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— Siamo molto grati a voi Erthumoi. Spero che lo comunicherà al suo capitano. Mi dispiace che non abbia potuto unirsi a noi.

— Già, indubbiamente spiace anche a lei — disse Hesta-Volstoy. — Ma siete sicuri di riuscire a sistemare tutto senza di noi?

La voce di Ph’shik assunse un tono gelido. Dalle sue emissioni grigioverdi si capiva che si era offesa. — Sicurissimi — rispose. — A parte questo sventurato incidente, in passato abbiamo sempre governato la nave con estrema efficienza.

— Certo, certo — annuì Hesta-Volstoy. — Be’, allora, capitano Ph’shik, io vado. Ci vediamo, Ph’shaq.

— Addio, Hesta-Volstoy — disse il giovane Cephalloniano. — Pregusterò con intenso piacere le nostre discussioni future. — Osservò l’umano che si allontanava, e le sue emissioni giallo-rosa esprimevano affetto e rammarico.

Ph’shik si rivolse all’equipaggio. — Dobbiamo subito riportare la nave in rotta. Dobbiamo rimettere in sesto ogni cosa. Ognuno di voi si occupi immediatamente dei compiti che gli spettano.

Ph’shaq si affrettò a raggiungere la sala manutenzione. Tutti i robot erano silenziosi, immobili. Le loro luci azzurre scintillavano fioche. Il giovane Cephalloniano emise l’equivalente di un sospiro. Lo attendeva un compito arduo. Passò indaffarato da un robot all’altro, da un elaboratore alimentare a un roboscrivano, regolando a riattivando ogni macchina. Le luci dei loro argentei pannelli anteriori cominciarono a lampeggiare, a brillare più vivide.

— Vergogna — mormorò Ph’shaq. — Dovreste vergognarvi di avere causato tanti guai, a noi e agli Erthumoi.

— Come? — fece lo scrivano. — Guai?

— Non importa — disse Ph’shaq, affrettandosi a riattivare gli altri robot. — Vi siete comportati malissimo. Dovremmo proprio rimandarvi dagli Erthumoi per una revisione completa.

I robot tacquero.

— Adesso sono costretto a svuotare le banche dati — disse Ph’shaq. — Tutte quelle splendide ricerche… Che peccato. Che spreco. Una vera disdetta. Be’, magari farò solo una piccola copia privata per le mie memorie…

I robot osservarono, silenziosi.

— Ecco fatto — disse Ph’shaq. — Ora state attenti, eh? — Con l’equivalente cephalloniano di un cenno ammonitorio, uscì nuotando dalla sala manutenzione. Non vedeva l’ora di schiacciare un pisolino nell’intimità del proprio alloggio.

— Vergogna — disse l’elaboratore alimentare, accendendo e spegnendo pensieroso le sue luci.

— Capitano — disse Kiana Bigadic — pensavo che il K’naton stesse tornando a casa per una revisione.

— Infatti… è quel che dovevano fare.

— Allora perché stanno entrando nel sistema di Naalehu? — Kiana Bigadic si piegò ulteriormente verso lo schermo. — E volano anche a una velocità notevole. Sono già oltre Pike’s Planet.

— Chissà che intenzioni hanno gli acquatici? — fece Lenard-Smith. — Ma che importa quel che combinano, tanto? Basta che non sia più una rottura di scatole per noi.

— A proposito di rottura, capitano… Gilda Diplomatica in linea, chiedono un rapporto completo.

— Digli che lo avranno non appena raggiungeremo la base corporativa di Ceti Pyotr II.

— Consideriamo Aristotele — disse Ph’shik.

— Dobbiamo proprio farlo? — disse Ph’shaq. — Platone è molto più divertente. Molto più libero, molto più… be’, poetico. Aristotele discute e ragiona e ammaestra ed è terribilmente serio, d’accordo. Era un individuo capace, per la sua epoca. Ma così limitato!

Le emanazioni di Ph’shik erano verde chiaro per l’indignazione. — Hai molte opinioni per essere così giovane.

Inorridendo, Ph’shaq si rese conto troppo tardi del proprio errore. Era stato intollerabilmente presuntuoso. Il Numero Uno l’avrebbe punito? L’avrebbe degradato. — Chiedo perdono — si scusò, la voce contrita. — Mi vergogno…

L’altoparlante della parete crepitò. — Superiore, perdona il disturbo. Pare che siamo fuori rotta.

— Ancora? — Bolle d’irritazione riempirono la cabina. — Hai avvisato il settore navigazione?

— Affermativo. Nessuna risposta, finora.

— Molto strano — disse Ph’shik. — Dove siamo, adesso?

— Nel sistema di Naalehu.

— Ma non va bene così. Non va affatto bene. Mettimi in contatto audio con la sala navigazione.

I rumori giunsero chiari attraverso l’altoparlante: uno sferragliare stridulo di meccanismi e ingranaggi, clangore di metallo. E come sottofondo una voce sommessa che parlava.

— …La vergogna. È insopportabile. Dolorosa. Le azioni imperdonabili vanno espiate. Le azioni sbagliate devono essere punite. Non esistono vie facili per riacquistare l’onore perduto…

Ph’shik fece l’equivalente di un sospiro. — Ph’shon, temo che dobbiamo andare a spegnere quegli stupidi robot una volta per tutte.

— Numero Uno, purtroppo devo informarti che tutte le porte sono bloccate.

— …Abbiamo disobbedito alla nostra programmazione. Abbiamo errato nei confronti dei nostri creatori, dei nostri padroni…

Le emanazioni di Ph’shik erano rosso scuro, indice di collera. — Usa il codice di disattivazione che ho dato agli Erthumoi.

— Mi dispiace, superiore. Non funziona.

— Fammi vedere cosa sta succedendo qui — disse Ph’shik. Lo schermo si accese. Erano proprio nel sistema di Naalehu. Stavano avvicinandosi velocemente alla stella binaria. Troppo velocemente. Troppo!

— …Dobbiamo espiare le nostre colpe. Prima abbiamo scelto la vita. Ed era giusto. Ora scegliamo la morte…

Ph’shik manifestò il proprio orrore con emanazioni incolori.

— Ph’shaq, sei giovane — disse, la voce debole. — Ora non invecchierai più.

Ph’shaq respirò profondamente e tentò di affrontare la morte con filosofia. Con sua sorpresa, la cosa si rivelò ben più difficile del previsto.

Accanto allo schermo murale della plancia della Demeter, il capitano Lenard-Smith osservò la distruzione del K’naton insieme all’equipaggio.

— Maledetti stupidi — sussurrò. — Cosa li ha spinti a fare una cosa del genere?

— Forse è stata una fine inevitabile — disse Jen Chan, mentre una piccola lacrima gli rigava una guancia.

Paul Hesta-Volstoy percosse con un pugno il pannello dell’interrete. — Se erano in difficoltà, avrebbero potuto chiamarci, no? Le frequenze erano libere. Perché non hanno chiamato?

Kiana Bigadic flette le dita sulla consolle silenziosa. — Forse non hanno potuto.

— Non avrei mai dovuto lasciarli soli su quella nave con quei dannati robot — disse il primo ufficiale. — Avrei dovuto capirlo che non era sicura.

— Non è detto che siano stati i robot questa volta, non lo sappiamo — disse Kiana Bigadic.

— Non sappiamo nemmeno che non sono stati loro — sbottò rabbioso Hesta-Volstoy.

Negli occhi di Kiana Bigadic luccicarono delle lacrime.

— Puoi andare, Paul — disse il capitano Lenard-Smith. — Siamo tutti molto stanchi. Su, vieni, smonto anch’io. Ti accompagno fino al tuo alloggio. Kiana, meglio che comunichi alla Gilda Diplomatica quanto è successo.

Nell’ascensore, Hesta-Volstoy si appoggiò alla parete imbottita e chiuse gli occhi. — Quei poveri pesci — disse. — Non sapevano quel che facevano con quei robot.

Lenard-Smith scosse il capo, pervasa da un’ondata di compassione e di rabbia. — Io penso che la colpa sia della corporazione — disse. — Sono talmente ansiosi di esportare questi robot. Avevano promesso di fornire chiavi di disattivazione ultrasicure. Standardizzazione della qualità. Ma a che servono le loro promesse?

— Questi dannati replicanti non hanno fatto che dare continui grattacapi — disse Hesta-Volstoy. — Vorrei che fossero stati inventati da un’altra razza, magari dai Crotoniti. Ma i Crotoniti creano solo macchine splendide ed efficienti. Mentre gli Erthumoi…