E sarebbe stato divertente vedere gli abissi di Habranha. Janice senza dubbio aveva già pronta una serie di ipotesi, Hugh lo sapeva; era uno degli aspetti meravigliosi di sua moglie. Confrontare le previsioni con la realtà era sempre divertente. Certo, l’operazione poteva rivelarsi fatale, ma questo la rendeva più interessante. Da qualche parte dovevano esserci delle informazioni su quel vecchio liquido d’immersione. Alcuni minuti — o qualche ora, al massimo — di contatto con la banca dati di qualsiasi mondo erthumiano, e il problema sarebbe stato risolto. Un uso degno e adeguato del comunicatore e del periodo d’utilizzo del programma di ricerca. E non ci sarebbe voluto molto tempo per tradurre in pratica le informazioni ottenute in un laboratorio. Forse sarebbero bastate addirittura le apparecchiature della slitta… no, sarebbe stato necessario tornare a Pwanpwan o alla stazione orbitale. Comunque, la cosa era realizzabile. E chissà… forse il caos atmosferico di quello che avrebbe dovuto essere un pianeta tranquillo aveva davvero le sue origini negli oceani.
Bill, il meno cinico dei cinque, eccettuata Janice, stava riconsiderando la sorpresa iniziale provata nello scoprire che i viaggiatori astrali non erano stati negli abissi. Aveva dato per scontato che il suo pianeta, per quanto unico e complesso nei particolari, fosse solo un mondo come un altro per loro, e che loro dovessero avere dei metodi standard abituali per studiare i pianeti. L’idea che Habranha fosse abbastanza insolito da rendere inadatti quei metodi era in qualche modo piacevole. Dunque lui e i suoi colleghi potevano insegnare delle cose a quegli strani esseri così progrediti e intelligenti, nonostante l’aria di superiorità che gli alieni alati sembravano mostrare con tanta prontezza. Bill sapeva ben poco delle creature senz’ali apparse più recentemente, ma anche loro erano viaggiatori astrali, e senza dubbio si sentivano superiori per questo.
Bill era uno dei pochi della sua specie a conoscere, non solo per sentito dire, stelle che non fossero Fafnir, il sole compagno di Grendel. La maggior parte della gente stava su, sopra, o sotto il continente anulare dell’emisfero diurno di Habranha, che continuava a crescere a circa cinquanta gradi dal sole e si scioglieva a circa venti gradi, ed era costantemente illuminato. Fafnir naturalmente era visibile; i suoi movimenti avevano fornito il primo sistema ad attrito zero osservabile, portando allo sviluppo della fisica, secondo la storia. Si erano scoperte le altre stelle solo quando i ricercatori avevano trovato il modo di spingersi brevemente nell’emisfero buio; la natura delle stelle, fino all’arrivo dei Crotoniti, era stata del tutto ipotetica, e molti Habra nutrivano tuttora dei dubbi sulla loro esistenza.
Alcuni scienziati erano stati tentati dall’idea di viaggiare oltre l’atmosfera, ma quelli che avevano provato erano tornati molto in fretta e mestamente. Si vedeva abbastanza bene là fuori; era affascinante poter dimostrare con tanta facilità le teorie sulla forma del mondo e del continente. Però non si sentiva nulla. Forse perché non c’era nulla di abbastanza vicino da sentire, forse perché lo strano materiale del veicolo volante bloccava con estrema efficacia i campi elettrici… quale che fosse la causa, si trattava di un’esperienza che provocava un forte senso di claustrofobia. Gli alieni — era noto — erano privi di sensi elettrici… dovevano perfino trasformare il linguaggio normale in qualcos’altro; forse era per questo che i viaggi spaziali non creavano loro alcun problema. Nessuno era riuscito a sapere nulla in merito dai Crotoniti; Bill non sapeva di preciso se fossero state interpellate altre specie aliene. Ce n’era una nuova che addirittura volava solo nell’acqua, aveva sentito dire…
Sarebbe stato interessante accompagnare un gruppo di alieni negli abissi, sempre che si lasciassero convincere ad andare e avessero la tecnologia necessaria; il liquido d’immersione probabilmente non sarebbe stato loro di alcuna utilità, forse però il materiale che usavano per costruire le astronavi era in grado di resistere alla pressione abissale…
Bill doveva tornare all’anello e fare qualche domanda. Era improbabile, statisticamente, che lì ci fossero abbastanza alieni da fornire le risposte. Nessuno sapeva tutto…
Quei pensieri, per quanto espressi con riluttanza, non potevano concretarsi che in un modo.
2. Sotto
Non si era sbagliato, pensò Venzeer. C’era buio, e la mancanza di stelle era spaventosa. La mancanza di orientamento era peggiore. Normalmente si poteva volare nelle nubi con la debita attenzione, questo però quando le nubi erano sospese nell’aria e il proprio peso e il senso della velocità significavano qualcosa. Lì, l’effetto dei battiti delle ali era diverso, e non si poteva muoverle molto rapidamente comunque, né avere la percezione della velocità attraverso lo scafandro.
Venzeer non poteva biasimare Rekchellet, che trascorreva la maggior parte del tempo nell’abitacolo sferico del Compromesso. Se anche lui avesse avuto una scusa valida quale il mancato funzionamento del blocco da disegno sott’acqua, l’avrebbe usata. Il fatto che ci fosse poco da disegnare era secondario; Rek era tuttora impegnato a registrare quel che poteva, pur se si trattava perlopiù di parole e cifre degli strumenti.
Da dove si trovava, Venzeer vedeva il nuovo mezzo di trasporto, naturalmente; il solo pensiero di allontanarsi e perderlo di vista suscitava… non il panico… no, semplice paura, una paura ragionevole, legittima. Sarebbe stato impossibile ritrovarlo in quell’oscurità senza stelle. Non si riusciva a individuare alcuna direzione — neppure il su e il giù — con un minimo di sicurezza.
Venzeer non capiva perché gli Erthumoi avessero voluto dare un nome al mezzo subacqueo, visto che non lo avevano fatto con la slitta, però era d’accordo sul nome scelto. Si trattava di un sottomarino minerario habra modificato, aperto alla pressione oceanica. Lo scafo era una semplice intelaiatura di polimero — il metallo era una rarità da laboratorio per gli Habra — che conteneva i serbatoi del fango e i motori. Gli indigeni avevano un tipo interessante di propulsione elettronucleare, coi conduttori perfettamente schermati per non abbacinare i sensi dell’equipaggio. La schermatura era un polimero conduttore; i sensi elettrici naturali degli indigeni avevano portato all’aggiramento di un problema a cui avrebbe potuto trovarsi di fronte una civiltà in via di sviluppo su un continente di ghiaccio.