Gli elementi del telaio erano tubolari, pieni di fluido per lo scambio termico che poteva essere pompato dove necessario. Il ghiaccio nelle profondità oceaniche di Habranha a volte aveva un punto di fusione fastidiosamente alto e si poteva trovare a distanze sorprendenti da Latoscuro.
Bill, Hugh e Janice erano disposti a trascorrere un mese o più nel liquido d’immersione e all’interno dello scafandro riciclante, ma i Crotoniti avevano dovuto improvvisare una protezione da forze brutali e non potevano rimanere continuamente dentro le loro tute. Così adesso il sommergibile, nella parte centrale, aveva due sfere trasparenti comunicanti, al posto di un paio di serbatoi originali. Una sfera serviva da camera d’equilibrio, l’altra da abitacolo… un ambiente abitabile molto angusto per un alato, nonostante gli otto metri di diametro. Perfino Rekchellet usciva abbastanza spesso, senza il suo blocco, per volare un po’ lì attorno.
Quando il mezzo viaggiava a una velocità superiore a quella che loro potevano raggiungere volando, cioè quasi sempre, gli esploratori stavano all’interno dello scafo aperto e si tenevano aggrappati. Se dovevano riposare, usavano un serbatoio. Nella fase preparatoria della missione, Venzeer e Hugh avevano suggerito di zavorrare alcuni di quei contenitori con del fango per risparmiare l’energia che altrimenti sarebbe stata necessaria per spingere verso il basso l’abitacolo galleggiante, ma gli indigeni si erano rifiutati di farlo. Il fango irriguo, che rendeva fertile il ghiaccio del continente consentendo le coltivazioni, era troppo prezioso.
Quando il centro di ricerca crotonita di Pwanpwan aveva fornito alcune centinaia di tonnellate di rame, gli Habra avevano proposto di scambiare il fango con il metallo, ma Venzeer non aveva accettato, perché i lingotti di metallo erano più maneggevoli. Per non turbare il quieto vivere, aveva parlato di un’eventuale donazione del rame a un laboratorio habra dopo il viaggio.
Il viaggio, naturalmente, sarebbe stato lungo. Come il veicolo, la missione era un compromesso tra i bisogni e gli interessi degli indigeni che avevano fornito il sottomarino e quelli dei ricercatori alieni. Questi ultimi desideravano non solo studiare il pianeta ma anche influenzare i suoi abitanti in certi casi. Dato che gli extraplanetari non miravano tutti agli stessi obiettivi, e dato che nessuno di loro osava dirlo apertamente, il compromesso finale era complesso nei suoi particolari e forse nessuno degli interessati lo comprendeva appieno. Comunque, aveva già consentito al Compromesso di spingersi verso l’Oceano Solido di Latoscuro in una zona ancora inesplorata per gli Habra.
Non che gli Habra non avessero tentato, sosteneva Bill; il fatto era che sommergibili e nuotatori non erano mai tornati da quella regione. Il perché era un mistero; là, se mai, le condizioni meteorologiche sottomarine avrebbero dovuto essere meno proibitive, dal momento che il ghiacciaio verticale era presumibilmente acqua pura senza sedimenti e soluti. Bill aveva raccontato delle storie che confermavano il quadro generale previsto da Janice: fango e «neve», correnti violente in ogni direzione, iceberg grandi e piccoli, mostri e animaletti. Avevano incontrato alcune di quelle cose dopo aver lasciato il continente anulare, tutto questo però là dove l’oceano era più caldo. Venzeer dubitava che il resto fosse vero, dato che Bill non era parso minimamente preoccupato all’idea di partecipare alla spedizione. Ben presto il Crotonita era giunto a sospettare che l’indigeno stesse cercando di spaventare gli alieni perché non esplorassero il mare e gli abissi, che per gli Habra racchiudevano le ricchezze dei pianeta. Quell’atteggiamento era decisamente familiare alla maggioranza dei Crotoniti, e non del tutto ignoto agli Erthumoi.
Bill era visibile, adesso, nuotava calmo a qualche metro di distanza. Le luci del Compromesso lo illuminavano di profilo mentre, muovendo adagio le ali, seguiva una rotta tortuosa attorno al mezzo che avanzava lentamente. Diceva che compiva dei rilevamenti quando faceva così, esaminando coi suoi strani sensi la temperatura, la densità e i soluti dell’oceano circostante, misurazioni che sarebbero state compromesse se effettuate troppo vicino allo scafo e ai suoi piloti. Dopo ogni uscita registrava effettivamente dei dati, ma nemmeno i Crotoniti sapevano decifrarli, e Venzeer conservava i propri dubbi.
Janice non dubitava, naturalmente. Prima della partenza aveva chiesto a William di riferirle tutto quello che notava durante il viaggio, e sembrava che lui stesse collaborando. La donna si rendeva conto della pericolosità della missione, e stava cercando seriamente di decidere quale potesse essere il pericolo. Era disposta a correre dei rischi, soprattutto dal momento che Hugh era con lei, ma non intendeva lasciarsi cogliere alla sprovvista. Voleva conoscere le regole locali nel miglior modo e il più rapidamente possibile.
Mentre si cercavano le informazioni sul liquido d’immersione e, in seguito, mentre si produceva la sostanza, Janice aveva trascorso parecchio tempo al comunicatore documentandosi sui fenomeni relativi all’alta pressione e memorizzando una gran quantità di dati. Delle cinque creature che viaggiavano in mezzo a una bolla di luce schiacciate — per quel che ne sapevano — da oltre cento chilometri di oceano, lei era di gran lunga la più tesa.
Hugh era abbastanza assennato da avere paura, ma non era certo in preda al panico. Il fluido d’immersione, si era scoperto, era noto e usato da anni — anche se non sul mondo di Hugh — per affrontare livelli di pressione prossimi a quelli dell’ambiente in cui si trovavano adesso. Non era stato difficile ottenere informazioni circa la natura del liquido, i metodi di fabbricazione, i problemi pratici relativi al suo impiego… per esempio; trovare o inventare, e imparare a usare, un tipo di codice di comunicazione non verbale.
Nessuno, a quanto pareva, aveva mai avuto modo di utilizzarlo nelle condizioni ambientali estreme del fondo marino di Habranha, quasi quattrocento chilometri più in basso, ma per il momento i ricercatori non avevano alcuna intenzione di spingersi a simili profondità.
Rekchellet era il più infelice. Non c’era nulla da vedere, tranne il mezzo su cui viaggiava e i suoi compagni esploratori. Aveva di segnato tutto quanto nella più ampia gamma di situazioni consentita dall’ambiente circostante. Aveva registrazioni della percentuale di ammoniaca, della temperatura e delle sostanze in sospensione, e perfino delle informazioni sulle correnti, anche se queste erano difficili da analizzare quanto la gravità in caduta libera. Tutte cose che si scrivevano, comunque… non si disegnavano.
Come se non bastasse, poi, era impossibile conoscere la loro posizione esatta, quindi anche una mappa era fuori discussione. Gli indigeni non avevano rilevatori inerziali, e a Pwanpwan non si era riusciti a procurarsene uno… non perché non esistessero, ma perché i Crotoniti e gli altri extraplanetari che studiavano i movimenti del ghiaccio che formava il continente anulare si erano rifiutati di prestare un’apparecchiatura del genere a una spedizione ad alto rischio. Rekchellet sapeva che avrebbe dovuto discutere lui, invece di lasciare che fosse Janice a provare, ma stava imparando ad apprezzarla e considerarla sempre più una persona, non una semplice creatura terricola.
Aveva delle registrazioni, ma tutte numeriche. Aveva provato a rappresentare graficamente i dati, trasformandoli così in specie di immagini, ma era deluso dai risultati. Alla profondità a cui si trovava ora il Compromesso, l’acqua aveva la sua temperatura di congelamento più bassa, circa venti gradi Kelvin al di sotto di quello che tutti i membri del gruppo consideravano normale, per cui il diagramma di Rekchellet indicava che stavano penetrando in una caverna con ghiaccio comune sopra e un tipo di ghiaccio ad alta pressione sotto. Il grafico non era realmente una mappa, però. Non significava che fossero davvero in una caverna, tanto meno che stessero per essere schiacciati da ghiaccio discendente o ascendente. In primo luogo, il ghiaccio in alto avrebbe galleggiato e quello in basso sarebbe affondato. Gli indigeni sapevano qualcosa delle fasi del ghiaccio ad alta pressione; anche gli Erthumoi, almeno la femmina. Il ghiacciaio sul fondo dell’oceano, che strisciava verso Latosole dopo secoli di viaggio dallo strato nevoso di Latoscuro lungo centinaia di chilometri di Oceano Solido, era quello che Janice chiamava ghiaccio cinque, e loro adesso si trovavano sul limite di pressione tra ghiaccio uno e ghiaccio tre, centoquindici chilometri circa sotto l’atmosfera.