cioè una striscia sottile di sedimento bianco in direzione del mare in un avvallamento quasi impercettibile, che però poteva essere stata causata tanto dal calore corporeo dell’indigeno quanto dall’acqua uscita dall’indumento. L’artista-registratore accostò la faccia al ghiaccio e annusò, la bocca spalancata — per i Crotoniti il gusto e l’odorato erano ancor meno distinti che per gli Erthumoi. Hugh si chiese incuriosito come avrebbe fatto a schizzare un odore.

— Hugh… Jan… venite qui e annusate. Non so se il vostro fiuto sia migliore del nostro… ma non sentite nulla di strano qui?

Gli umani lo accontentarono, poi si guardarono incerti. — Sì, si sente qualcosa — ammise la donna — però non so proprio cosa sia. Mi pare che gli Habra non abbiano nessun odore particolare… io non l’ho mai notato, almeno… forse però non mi sono mai avvicinata abbastanza a uno di loro da sentirlo, se c’era.

— Io mi sono avvicinato abbastanza… ma gli Habra non puzzano, per noi — disse Venzeer pensieroso. — Comunque, qui c’è qualcosa, che probabilmente è uscito dallo scafandro. Vediamo se lo scafandro manda odore.

Con la bocca aperta o meno, tutti annusarono l’indumento. Janice si strinse nelle spalle. — Lo sento anche qui, ma non vedo come questo possa aiutarci. Non sappiamo se sia una sostanza chimica… immagino stiate pensando a questo… o se sia qualcosa assolutamente normale per l’occupante.

Hugh intervenne. — A che servirebbe una sostanza chimica? A indurirgli la carne, a renderla talmente dura da permettergli di resistere alla pressione oceanica? Per me è assurdo.

— Anche per me — ammise il Crotonita. — Solo che l’intera situazione è strana, e mi piacerebbe raccogliere tutti gli elementi strani, se possibile.

— Bastava chiedermelo prima che partissi… Avreste avuto tutte le informazioni desiderate sullo scafandro senza danneggiarlo.

Umani e Crotoniti s’irrigidirono a quelle parole. Hugh, l’unico a non essere chino sull’indumento, fu il primo ad alzare lo sguardo, ma gli altri lo imitarono quasi subito. Non c’erano dubbi su chi fosse il proprietario della voce. Infatti sopra di loro, a qualche metro dal suolo, un corpo dotato di sei ali stava volando lentamente. Nonostante la tendenza erthumiana a dare la colpa agli altri nelle situazioni imbarazzanti — specialmente a un Crotonita, se era nei paraggi — Hugh si affrettò a giustificarsi per tutto il gruppo.

— Pensavamo non ci fosse nulla da chiedere. Non avevamo notato quanto fosse flessibile questo materiale, finché non l’abbiamo preso in mano… poi non siamo riusciti a capire come potesse proteggere qualcuno dalle pressioni abissali…

Venzeer l’interruppe. — Come hai fatto a sapere che lo stavamo danneggiando? Perché sei tornato indietro?

L’indigeno si posò accanto a loro. — Ho sentito il rumore di un pezzo che veniva staccato.

— Ma… — fece per obiettare Janice. Poi annuì. — Già… certo. — Il materiale dello scafandro era un polimero e sicuramente un isolante elettrico — doveva esserlo, per proteggere chi lo indossava dai contatti involontari con le piante, perfino sott’acqua. Staccando una parte dall’altra si era creata una differenza di potenziale sufficiente a produrre emissioni radio, anche se i loro traduttori non le avevano captate… e non era detto che non le avessero captate; nessuno dei due Crotoniti, come avrebbe ammesso in seguito Rekchellet, avrebbe fatto caso a delle banali scariche statiche.

L’indigeno sembrò accettare la giustificazione, ma parve un po’ sorpreso da quanto aveva detto Hugh.

— Noi non cerchiamo di resistere alla pressione. Noi… Oh, quando ho accennato al liquido d’immersione, voi pensavate che mi riferissi a della zavorra, immagino…

— No, è un’idea che non ci ha neppure sfiorato — ammise Janice. — Nessuno di noi ha pensato a quelle parole, credo. Hai anche detto che era roba che a noi non sarebbe servita, vero? — Le ali ancora gonfie dell’Habra si drizzarono in un gesto affermativo che anche gli Erthumoi conoscevano.

— Oh! — esclamò sommesso Hugh. — Ho capito. Si evitano i problemi relativi a vp tenendo basso delta-v. Tutto liquido. Tutte le cavità corporee prive di bolle d’aria. Qualcosa in grado di trasportare l’ossigeno con sufficiente rapidità in soluzione o legame debole. Ne ho sentito parlare, anche se penso che non l’abbiano mai fatto da noi. Qualcosa che risale a moltissimo tempo fa… forse addirittura sulla Terra.

— Io non ne avevo sentito parlare — disse sua moglie. — Però ho capito che l’Habra si riferiva a una cosa del genere.

— Di che state parlando? — intervenne Venzeer.

— La maggior parte dei danni causati a un essere vivente dal cambiamento di pressione deriva dalla notevole variazione di volume dei gas. La variazione volumetrica dei liquidi invece non è molto elevata al variare della pressione. Se si sale o si scende abbastanza lentamente da permettere ai fluidi corporei, perlopiù acqua per tutti noi, di diffondersi almeno un po’ attraverso le membrane e le pareti cellulari, non ci sono problemi. Anche le creature oceaniche non scoppiano, a meno che non abbiano vesciche natatorie o vengano portate verso la superficie molto velocemente. Gli Habra devono aver creato un fluido che adoperano per impregnare completamente il loro corpo, comprese le cavità normalmente usate per lo scambio d’ossigeno, e per riempire lo spazio tra il corpo e lo scafandro. Dopo di che, la pressione diventa un fattore irrilevante.

— Ma esistono altri pericoli — osservò suo marito. — Per esempio, la narcosi da azoto, no?

— Non so. Dobbiamo aver risolto anche questo problema, se i tuoi ricordi sono esatti. E forse questa gente non è soggetta alla narcosi da azoto; in fin dei conti, tollerano benissimo un po’ di cianuro di idrogeno nell’aria, come i Crotoniti.

— Certo — borbottò Rekchellet sottovoce. — Non siamo terricoli, nemmeno noi.

Janice ignorò l’interruzione. — Lo ione cianuro, l’ossido di carbonio e l’azoto molecolare hanno strutture elettroniche identiche. L’unica differenza è la polarità. Un organismo in grado di tollerare il cianuro non dovrebbe avere problemi con l’azoto.

— Sono semplici congetture, le tue — fece notare suo marito.

— Certo che sono congetture. Non c’è stato tempo per controllare in qualche banca dati, ma metterò subito in funzione la trasmittente. Abbiamo appena saputo tutte queste cose da… come dobbiamo chiamarti? — Janice cercò di assumere un atteggiamento eloquente perché l’Habra capisse che si stava rivolgendo a lui. L’indigeno parve comprendere.

— Io sono… — il resto erano scariche statiche irriproducibili.

— Mi spiace — disse Janice col massimo garbo possibile. — Questo simbolo non è traducibile in suoni che noi possiamo emettere. Una struttura acustica semplice come «William» sarebbe abbastanza chiara?

— Sembra «volatile arretrato», ma posso accettare. Mi rendo conto della difficoltà. Se «William» va bene, sarò William.

— «Bill» sarebbe ancor più facile e rapido.

— «Bill» non significa nulla, ma posso ricordarlo e produrlo.

— Grazie, Bill. Sai perché siamo qui… noi quattro?

— Pensavo steste studiando le correnti e compiendo forse altre analisi del nostro oceano e dell’atmosfera, proprio come noi. Avevo immaginato in precedenza che ci fossero probabilmente altri vostri compagni impegnati in studi simili sotto la superficie. Invece, se ho ben capito, non avete ancora iniziato.

— Noi camminatori, no… e nemmeno i Crotoniti, secondo me. Normalmente svolgeremmo un lavoro del genere con l’aiuto di macchine che noi chiamiamo robot, che dovrebbero essere di tipo molto speciale. Per ora non abbiamo nessun robot su questo pianeta… Venz? Rek? E voi?