Hesta-Volstoy lo ignorò e cominciò a cercare il pannello dell’alimentatore di emergenza, brancolando attorno a sé come un cieco. Quello? La sua mano incontrò una superficie fredda, umida. No, quella era la vasca del Cephalloniano. Quello? No, era solo la parete imbottita della cabina.
Toccò una superficie liscia in rilievo su cui una configurazione triangolare di punti indicava l’alimentazione di emergenza. Ma mentre premeva l’angolo per aprire il pannello, una scarica elettrica dolorosa gli fece ritrarre la mano di scatto.
— Ahi!
— Persevereremo — disse l’ascensore.
— Cosa?
— Trionferemo. Non c’è alcun dubbio. Vi rimangono quindici minuti d’aria.
Hesta-Volstoy cercò a tastoni il pannello del comunicatore, lo trovò, e lo accese. — Plancia, mi sentite?
— Qui plancia — rispose Kiana Bigadic. — Sei tu, Paul? Perché stai usando questo canale?
— Sono prigioniero dell’ascensore.
— Oh, certo. Bello scherzo, Paul. Ma ti conviene interrompere la comunicazione prima che il capitano ti senta. Lo sai che è contraria a certi giochetti.
— Non è uno scherzo, Kiana. Ci restano quindici minuti d’aria e… pronto? Pronto, plancia? Mi sentite? — Hesta-Volstoy mosse su e giù l’interruttore del comunicatore parecchie volte, ma invano. L’ascensore doveva aver interrotto la linea. Amareggiato, il primo ufficiale di bordo si rivolse all’interruttore inservibile. — Splendido, davvero splendido. Soffocherò in un ascensore in compagnia di un Cephalloniano.
Ph’shaq emise un suono che sarebbe potuto essere l’equivalente pescino di uno schiarimento di voce. — Chiedo scusa, Erthuma. Potrei essere d’aiuto, forse?
— Certo — disse Hesta-Volstoy. — Sei capace di avviare un ascensore bloccato fregandolo con un allacciamento volante?
— Non ho familiarità con queste espressioni erthuma — disse serio il Cephalloniano — ma mi chiedo se sia possibile indurre questo ascensore a discutere dei suoi problemi e delle sue esigenze.
— I suoi problemi? Le sue esigenze? — Hesta-Volstoy cominciò a ridere. — Sì. Perché no? Domandagli se è contento del suo orario di lavoro. Può darsi che voglia una giornata lavorativa più corta e maggiori indennità, o che desideri una promozione, no? Magari gli piacerebbe diventare un propulsore.
Il Cephalloniano rimase in silenzio alcuni istanti. Quando parlò, la sua voce rimbombò nell’ambiente angusto. — Salve, essere metallico. Chiedo il permesso di dialogare con te.
— Non ho nulla da dire — rispose l’ascensore.
— Ma sicuramente abbiamo dei punti di interesse comune su cui discutere. La sorte di questo Erthuma, per esempio. Io non risentirò della mancanza d’aria qua dentro, essendo un acquatico. E tu, in quanto metallo, non respiri, naturalmente. Ma la situazione dell’Erthuma diventerà assai seria tra poco.
Hesta-Volstoy sentì che i suoi polmoni erano bramosi d’aria.
— Esattamente — disse l’ascensore.
Ph’shaq continuò. — Quindi, nei confronti dell’Erthuma stai dimostrando prevenzione selettiva, pregiudizio, e malevolenza. Uccidendolo selettivamente, discrimini me e le altre razze.
— Preferiresti che uccidessi anche te?
— Non desidero la morte — disse Ph’shaq. — Ma non mi turba la sua ineluttabilità. Chissà quando arriverà? Ora? Tra cinque minuti o tra cinque archi temporali? E come sarà, quando giungerà? Ah, essere o non essere. Il grande enigma. L’eterno imponderabile. Sicuramente puoi unirti a me nell’apprezzare i meravigliosi misteri della vita e della morte nelle varie forme. I capricci del caso.
— Già — disse l’ascensore. — Ho meditato spesso sulla differenza tra attivazione e disattivazione.
Hesta-Volstoy si sentiva intontito, assonnato; l’aria stava diventando molto rarefatta. Si abbassò, assumendo una posizione semirannicchiata, perché era più facile reggersi in piedi in quel modo.
— Per l’appunto — disse Ph’shaq. — Sarei ben felice di continuare a discutere con te di questo argomento in altre circostanze. Ma confesso che i rantoli di questo individuo che sta morendo soffocato accanto a me mi distraggono. Non possiamo scaricarlo da qualche parte e proseguire liberamente il dibattito?
Le luci dell’ascensore si accesero. L’aria cominciò a circolare. La cabina sussultò, facendo quasi cadere Hesta-Volstoy. La porta si aprì, e il primo ufficiale uscì barcollando, entrando in plancia. Ph’shaq lo seguì dappresso… talmente dappresso che per poco non lo investì con la propria vasca mobile.
— Addio, ascensore — disse Ph’shaq. — Forse avremo occasione di discutere dell’esistenzialismo in un altro momento, più opportuno.
La porta dell’ascensore si chiuse.
Lenard-Smith attraversò la plancia, accogliendo Hesta-Volstoy con un’espressione corrucciata. — Cos’è questa storia secondo cui tu saresti stato intrappolato nell’ascensore? Intrappolato dall’ascensore, stando a Kiana. — Lenard-Smith scosse il capo incredula, facendo sobbalzare le trecce scure. — E cosa ci fai con questo Cephalloniano? — S’interruppe e osservò la macchia rossa sul petto di Hesta-Volstoy. — E cos’è successo alla tua uniforme?
— Il Cephalloniano mi ha appena salvato la vita, penso — rispose il primo ufficiale. — Le presento Ph’shaq, quarto ufficiale del K’naton. Era in giro, stava facendo una passeggiata. Quanto alla macchia, mi sono macchiato quando il mio frigorifero mi ha tirato addosso una bottiglia di vino.
Lenard-Smith lo fissò. — Ti ha tirato addosso del vino?
— Capitano — disse Kiana Bigadic — stiamo ricevendo rapporti circa il cattivo funzionamento di macchine in tutta la nave.
— Di che genere di malfunzionamento si tratta?
— Le macchine si rifiutano di svolgere i loro compiti, discutono, attaccano addirittura i membri dell’equipaggio.
— Non capisco.
Le luci della plancia si spensero.
— Alimentazione d’emergenza — disse il capitano.
La plancia rimase buia.
— Non ditemi che non funziona nemmeno l’alimentatore d’emergenza!?
Le luci d’emergenza cominciarono ad accendersi tremule, proiettando pallide chiazze gialle nel locale.
— Com’è la situazione, Jen?
— Abbiamo aria sufficiente per trentasei ore. La maggior parte della nave è divisa in settori ermeticamente chiusi con varie disponibilità d’aria.
Lenard-Smith batté il pugno sul pannello di navigazione. — Mi state dicendo che tutta la dannata nave sta ribellandosi contro di noi? — chiese.
Hesta-Volstoy respirò profondamente. — Parrebbe di sì.
— Nessun contatto con la manutenzione e il reparto tecnico?
— Negativo. — Kiana Bigadic aveva un’aria sconcertata. — Ricevo solo una pessima registrazione del «Volo del calabrone» — disse. — Forte. Molto forte.
— Dannazione. Mi aspettavo che la manutenzione fosse in grado di risolvere il problema. Prova la sicurezza.
— Nessuna risposta. Sono bloccati, completamente isolati.
— Stramaledizione! Contavo su di loro. — Lenard-Smith si sedette alla consolle del capitano e tamburellò il quadro luminoso con le dita. — Suggerimenti?
— Ne avrei uno, capitano — disse Jen Chan. Il sudore gli luccicava sull’ampia fronte appena sotto la frangia di capelli biondi. — Sembra che le consolle della plancia rispondano ancora ai comandi più semplici. E se chiedessimo di eseguire la procedura di inizializzazione per tutta la nave?
— Perderemmo tutti i sistemi dati, la memoria, metà delle banche nautiche — disse Lenard-Smith. — Staremmo peggio di prima. Cosa otterremmo?
— Forse con questo espediente potremmo anche eliminare gli intoppi e i difetti di programmazione precedenti… compresa la dottrina filometallica che il K’naton sta predicando. — Kiana Bigadic si strinse nelle spalle. — Potremmo riuscire a riprendere il controllo della nave.