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— Noi non usiamo simili macchine. Preferiamo svolgere di persona il nostro lavoro. — Il tono di Rekchellet trasmesso da! traduttore bastò a rammentare a Hugh e a sua moglie che la maggioranza dei viaggiatori astrali non umani diffidava dell’intelligenza artificiale. La donna insistette, comunque; era un comportamento poco accorto, ma Janice voleva che Bill imparasse qualcosa riguardo i Crotoniti… qualcosa che sicuramente i Crotoniti non avevano detto agli indigeni.

— Però non avete compiuto nessuna esplorazione subacquea qui, vero?

— Né qui né in nessun altro luogo. Noi voliamo.

— Certo. E non si può volare sott’acqua.

A questo punto, Bill li interruppe. — Si può, invece. Noi lo facciamo. È così che ci si sposta, fuori dai sottomarini. È così che ho evitato di essere schiacciato dalla montagna di ghiaccio su cui mi trovavo, quando è salita e si è scontrata con la vostra.

— Voi volate sott’acqua? — sbottò Venzeer.

— Noi lo chiamiamo nuotare — disse Hugh frettolosamente. — Immagino che gli Habra usino le loro ali, però. — Si pentì della seconda frase ancor prima dì averla terminata, e maledisse tra sé la propria franchezza innata. I Crotoniti non replicarono subito, ma si guardarono meditabondi. Ci furono parecchi secondi di silenzio in cui i pensieri di ognuno dei cinque sarebbero stati di grande interesse per tutti gli altri.

L’immaginazione di Venzeer stava trastullandosi con la rivelazione dell’Habra: si poteva volare là sotto. Forse non era poi così brutto, in fin dei conti; forse si poteva scendere, vivere esperienze comuni, provare addirittura un nuovo tipo di volo, e arrivare a conoscere meglio gli indigeni… capire perché sembrassero tanto indifferenti alla possibilità di lasciare il loro mondo e volare tra le stelle. I loro antenati dovevano averlo fatto; quella razza non si era evoluta su Habranha. Non solo non c’era concatenazione — il continente anulare non aveva fauna terrestre, per non parlare di creature volanti — ma quegli alati non usavano nemmeno l’azotidrato nella loro biochimica, pur essendo elettrici quanto le piante e le creature marine sotto molti aspetti. Neppure le piante che coltivavano a scopo alimentare usavano l’azotidrato. Quindi dovevano essere coloni. Forse erano addirittura… no, sarebbe stato pretendere troppo.

Il pensiero di volare negli abissi, però… Quella avrebbe potuto essere un’esperienza vera e nuova… ma ci sarebbe stato così buio. Impossibile vedere in lontananza, spaziare con lo sguardo… solo acqua torbida e scura tutt’intorno. Avrebbero volato, certo; lo aveva detto l’indigeno. Però niente nubi, niente stelle, soltanto l’udito e il tatto per tenersi in contatto con l’universo. Gli indigeni erano volatili e sapevano meglio di qualsiasi terricolo cosa significasse vedere, ma non ne avrebbero sentito tanto la mancanza dovendovi rinunciare. Avevano quel vantaggio habra… erano in grado di captare i campi e gli impulsi elettrici, oltre a vedere e sentire… E potevano volare sott’acqua, schiacciati da pressioni mostruose. Scoprire come facessero — scoprire la formula del loro liquido d’immersione — non sarebbe servito granché ai Crotoniti. Probabilmente, sarebbe bastato chiedere, e quelle creature semplici avrebbero fornito tutte le informazioni necessarie… No, non erano creature tanto semplici, erano volatili… però, trattandosi di informazioni di scarsa utilità per i Crotoniti, perché avrebbero dovuto pretendere qualcosa in cambio per divulgarle? Ma… quant’era diversa la struttura biochimica crotonita da quella habra, comunque? E se il liquido non avesse funzionato, non era possibile trovare materiali capaci di reggere la pressione? A che servivano, se no, i tecnoricercatori? L’idea di uno scafandro, di una corazza, era qualcosa di perfettamente naturale per i terricoli, ovvio; mentre nessun volatile avrebbe pensato di gravarsi di un peso del genere solo a scopo protettivo. Ma il peso sarebbe stato un fattore insignificante sott’acqua; quella era fisica elementare. Dunque, bisognava avviare un’indagine estesa, consultare, richiedere dati. Dovevano esserci moltissime informazioni attinenti.

Le riflessioni di Rekchellet seguivano un filo diverso… Questi esseri hanno un campo che a noi manca. Hanno un mondo più grande da esplorare, che nessun altro ha mai avuto. Non solo superficie e atmosfera, ma pure un sesto del raggio sotto la superficie. Un terzo del volume planetario, in cui vivono delle cose e accadono delle cose. Perché dovrebbe interessargli lo spazio? Siano dei filosofi che mirano alla conoscenza fine a se stessa, o siano dei pragmatici che cercano di sopravvivere, hanno un mondo di materiale per le loro speculazioni e le loro opere concrete. Basterà suggerirgli qualche nuovo settore d’attività, e non dovremo preoccuparci di loro in nessun altro punto della galassia per parecchi secoli. Anche se fossero la Settima Razza, adesso non viaggiano più tra le stelle, sono cambiati. Naturalmente, dovremo conoscere il loro mondo, il loro universo, abbastanza a fondo da meritare il loro rispetto. Dovremo interessarci dei loro problemi, non interessarli ai nostri.

Ma come faremo a scendere laggiù? Gli indigeni sono diversi da noi, anche chimicamente. Per loro l’azotidrato è velenoso. Come faremo a creare qualcosa di simile al loro liquido d’immersione in breve tempo? Ci vorrà una vita, forse di più. Nemmeno i cervelli artificiali degli Erthumoi riusciranno…

Rekchellet interruppe deciso quella successione di pensieri… Eppure, volare negli abissi doveva essere divertente. Nuove cose da vedere e da disegnare. Senza dubbio si potevano collegare a qualche macchina gli occhi artificiali erthumiani per esaminare le cose là sotto, ma com’era possibile estrarre gli elementi essenziali dopo, da un’immagine indiretta? Ci sarebbero stati troppi particolari estranei e irrilevanti.

Janice fondamentalmente non si preoccupava per gli atteggiamenti dei Crotoniti; li dava per scontati, spesso sbagliando, ma si riusciva a farglielo capire di rado. Bill, comunque, era interessante. Era coraggioso; a prescindere dalla perfezione della tecnologia subacquea habra, aveva rischiato la vita. Semplice curiosità, forse… o forse senso del dovere. Poco importava. Janice comprendeva e apprezzava entrambe le cose. Sentiva il richiamo degli oceani profondi di Habranha, un ambiente completamente nuovo. Con strani organismi, correnti ancor più complesse di quelle aeree, e tempeste provocate dal distacco di iceberg e dal calore assorbito o emesso quando il ghiaccio cambiava fase a seconda della profondità e iceberg giganteschi si polverizzavano o mutavano densità più lentamente e quindi salivano o affondavano… Il breve racconto di Bill avrebbe stimolato l’immaginazione di qualsiasi chimico. Dovevano esserci nubi e piogge di limo raschiato dal nucleo di Habranha dal ghiacciaio di Latoscuro nel suo eterno strisciare sul fondo dell’oceano verso il sole, limo presente nel ghiaccio e liberato a profondità diverse e in quantità diverse quando gli iceberg si scioglievano, si sgretolavano o esplodevano. Ci sarebbero state correnti calde discendenti perché cariche di limo, correnti fredde ascendenti per il loro contenuto di ammoniaca e, nei punti d’incontro, bufere con trasformazione di colloidi in gel. William era stato laggiù e aveva visto tutto quanto, e Hugh avrebbe voluto sentire le ipotesi della moglie e verificarle…

In qualche archivio informatico dovevano esserci dei dati sul liquido d’immersione. Spostarsi su un iceberg galleggiante seguendo l’andamento caotico dei venti e delle bufere di neve era diventato di colpo un compito noioso. Janice si sarebbe data da fare col raggio neutrinico, senza badare a quante biblioteche planetarie avrebbe dovuto consultare. Non sarebbe stato difficile interessare Venzeer e Rekchellet a quella nuova ricerca…

Hugh condivideva gran parte dei sentimenti della moglie, ma non dava per scontato il comportamento dei Crotoniti. Forse le parole di Bill avrebbero persuaso Venz o Rek o entrambi ad avventurarsi nelle profondità marine, a provare qualcosa che assomigliava solo lontanamente al volo, anche se era difficile immaginare in che modo l’artista — Hugh non era sicuro che fosse davvero qualcosa di più di un illustratore registratore — avrebbe impiegato il proprio talentò. Forse sarebbe stata un’esperienza positiva; forse il caro Rek si sarebbe reso conto che quello che si vedeva non era tutto, e che chi non era in grado di volare e di dominare l’intero panorama non era necessariamente una nullità. Che gli Habra si dedicassero o meno al volo spaziale non era poi tanto importante, anche se Hugh sperava che lo facessero; non aveva intenzione di schierarsi con nessuno dei due Crotoniti, e non gli importava granché che si scoprisse che gli Habra erano la Settima Razza o che quel popolo fantomatico rimanesse per sempre un mistero. Probabilmente la Settima Razza si era estinta, comunque. Gli indigeni potevano badare al proprio futuro, nello spazio o nell’oceano. Però, sarebbe stato divertente se Venzeer e Rekchellet fossero scesi a un paio di centinaia di chilometri di profondità e avessero imparato a volare nell’acqua… il verbo usato dal traduttore non aveva importanza, quale che fosse. E poi sarebbe stato possibile farli discutere con l’unico Cephalloniano presente a Pwanpwan sulle gioie del nuoto, e sentirli deridere l’incapacità dell’acquatico di «nuotare» nell’aria. Sarebbe stato un sollievo offrire loro qualcuno da sminuire oltre ai soliti «terricoli».