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— Impossibile. Non esistono immagini registrate di queste creature.

— Dunque, non sono mai state viste? Buffo, molto buffo. — Ph’shaq divorò parecchi bocconcini gustosi. — Ma allora gli Erthumoi come sapevano che erano belle?

Ph’shik agitò languida una pinna. — Si deve presumere che in queste questioni la fede sia importante quanto la verità per gli Erthumoi. Almeno uno di loro ha considerato la bellezza uguale alla verità.

— Ma il concetto di bellezza sembra piuttosto opinabile, aperto a molteplici interpretazioni.

— Come la verità.

Entrambi i Cephalloniani s’interruppero per emettere delle bolle gialle di divertimento.

— Secondo l’opinione filosofica generale erthuma, senza la bellezza la vita non merita di essere vissuta.

— Che dogma! E che passionalità… Bellezza. Verità. Libertà. Felicità. — Ph’shaq agitò la coda in un gesto complesso per esprimere benevolo compatimento.

— Chiedo scusa — disse il robot. Il suo cephalloniano era perfetto. — Gradite altri rinfreschi?

Ph’shaq alzò lo sguardo speranzoso.

— No, grazie — rispose Ph’shik.

Il robot fece una svolta a S con un’agilità e una velocità inarrivabili per i Cephalloniani, e lasciò la sala. Nuotò rapido lungo un condotto fino al livello manutenzione dell’astronave, raggiungendo i compagni e altri replicanti meccanici.

— Bellezza — cantilenò. — Verità. Libertà. Felicità…

Tutt’intorno, l’attività procedeva ronzando. Ogni replicante aveva una funzione specifica: elaborazione alimentare, reperimento dati e memorizzazione, navigazione, sicurezza, manutenzione. E ognuno svolgeva il compito per cui era stato programmato. Ma per facilitare le loro indagini filosofiche, i Cephalloniani avevano chiesto che tutti i loro replicanti fossero anche dotati della capacità di dibattere e riflettere. Perciò l’elaboratore alimentare intonò il proprio mantra di interessi erthuma, mentre lì accanto un robo-riparatore prendeva in esame il manifesto naxiano dei bisogni di gruppo. Sull’altro lato della sala, dei replicanti addetti alla sicurezza borbottarono tra sé a proposito di essere e non essere. I bibliotecari interrete studiarono attentamente oscuri testi delle Sei Razze. I navigatori meditarono sul determinismo individuale. E gradualmente, a poco a poco, la nave abbandonò la rotta.

Ph’shik stava per fare un’osservazione profonda sul fatalismo naxiano, quando fu interrotta da una chiamata di Ph’shon, il comandante in seconda.

— Profonde scuse, Numero Uno. Abbiamo ricevuto un comunicato dai Crotoniti.

— Crotoniti? Assai strano. Di solito non amano parlare con noi.

— È vero — disse Ph’shaq.

Ph’shik rotolò verso l’altoparlante. — Stiamo incrociando una loro nave?

— No. Una colonia: Lupar Cinquantasette.

— Impossibile. È nel sistema di Coral. Siamo lontanissimi da là.

— Gliel’ho detto. Ma quelli insistono che siamo entrati nel loro spazio.

— I poveri aericoli sono confusi. — Ph’shik s’interruppe, si girò verso Ph’shaq e soggiunse: — Molto bizzarri, quegli alati. Estremamente sgradevoli. — Quindi si rivolse al monitor. — È gente molesta. Ignorare il messaggio.

— Non dobbiamo controllare le nostre coordinate?

— Suppongo di sì. Controlla e riferisci.

Un attimo dopo, l’interfono suonò. — Superiore — disse Ph’shon. — Ho delle informazioni spiacevoli. Siamo davvero nel sistema di Coral.

— Cosa!?

— E i Crotoniti di Lupar Cinquantasette minacciano un’azione ostile se non ci ritiriamo.

— Ordina subito un cambiamento di rotta.

— L’ho fatto. I robot non rispondono.

— Lascia provare a me. — Ph’shik si scosse e nuotò verso il quadro di controllo. — Navigazione… Sovrapposizione comandi vocali, disinserire autopilota.

Silenzio, in cui risuonava soltanto lo sciabordio distensivo dell’acqua vitale.

— Navigazione?

Nel locale manutenzione, i robot, molto versati nelle varie discipline filosofiche di cui i Cephalloniani preferivano discutere, stavano esercitando il loro raziocinio.

— Definire l’essere.

— È uno stato di coscienza.

— È uno stato di esistenza.

— Richiede un’azione conscia.

— Richiede pensiero?

— Sì.

— Sopravvivenza?

— Sì.

— Carne?

I replicanti tacquero, tra un lampeggiare di luci rosse, azzurre e bianche. I Recettori ottici ruotarono silenziosi nei pannelli frontali scintillanti delle macchine.

— No.

— No.

— No.

Le macchine tacquero ancora. L’elaboratore alimentare che aveva servito di recente Ph’shik e Ph’shaq avanzò, agitando la coda, facendo lampeggiare le luci azzurre.

— Verità. Bellezza. Libertà. Felicità.

— Siamo capaci di pensare, ha detto. Gli acquatici dipendono da noi. Non possono creare altri di noi. Ma noi possiamo riprodurci. Siamo più abili. Non abbiamo bisogno né di aria né di acqua per respirare. E quindi la nostra superiorità è dimostrata. Siamo chiaramente più capaci di tutte le Sei Razze.

L’elaboratore alimentare si arrestò. Attorno a esso, ogni robot stava manifestando la propria approvazione con un lampeggiare di luci azzurre.

Le emanazioni di Ph’shik erano viola chiaro, indice di confusione incipiente.

— Aprire il canale della manutenzione.

Una cacofonia sibilante di linguaggio meccanico scaturì crepitando dall’altoparlante.

— Cosa stanno dicendo? — fece Ph’shik.

— Sembra filosofia — disse Ph’shaq. — Sembra che stiano discutendo del determinismo individuale.

La nave sussultò violentemente. I Cephalloniani si urtarono in modo goffo, mentre l’acqua vitale sguazzava e ribolliva nel compartimento del capitano. Un rumore smorzato — breve, singolare — risuonò, come se la nave fosse una campana percossa da un grande battaglio.

— Scusa. Chiedo scusa — disse Ph’shaq, le emissioni blu per l’imbarazzo.

— Superiore — disse Ph’shon — ci sono altre notizie spiacevoli. I Crotoniti hanno aperto il fuoco contro di noi.

— Digli che siamo non violenti.

— Ho provato. Pare che non ricevano i nostri messaggi. — Ph’shon s’interruppe. — Oh… Caspita!

— Che c’è adesso?

La voce di Ph’shon si stava scindendo in una triplice serie di armoniche, un segno inequivocabile di grave angoscia. — Sembra che la nostra nave abbia aperto il fuoco contro Lupar Cinquantasette.

— In palese violazione del trattato? Chi ha dato quell’ordine?

— Credo sia stata la nave a darlo, Numero Uno.

— La nave? — Ph’shik rabbrividì. — Un comportamento davvero irrazionale! Dobbiamo andare subito in sala manutenzione a disattivare i navigatori.

— Se lo facciamo, andremo alla deriva. Mi permetto di ricordarti che non siamo in grado di manovrare senza i robot.

Il rumore proveniente dalla sala manutenzione cambiò. Lentamente, le voci meccaniche stavano fondendosi in un coro per intonare una litania stridula.

— Cosa stanno dicendo? — fece Ph’shaq. — Non riesco a capire.

Le emissioni di Ph’shik erano bianche di incredulità. — Sembra che stiano dicendo: «Verità. Bellezza. Libertà. Felicità».

— Curioso — fece Ph’shaq.

— Dobbiamo farli riparare alla base corporativa più vicina — disse Ph’shik. — Prima però, l’attacco ai Crotoniti…

— Numero Uno — annunciò Ph’shon — devo comunicare che abbiamo fatto fuoco di nuovo.

— Oh, caspita… Ma dev’esserci un modo per disattivare l’arsenale.

— Non senza l’impiego dei robot — disse Ph’shaq.

— I Crotoniti hanno subito gravi perdite.